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Martedì, 23 Aprile 2024
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Redazione

In carcere le pistole piovono col drone: grottesco italiano

Stupore, rabbia, indignazione, sono queste le principali sensazioni provocate in tutto il Paese dopo quanto accaduto nella giornata di domenica presso il carcere di Frosinone. Alessio Peluso, 28 anni, inquadrato fra gli emergenti del clan Lo Russo di Miano e con un curriculum di tutto rispetto nonostante la giovane età, ha fatto fuoco all’interno del penitenziario utilizzando una pistola fattagli recapitare con un drone. "Un episodio di una gravità assoluta" ha affermato il capo del Dap, Bernardo Petralia, all'uscita del penitenziario dove si è recato personalmente come richiesto dal ministro della Giustizia Marta Cartabia.

La ricostruzione

La pistola è atterrata sul davanzale della cella di Antonio Peluso intorno alle 15, poco prima che si scatenasse il Far west. La consegna è stata immortalata dalle telecamere. L'arma è stata fatta passare attraverso la retina di protezione, successivamente trovata divelta in un angolo. Peluso, che era separato dagli altri detenuti per motivi disciplinari, ha chiesto di andare in doccia. Nel corridoio ha puntato l'arma contro un agente penitenziario, strappandogli le chiavi delle celle (ma senza utilizzarle) e ha fatto fuoco in ogni stanza dove, in quel momento, si trovavano gli altri detenuti. Stando a quanto si apprende, il suo bersaglio erano tre detenuti - due campani e un albanese - che lo avevano minacciato e picchiato nei giorni scorsi. Fortunatamente, i colpi non sono andati a segno. Peluso, infine, ha consegnato l'arma dopo aver parlato al telefono con il suo avvocato. Il 28enne è stato trasferito già nella serata di domenica. Per gli altri si sta valutando il da farsi. Gli investigatori sono a lavoro per capire chi ha inviato a Peluso la pistola (una calibro 7,65 con matricola abrasa), ma anche chi - dal carcere - si è girato dall’altra parte mentre l’oggetto entrava nel perimetro di sicurezza. Infine, poi, occorrerà comprendere anche come sia giunto nelle mani di Peluso il microtelefono attraverso il quale “o’ nir” (condannato nei mesi scorsi a 10 anni e 8 mesi di carcere per associazione camorristica e traffico di droga) ha chiesto e ottenuto l’arma utilizzata per la sparatoria. Le indagini proseguono senza sosta ma non appare difficile comprendere che, dietro la lite da cui poi è scaturita la reazione armata, vi siano collegamenti con la guerra tra clan campani. Al momento gli investigatori non si sbilanciano.

Carenza di personale: è davvero il problema?

Un episodio grottesco, ridicolo. Un episodio che, ancora una volta, accende i riflettori sulla totale situazione di collasso vissuta dalle carceri italiane. Ancora più incredibile, poi, è accorgersi di quanto sia stato facile per l’opinione pubblica affermare che - quanto accaduto - sia stato provocato da un mancato controllo da parte degli agenti di sorveglianza. Questo perché, ricordiamolo, Alessio Peluso non è un detenuto comune ma, bensì, un soggetto in alta sicurezza, con la cella singola, aperta solo per fare la doccia. È anche superfluo sottolineare che - al vertice con il capo del Dap - il problema della carenza di personale - denunciato da anni dai sindacati - era in cima all'agenda. Al termine della riunione con i direttori generali del Personale Massimo Perisi e dei Detenuti Gianfranco De Gesu e il provveditore Cantone, Petralia ha garantito che i 12 agenti penitenziari inviati di recente saranno mantenuti a rotazione, altre 20 unità, invece, saranno fisse. Annunciato, infine, l'arrivo di altri rinforzi non appena terminerà il corso per i neo agenti. Petralia ha assicurato anche che ci saranno interventi per la sicurezza, in particolare tecnologie in grado di neutralizzare il volo dei droni che da qualche anno sono utilizzati per introdurre in carcere la droga, i cellulari e ora anche le armi. Ma il problema è davvero dovuto soltanto alla carenza di personale? Una pistola può essere introdotta all’interno del carcere soltanto a causa della carenza di agenti preposti a sorvegliare il perimetro? E, ancora, se l’intervento è stato immediato (come riferito dal provveditore Cantone) come ha fatto Peluso a entrare in possesso del cellulare con cui ha potuto comodamente “ordinare” la sua arma direttamente a domicilio?

Pene più severe per chi viene pizzicato

Ovviamente, una soluzione spesso discussa ma mai concretamente applicata è quella relativa all’applicazione di pene più severe per chi viene beccato. In questi anni, infatti, il fenomeno dell'introduzione dei telefoni cellulari all'interno del carcere è cresciuto in modo esponenziale per due motivi: il primo è certamente di carattere normativo, l'altro è di carattere tecnologico. Sul piano normativo riscontriamo ancora una volta la totale assenza di una disciplina di legge adeguata. Dopo ogni ritrovamento, la detenzione e l'introduzione di miniphone da parte dei carcerati assume rilevanza meramente disciplinare e, nella peggiore delle ipotesi, porta soltanto a qualche giorno di isolamento. Praticamente nulla. Per un detenuto - soprattutto quelli reclusi per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso - ricevere un cellulare per comunicare con l’esterno è assolutamente fondamentale. Ovviamente, qualche giorno di isolamento per avere questa occasione è un prezzo ragionevole. A cosa serve mettere i camorristi in carcere se possono continuare a fare ciò che hanno sempre fatto? A cosa serve il carcere se non riusciamo neanche a impedire ai boss di fare una telefonata? Occorrono pene più severe. Occorre essere meno goffi nell’applicazione delle stesse.

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