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Giovedì, 28 Marzo 2024
L'uomo di fiducia / Palermo

L'autista di Messina Denaro non convince il gip: "Era armato, conosceva l'identità del boss"

L'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Giovanni Luppino, il 59enne arrestato lunedì insieme al boss di Cosa nostra: "La versione che ha fornito è macroscopicamente inveritiera. Aveva in tasca cellulari e pizzini"

"Non sapevo che fosse Matteo Messina Denaro". Le parole di Giovanni Luppino, il 59enne autista del boss di Cosa nostra, non hanno convinto il gip di Palermo Fabio Pilato, che dopo aver convalidato l'arresto di lunedì, ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del commerciante di olive, fermato insieme a Messina Denaro nella clinica Maddalena a Palermo. 

Il gip: "Persona di fiducia del boss e di Cosa nostra"

"Luppino - secondo il gip - era talmente consapevole dell'identità del boss dall'essere armato. Era una persona di fiducia di Messina Denaro e godeva della rispettabilità di Cosa nostra. L'autista inoltre è un ruolo delicato e strategico. La versione che ci ha fornito è macroscopicamente inveritiera". "Al momento dell'arresto Giovanni Luppino - scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare - l'autista fidato di Matteo Messina Denaro, aveva in tasca, oltre a due telefoni cellulari in modalità aerea, anche dei 'pizzini', "una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefoni, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo". Nell'interrogatorio l'uomo ha detto di non sapere che si trattasse del boss Messina Denaro. Ma il gip non gli ha creduto.

"Sotto tale profilo, la versione dei fatti fornita dall’indagato è macroscopicamente inveritiera, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza", dice ancora il gip Fabio Pilato. "Ma al di là di ogni considerazione logica, sono le risultanze investigative a fornire il dato decisivo, nella misura in cui il possesso del coltello e dei due cellulari - entrambi tenuti spenti ed in modalità aereo- suggeriscono che Luppino fosse talmente consapevole dell’identità di Messina Denaro da camminare armato e ricorrere ad un contegno di massima sicurezza per evitare possibili tracciamenti telefonici".

Pizzini e cellulari in modalità aereo

Il gip Fabio Pilato segnala "la particolare accortezza dimostrata da Luppino che ha posto i cellulari in modalità aerea prima di spegnerli, nell’evidente tentativo di innalzare al massimo il livello di cautela e riserbo onde evitare che gli apparecchi si agganciassero alle celle telefoniche di zona, così consentendo la mappatura dello spostamento". E ricorda "la condotta elusiva e di favoreggiamento perpetrata dall’indagato", dice il giudice per le indagini preliminari. "L'indagato ha agito in modo da non esporre Messina Denaro al pericolo di una cattura che avrebbe comportato l’esecuzione delle pene definitive gravanti sulla sua testa", scrive ancora il gip.

Per il gip Pilato "l’aver assicurato uno spostamento in via riservata così evitando il ricorso ad altri mezzi di locomozione - pubblici o privati, possibilmente condotti dallo stesso latitante- costituisce una condotta teleologicamente orientata ad eludere le investigazioni in corso, secondo il tipico di schema del favoreggiamento". E ricorda la necessità di un "approfondimento investigativo sul rinvenimento dei numerosi pizzini dal contenuto opaco che potrebbero schiudere lo sguardo a nuovi scenari".

"Sussistono le esigenze cautelari non tanto perché non sono emersi elementi idonei a superare la presunzione iuris tantum introdotta dalla norma, quanto perché si ravvisano in concreto diversi aspetti di particolare allarme sociale". Il giudice parla di un "concreto e attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova nell’ambito di un’operazione ancora in corso con la ricerca dei “covi” e della rete dei fiancheggiatori che hanno reso possibile una latitanza così lunga". "Trattandosi di un soggetto a stretto contatto con il noto latitante può senz’altro presumersi che egli sia custode di segreti e prove che farebbe certamente sparire se lasciato libero. A ciò aggiungasi che occorre svolgere degli accertamenti sui pizzini dal contenuto sospetto rinvenuti al momento della perquisizione", spiega nell'ordinanza il giudice Fabio Pilato

Che aggiunge: "Ricorre il pericolo di fuga in quanto l’essere a stretto contatto con un soggetto in grado di mantenere lo stato di latitanza per ben trent’anni, postula la conoscenza anche della rete creata per sfuggire alla giustizia, di cui Luppino stesso potrebbe avvalersi per darsi alla macchia". "Ricorre infine il pericolo di specialprevenzione previsto perché l’elevata gravità dei reati, le modalità e le circostanze del fatto, unitamente ai precedenti penali risultanti dal certificato, esprimono una spiccata pericolosità sociale, soprattutto perché l’essere considerata persona di fiducia da un capo mafia del calibro di Messina Denaro proietta automaticamente l’indagato in una posizione di alta considerazione e “rispettabilità” secondo i codici interni all’associazione mafiosa". Per Pilato "nessun’altra misura all’infuori del carcere è dunque idonea a contenere le esigenze cautelari sopra rappresentate, ivi compresa la meno afflittiva degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico che lascerebbe comunque all’indagato uno spazio eccessivo di movimento".

Il boss dopo l'arresto: "È finita"

Subito dopo il suo arresto, lunedì mattina, alla clinica Maddalena di Palermo, il boss Matteo Messina Denaro avrebbe detto al suo autista, Giovanni Luppino "È finita". A raccontarlo è lo stesso commerciante di olive finito in carcere con il capomafia. Luppino "ha dichiarato di ignorare la vera identità di Messina Denaro - scrive il gip - specificando che, circa sei mesi addietro, il suo idraulico di fiducia, Andrea Bonafede, glielo aveva presentato indicandolo come un suo cognato, di nome Francesco. Dopo quel brevissimo incontro, durato appena una manciata di minuti, non lo aveva più visto né incrociato, fino alla mattina del 16.1.2023 quando il tale Francesco, sedicente cognato di Andrea Bonafede, si era presentato all’alba (ore 5,45 del mattino) per chiedergli la cortesia di accompagnarlo a Palermo, dovendo sottoporsi a delle cure mediche in quanto malato di cancro". "Luppino ha concluso le sue dichiarazioni sostenendo di essersi reso conto della vera identità di Messina Denaro soltanto a seguito dell’intervento dei Carabinieri, quando aveva chiesto al tale Francesco se cercassero lui, ottenendo in risposta le testuali parole: “si, è finita”.

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