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Sabato, 20 Aprile 2024

Nadia Palazzolo

Giornalista

A scuola si va vestiti da alunni, ma per educare serve il dialogo non lo scotch

Ci risiamo. Puntuale come i consigli su come affrontare il caldo o sul tormentone musicale dell'estate, tra maggio e giugno ecco arrivare la polemica sull'abbigliamento da tenere a scuola. Da Nord a Sud, i dirigenti scolastici si ritrovano a firmare circolari in cui dettano le regole per l'abbigliamento. Scuola che vai indicazione che trovi, ma suonano tutte più o meno allo stesso modo: niente minigonne, niente shorts, niente top che lascino la pancia scoperta. Spesso la reazione di alunni, genitori e professori resta confinata alla chat di classe, altre volte finisce sui giornali. 

L'attenzione dei media recentemente è caduta su due episodi. A Lecce la preside del liceo scientifico Banzi, Antonella Manca, ha firmato la circolare che ha per oggetto "Abbigliamento decoroso". "Nell’ovvia considerazione che i concetti di decoro e sobrietà sono suscettibili di inevitabile varietà interpretativa e senza voler limitare la libertà individuale", si invita "a non indossare, per motivi di decoro e rispetto dell’istituzione scolastica, abiti che evochino tenute estive, o anche balneari, del tutto fuori posto in un contesto scolastico". La circolare non è piaciuta a tutti e la dirigente ha dovuto difendersi pubblicamente.
Pochi giorni prima la pagina Facebook del Fronte della Gioventù Comunista aveva portato l'attenzione sul caso di un'alunna del  liceo artistico-musicale Lucrezia della Valle di Cosenza. Si è presentata con i jeans strappati e sarebbe stata costretta a mettere dello scotch per "ricucirli". Soluzione immortalata con una foto diventata virale sui social. Due modi palesemente diversi di affrontare la stessa questione. La polemica, sia chiaro, non è relegata al Sud. Anche a Firenze e Milano alcuni dirigenti si sono mossi nella stessa direzione dei colleghi ricevendo critiche e accuse di censura. 

Anche a Vicenza la preside di un liceo è al centro della polemica per il controllo fatto sull'abbigliamento delle allieve, ma qui secondo la denuncia di alcuni studenti sarebbero stati pronunciati commenti sulla fisicità delle alunne e se fosse vero sarebbe ben più grave e poco avrebbe a che fare con gli abiti.

Tanta animosità sul dress code a scuola appare quantomeno curiosa. Basta andare su un qualsiasi motore di ricerca per vedere quante volte le persone vanno a caccia di informazioni del tipo "dress code matrimonio",  "come vestirsi per un colloquio", "abbigliamento invitati cerimonia". Diamo quindi per scontato che per un evento o un'occasione speciale ci siano delle regole da seguire. Bene. Allo stesso modo se andiamo dall'avvocato diamo per implicito che non verremo accolti da un professionista - uomo o donna che sia - in costume da bagno o con un completo da palestra, magari griffato ma pur sempre pensato per una sessione di training che poco ha in comune con una consulenza legale. Dagli impiegati pubblici ci aspettiamo che non si presentino in ufficio con la canottiera a costine di fantozziana memoria... Però se poi a scuola si chiede un abbigliamento "consono" allora no. Si invocano diritti di ogni tipo.

Qui non si parla dell'ombelico scoperto di Raffaella Carrà, delle gambe delle Kessler e di un perbenismo fortunatamente superato da decenni ma di buon senso e del diritto-dovere della scuola di educare, nel significato più ampio del termine. Sacrosanta è la libertà di espressione, che passa certamente anche dall'abbigliamento, ma altrettanto doveroso è il rispetto per il contesto e per il luogo in cui ci si trova. Da parte di tutti: che sieda dietro al banco o alla cattedra.

Nessuno chiede colletti inamidati, gonne al polpaccio e calzettoni con 40 gradi all'ombra. Vietare la gonna appena sotto i glutei, gli shorts inguinali, i top sotto il seno alle ragazze, cosi come la canottiera e il look "mare" per i compagni non è fare becero moralismo, mortificare le fisicità, punire le legittime vanità o imporre schemi di un passato che nessuno vuole restaurare ma è educarli. E' mostrare loro che il rispetto non è un concetto astratto, ma che passa da comportamenti concreti come adeguare l'abito al contesto. La soluzione non è certamente lo scotch sui jeans, traduzione grottesca del "mettere una pezza". La chiave è semmai nella capacità di dialogare con i ragazzi e fare "squadra" con le famiglie. Agire insieme per crescere nuove generazioni capaci di "leggere" le situazioni in cui si trovano, educare al rispetto dell'altro - perché bullismo, bodyshaming spesso avvengono proprio tra i banchi di scuola - ma anche dei luoghi e delle situazioni.

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