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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Sardegna, la lotta contro le servitù militari riprende quota: "A Foras"

Più del 60 per cento delle servitù militari italiane è in Sardegna. I tre più grandi poligoni d'Europa sono sull'isola. "A Foras" ("Fuori") è un’assemblea di comitati e associazioni. Li abbiamo intervistati. I danni ambientali, i tentennamenti del mondo politico, il "ricatto" occupazionale, i limiti dell'assistenzialismo, le bonifiche difficili: "È importante continuare a parlare di basi militari nelle città, nelle scuole e nelle università. C'è tanto lavoro da fare"

Il Ministro delle Finanze Padoan ha firmato il decreto che quantifica i parametri per l'erogazione del contributo ai Comuni maggiormente oberati da servitù militari. Non c'è il rischio che misure economiche di questo tipo servano a mantenere ancora a lungo lo "status quo" senza che vengano nemmeno poste le basi per un reale cambiamento?

Questo rischio rappresenta l'altra grave conseguenza del meccanismo degli indennizzi: l'assistenzialismo. Anziché mettere le comunità locali nelle condizioni di valorizzare le proprie risorse, assistiamo a uno Stato che prima occupa e devasta questi territori, impedendo lo sviluppo di pesca, turismo, oltre che la difesa dell'ambiente, e poi elargisce compensazioni ai pescatori (per non lavorare) e ai comuni (da investire in “infrastrutture e servizi sociali”). Inoltre il meccanismo degli indennizzi porta gioco forza anche a un'accettazione delle servitù militari e, specie in un periodo di crisi come quello attuale, i contributi non sono più percepiti dalla popolazione come un “riconoscimento del danno”, ma come una vera e propria fonte di reddito (e quindi valutati in maniera positiva).

I cittadini sardi hanno mai ricevuto adeguata e completa informazione dalle istituzioni sul tema della salute pubblica e dei rischi ambientali collegati alla presenza militare sull'isola o il "peso" di tutta l'informazione sul tema è ancora sulle spalle di comitati e volenterosi cittadini?

Ciò che percepiamo è una grave assenza di ricerche e successive campagne informative istituzionali a tal proposito. Un esempio su tutti: l’assenza del registro tumori sardo, uno strumento richiesto non solo dal movimento contro l’occupazione militare, ma in generale anche da quello ambientalista, ecologista e contro la presenza di industrie che inquinano la nostra terra. Se si esclude la tristemente famosa indagine delle ASL di Cagliari e Lanusei sul Poligono di Quirra del 2011 (dalla quale sono emersi dati allarmanti su malformazioni e malattie in quel territorio), in questi ultimi anni sono mancati non solo l’informazione, ma anche i dati concreti. Ci verrebbe da dire che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: perché mai un’istituzione come la Regione, che non osteggia la presenza militare, che difende l’industria pesante e gli inceneritori dovrebbe fornire dati che in qualche modo descrivono la pericolosità di queste attività?

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