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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

L'espulsione di Alma Shalabayeva fu "sequestro di persona": condannati i vertici delle forze dell'ordine

I giudici del Tribunale di Perugia hanno condannato Renato Cortese, Maurizio Improta, e i due poliziotti Francesco Stampacchia, Luca Armeni a una pena di cinque anni di reclusione e all’interdizione perpetua dei pubblici uffici

Sono stati tutti condannati gli imputati nel processo relativo all'espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia avvenuta nel 2013. Dopo otto ore di consiglio i giudici del Tribunale di Perugia hanno emesso la sentenza, in presenza di tutti gli imputati tra cui l’ex capo della Squadra Mobile di Roma e attuale questore di Palermo Renato Cortese e l’ex capo dell’ufficio immigrazione e ora al vertice della Polfer Maurizio Improta.

Caso Shalabayeva, condannati tutti gli imputati

I giudici hanno condannato Renato Cortese, Maurizio Improta, e i due poliziotti Francesco Stampacchia, Luca Armeni a una pena di cinque anni di reclusione e all’interdizione perpetua dei pubblici uffici. Il giudice di pace Stefania Lavore è stata condannata invece alla pena di due anni e sei mesi di reclusione. Gli altri poliziotti, Stefano Leoni è stato condannato a tre anni e sei mesi di reclusione mentre Vincenzo Tramma a quattro anni. Tutti gli imputati, ad eccezione del giudice di pace, sono stati condannati per sequestro di persona. Riconosciuti inoltre dai giudici anche diversi episodi di falso. Le condanne inflitte sono state superiori a quelle richieste da pubblico ministero nella requisitoria del 23 settembre.

Il pm Massimo Casucci aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati coinvolti nel caso sollecitando due anni e quattro mesi per Cortese, due anni e due mesi per Improta, un anno e quindici giorni per il giudice di pace che convalidò l'espulsione, Stefania Lavore. Condanne tra un anno e un anno e cinque mesi erano state chieste per i 4 poliziotti finiti anche loro a processo. Richieste di condanna che oggi sono state più che raddoppiate dai giudici di Perugia.

La difesa di Cortese e Improta

"Ogni singolo capo di imputazione contestato a Cortese non sussiste, ha sempre onorato il servizio". E’ quanto hanno sottolineato i difensori dell’ex capo della Squadra Mobile di Roma e attuale questore di Palermo nel corso dell’arringa difensiva del 7 ottobre scorso nel processo per il caso Shalabayeva.

Per Cortese "che Alma Shalabayeva rimanesse in Italia, fosse trattenuta o espulsa, erano questioni che per lui si possono definire assolutamente irrilevanti. Il suo interesse - ha detto in quell’udienza l’avvocato Franco Coppi, difensore dell’ex capo della Squadra Mobile di Roma - era un altro, quello di catturare una persona che oggi da tutti viene indicato come un martire ma che, in quel momento, venne segnalato da tutti come un pericoloso delinquente, una persona che ha rapporti con terroristi, se non terrorista lui stesso, accusato di avere commesso reati patrimoniali di rilevante entità”.

Cortese è l’uomo “che ha catturato Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Salvatore Grigoli, Bernardo Provenzano - ha ricordato l’altro difensore di Cortese l’avvocato Ester Molinaro - Ogni singolo capo di imputazione contestato a Cortese non sussiste. Le condotte e i fatti che gli vengono contestate non configurano reato e comunque non li ha commessi”.

"Leggeremo le motivazioni e faremo appello come è giusto che sia", ha affermato l’avvocato Ali Abukar Hayo, difensore di Maurizio Improta. "Qui si parla di un reato di sequestro di persona. Il problema per noi è il fondamento del fatto stesso. Noi riteniamo di aver dimostrato che non sussistono elementi del fatto così come ha ritenuto invece il Tribunale", ha sottolineato il difensore dopo la lettura della sentenza.

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