rotate-mobile
Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca

Sardegna, viaggio nello spopolamento: "Cultura, economia e relazioni contro l'abbandono"

La popolazione cala anno dopo anno e 31 comuni, soprattutto nelle aree interne dell'isola, rischiano di scomparire nel giro di pochi decenni. Abbiamo intervistato il collettivo Sardarch: "Occorre tracciare un nuovo percorso che esca dalle realtà accademiche e istituzionali, per creare una consapevolezza diffusa del fenomeno e coinvolgere la società civile"

La dinamica è la stessa ovunque, gli elementi non cambiano, muta solo il paesaggio: muoiono più abitanti di quanti ne nascano, i giovani vanno via e i servizi essenziali vengono ridotto all'osso. La Sardegna ha il record nazionale di culle vuote, il tasso di fertilità è il più basso in Italia: appena 1,07 figli per donna. Numeri alla mano, se le dinamiche non cambieranno il destino dell'isola è quello di diventare una sorta di splendido deserto, con la più bassa densità abitativa in Europa: secondo uno studio del "Sardinia socio-economic obervatory" entro il 2080 in Sardegna ci sarà solo un milione di residenti, un calo demografico del 34 per cento.

Il collettivo di architettura Sardarch (Francesco Cocco, Nicolò Fenu e Matteo Lecis Cocco-Ortu) è nato nel 2008 con l’obiettivo di essere un polo di discussione intorno all’urbanistica e alle trasformazioni sociali della Sardegna.  "sPOP – istantanea dello spopolamento in Sardegna", edito da LetteraVentidue Edizioni, nasce con l’obiettivo di incrementare la consapevolezza diffusa attorno al fenomeno dello spopolamento promuovendo una discussione concreta sul tema a partire dai contributi di architetti, sociologi, antropologi, storici e artisti: un’istantanea della Sardegna contemporanea a partire dall’analisi di 31 comuni con meno di 1000 abitanti "a tempo determinato", che si prevede scompariranno entro 60 anni. I dati sono ottenuti attraverso l'elaborazione di un indicatore volto a misurare lo Stato di malessere demografico (Sdm) dei comuni tenendo conto dei 13 servizi considerati essenziali (scuole, guardia medica, farmacia, ambulanza, centri anziani, uffici postali, stazioni di polizia e carabinieri).

Il volume crea un’istantanea della Sardegna contemporanea: un moderno atlante composto da infografiche, testi, geomappe e fotografia. Quello dello spopolamento è uno dei drammi più laceranti e meno raccontati della società contemporanea, in varie parti del mondo occidentale: nella Sardegna di oggi è, "semplicemente", tutto più plasticamente evidente che altrove. E' però grazie a progetti come "sPOP" che il fenomeno dello spopolamento diventa, accessibile e comprensibile a tutti. Today.it ha intervistato Francesco Cocco, Nicolò Fenu e Matteo Lecis Cocco-Ortu.

I comuni che in Sardegna rischiano di diventare in pochi anni "paesi fantasma" sono più di 30, ma il calo demografico marcato riguarda centinaia di comuni e la tendenza è in atto da decenni: come è possibile che la politica regionale sia riuscita così a lungo a "ignorare" il problema?

Il cosiddetto “effetto ciambella” non è una novità per la Sardegna. Se ne parla da decenni ma purtroppo per troppo tempo la politica nazionale e regionale non ha considerato il dato demografico che descrive da tempo chiaramente una situazione in rapida evoluzione verso uno scenario che non solo svuota i comuni dell’interno a vantaggio di pochi poli urbani ma lascia una popolazione sempre più anziana. Per troppo tempo chi ha amministrato la cosa pubblica in Sardegna e in Italia ha scelto di non mettere tutte le proprie forze in campo per occuparsene. Noi crediamo occorrerebbe porsi due domande per definire gli scenari possibili, una relativa alla opportunità e ragionevolezza della volontà politica di contrastare un fenomeno che, visto con la prospettiva della storia della permanenza dell'uomo sulla terra fatta di continua evoluzione e ricerca di "territori fertili" per il proprio insediamento, può essere considerata "semplicemente" come un ennesimo cambiamento derivato dalla stessa evoluzione del suo modo di vivere. L’altra relativa alla necessità di prendersi cura del patrimonio architettonico, urbanistico e di paesaggio che viene lasciato alle spalle. Le risposte a queste domande sono necessariamente in mano alla Pianificazione Strategica Nazionale, Regionale ed Europea. La complessità degli interventi che andranno messi in atto, la visione e la durata che dovrà caratterizzare gli stessi sono riconducibili al livello di Governo Regionale e Nazionale e alle politiche comunitarie che, attraverso i propri strumenti legislativi, dovranno agire durante un lungo lasso di tempo.  

Perché secondo voi anche chi vive nelle grandi città dovrebbe avere a cuore il presente e soprattutto il futuro dei piccoli paesi italiani che rischiano di spopolarsi nel giro di pochi decenni? Come fare a rendere il dibattito "più partecipato", allargandolo a più persone possibile, anche al di là dei confini regionali?

Il coinvolgimento del territorio e l’importanza di rendere partecipato il dibattito è sicuramente un tema centrale dell’intero progetto. Quando abbiamo iniziato ci siamo chiesti perché e in che modo il fenomeno dovesse essere affrontato. La risposta che ci siamo dati è basata soprattutto sul fatto che il territorio che si sta spopolando ha un patrimonio di storia, paesaggi, cultura, tradizioni comune a tutta la Sardegna e rappresenta una ricchezza troppo importante per l’intera comunità per permetterci di perderla senza avviare un ragionamento che ambisca alla sua immediata valorizzazione. Citando Prof. Maciocco crediamo che sia fondamentale superare il dualismo tra aree interne e poli urbani che, visto nella logica della competizione territoriale, porterebbe solo a indebolire entrambi i sistemi insediativi.  Il libro inizia con l’esortazione di Emiliano Deiana, alla responsabilità da parte di tutti: istituzioni, professionisti, società civile a farsi responsabili di un fenomeno che non è ineluttabile ma una conseguenza di scelte politiche precise che nei decenni si sono attuate non solo in Sardegna, ma anche nella penisola. La principale finalità del libro è proprio questa: tracciare un nuovo percorso di confronto e dibattito, che esca dalle realtà accademiche e istituzionali, per creare una consapevolezza diffusa del fenomeno e coinvolgere la società civile. Arrivare a parlare del problema e delle possibili soluzioni a tutti i livelli: dal piccolo bar di Semestene alla sede amministrativa del territorio regionale e nazionale.

Come valutate l’inserimento di piccoli gruppi di migranti nella situazione demografica e strutturale sarda, può costituire una valida risorsa di crescita culturale, sociale ed economica?

Durante l’incontro di presentazione del libro nella sede della Fondazione di Sardegna (promotore della edizione del libro e dell’evento) questo tema è emerso con forza perché affrontato sia dagli esperti che abbiamo coinvolto nel dibattito che in platea.  La questione dell’inserimento dei migranti è evidentemente delicata perché ha implicazioni non solo interne legate alla struttura del territorio ma, soprattutto, di solidarietà nei confronti di popolazioni in difficoltà che hanno necessità di aiuto in un periodo storico complesso nei loro territori di origine, che crediamo debba essere la base di discussione rispetto al tema.  Esistono casi in Italia come quello del piccolo comune di Sant’Alessio in Aspromonte (357 abitanti)  a pochi chilometri da Reggio Calabria che hanno creato percorsi virtuosi a partire dall’accoglienza dei migranti diventando un simbolo per l’intero mondo.  A Sant’Alessio l’immigrazione è stata vista come un’opportunità un’occasione per mantenere le scuole aperte, per creare lavoro, sia per gli immigrati sia per la gente del posto ripensando in qualche modo il sistema di welfare locale. Grazie all’iniziativa del sindaco Stefano Calabrò il comune ha aderito al  progetto SPRAR calandolo sul territorio attraverso il dialogo con la popolazione locale e sottolineandone i vantaggi economici ed occupazionali per il territorio e la comunità oltre che umanitari. Il risultato è stato talmente sorprendente in termini positivi che ora molti dei comuni limitrofi hanno deciso di attivare degli ulteriori progetti SPRAR.

Qual è la specificità più marcata dei paesi sardi che rischiano di diventare "paesi fantasma"? Quali le differenze principali rispetto alle altre regioni italiane?

Una caratteristica demografica particolarmente accentuata in Sardegna è l’indice di ricambio bassissimo, inteso come rapporto tra la popolazione potenzialmente in uscita dal mondo del lavoro (60-64 anni) e quella potenzialmente in entrata (15-19 anni), e, soprattutto, il progressivo invecchiamento della popolazione che rispetto alle altre regioni italiane è molto più rapido: la Sardegna invecchia più rapidamente delle altre regioni italiane. Rispetto alle altre regioni italiane la Sardegna è una delle più estese, con 24.000 kmq di superficie, superata solo da Sicilia e Piemonte, ed è una delle tre regioni con più bassa densità abitativa con meno di settanta abitanti per chilometro quadrato. Questo vuol dire che lo spopolamento delle aree interne dell’isola lascia un patrimonio di territorio vastissimo senza nessuno che se ne prenda cura costantemente, e il fenomeno non è distribuito in maniera omogenea nel territorio ma ci sono aree in cui è particolarmente concentrato. Una di queste, di un fascino particolare, è l’area intorno al lago Omodeo, su cui insistono due importanti unioni di comuni (Barigadu e Guilcer) in cui sono ricompresi sei dei 31 comuni oggetto del nostro studio, contando una superficie totale di 665 kmq e una popolazione di quasi ventiduemila abitanti.

Migliaia di comuni spagnoli (soprattutto in regioni come Extremadura e Castilla y Leon) sono in una situazione paragonabile a quella di tanti paesi sardi. Le dinamiche sono le stesse ovunque: poche nascite, i giovani che vanno in città, trasporti pubblici inesistenti. Può essere interessante affrontare l'argomento anche da un punto di vista "europeo"?

Il caso spagnolo per certi versi, rispetto alla Sardegna, è persino più complesso data la diversità territoriale, demografica e il grande accentramento di popolazione che città come Madrid e Barcellona hanno rispetto al resto della Spagna. Il dibattito proprio per questo motivo è sicuramente avanzato, e proprio a Ottobre dello scorso anno a MONTÁNCHEZ  si è svolto il “Congreso sobre Despoblamiento en Zonas Rurales”.  È sicuramente utile oltre che necessario comprendere in che modo si sta affrontando il tema in altri contesti con la stessa problematica stando però ben attenti a non calare ricette dall’alto e contestualizzando bene problema e soluzioni in base al territorio locale e, soprattutto, coinvolgendo e coordinando tutti i soggetti che sono interessati dal tema. È quanto mai fondamentale la coordinazione tra amministrazioni, la creazione di un'idea di sviluppo comune a lungo termine e una regia su scala territoriale. Nel libro parliamo di pianificazione collaborativa come di una strategia territoriale basata sul dialogo con il territorio che produce processi di cambiamento sociale con l’obiettivo di attivare la responsabilità diffusa dei cittadini e moltiplicare le risorse latenti della comunità attraverso processi di auto generazione.

Il ruolo giocato dai trasporti: se è vero che ovunque in Italia e in Europa hanno avuto un peso nello spopolamento dei pesi elementi come le linee ferroviarie minori abbandonate, le strade provinciali lasciate in stato di semi-abbandono, ho la sensazione che in Sardegna sia stato più devastante che altrove il peso di un sistema di trasporti pubblici allo sbando: che cosa ne pensate?

Nel nostro libro Marcello Tanca, geografo di professione, affronta il tema brillantemente parlando di “territorio senza attori e attori senza territorio”. In questa situazione di distribuzione demografica non omogenea nell’isola la debolezza della rete infrastrutturale e i problemi di mobilità che essa genera mortifica il diritto alla accessibilità delle zone interne. Infatti “gli elementi di comunicazione tra le diverse aree della Sardegna non costituiscono soltanto degli inerti artefatti materiali ma rappresentano dei dispositivi attivi in grado di favorire/inibire l’attivazione, lo sviluppo e la cessazione di relazioni sociali e quindi gli incontri e i collegamenti, sistematici o casuali, condivisi o esclusivi, tra gli attori.  Il deficit di accessibilità che riguarda diverse aree della Sardegna va letto dunque come un capitolo del più ampio deficit di territorializzazione. “Accessibilità” sta per possibilità di recarsi fisicamente in un luogo con facilità e in tempi brevi, usufruendo della possibilità di scegliere tra mezzi diversi e costi flessibili. Il fatto che l’accesso a determinati servizi richieda spostamenti a lunga distanza costituisce di per sé una mancata risposta al diritto di mobilità degli attori locali. È vero che una maggiore facilità di movimento potrebbe non incidere di per sé in maniera significativa sulla distribuzione della popolazione nel territorio, ma certo è che fornire valide alternative al trasporto privato, abbattendo i tempi di raggiungimento dei luoghi di lavoro, studio e svago e integrando le aree interne con quelle costiere rappresenterebbe l’occasione per pensare (e quindi organizzare) il territorio in maniera integrata.”

Time in Jazz a Berchidda, Isola delle storie a Gavoi, Settembre dei poeti a Seneghe, il bellissimo progetto fotografico di Gianluca Vassallo: che ruolo può avere la cultura per fare crescere le piccole comunità anche quando si chiude il sipario su eventi come quelli citati?

La cultura è centrale per la valorizzazione dei territori, quest’anno il Time in Jazz di Berchidda compie 30 anni, possiamo dire senza nessuna esitazione che è un modello da imitare, ci insegna come la musica e la cultura siano in grado di valorizzare un territorio e avere un ruolo centrale nella vita di Berchidda e degli altri paesi che lo circondano.  Nel libro approfondiamo “il fenomeno festival” e intervistiamo Paolo Fresu, lo stesso racconta in modo molto chiaro e senza interpretazioni: un festival che costa poco meno di 500 mila euro, di avere un indotto sul territorio di un milione e 500 mila euro. Quindi questo dimostra  che l’industria culturale ha un ritorno in termini monetari importante. L’altro aspetto che mettiamo in evidenza nel libro è la valorizzazione e la riscoperta dei territori dell’interno e la riattivazione anche solo temporanea di luoghi che altrimenti sarebbero abbandonati tutto l’anno. Il progetto di Gianluca e i progetti di arte pubblica sono uno strumento di attivazione di processi urbani, di appropriazione e scoperta della città e del territorio che i cittadini viviamo quotidianamente. L’arte cerca di restituire un mondo dove l’uomo diventa parte costituente dell’ambiente che lo circonda nel momento in cui entra in relazione con gli altri e con gli spazi del suo quotidiano. L’arte aiuta l’intimità delle persone a ricostruire la loro dimensione con i loro luoghi, aprendo i paesi al mondo; rendendo visibile la città invisibile.

Spopolamento in Sardegna: il progetto di Gianluca Vassallo

Quale può essere una prima "plausibile linea d'azione" da seguire nel futuro prossimo per salvare i piccoli comuni? Come superare la sensazione di "ineluttabilità della fine" che lascia addosso una passeggiata in un giorno qualsiasi per le stradine di paesini bellissimi come Monteleone Roccadoria, ad esempio, dove il rischio di spopolamento sembra davvero dietro l'angolo? 

Durante la giornata di studio che abbiamo organizzato con la fondazione di Sardegna il 17 Dicembre 2016 invitando ricercatori, professionisti, amministratori, abbiamo messo al centro della discussione 4 tematiche: CULTURA, ARTE PUBBLICA, ECONOMIA LOCALE, MIGRAZIONI.  Partendo da questi aspetti,centrali nel libro, abbiamo impostato una riflessione con i vari esperti presentando alcune “buone pratiche” che stanno accadendo oggi sul territorio italiano.  Crediamo che partire da queste tematiche, come raccontato per la cultura nella domanda precedente, sia la chiave per poter immaginare delle possibili linee  azioni. Va precisato inoltre che noi individuiamo due scale di interventi linea d’azione “Macro-Interventi” e “Micro-Interventi”, entrambi importanti per affrontare il problema. Una possibile risposta a questa domanda la stanno già fornendo, spesso anche in maniera inconsapevole, le stesse comunità attraverso micro iniziative di diversa natura (economiche, sociali, culturali, enogastronomiche, ecc), di frequente nate attraverso iniziative bottom-up degli stessi cittadini, anche a basso costo, temporanee; carendo spesso di una regia su scala territoriale. Nei macro Interventi possiamo sicuramente elencarne due: la Strategia Nazionale per le Aree Interne e il riordino delle Autonomie Locali con il potenziamento del ruolo delle Unioni dei Comuni e il disegno di legge sulle misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

Con infografiche, testi, geomappe e fotografie, nel vostro lavoro fornite una chiave di lettura accessibile a tutti i lettori. Quale è per voi il "paese simbolo" di maggiore impatto per raccontare la Sardegna interna che rischia di scomparire?

Non esiste un paese simbolo, ma se proprio ne dovessimo raccontare uno ci piace raccontare Baradili. Baradili è un paese che conta 84 abitanti e nell’analisi dei servizi primari che abbiamo fatto ha un indice pari a 0. Questo significa che non c’è una banca, non c’è una farmacia, non ci sono scuole e tanti altri servizi primari.  Nonostante questo lo chef stellato Roberto Petza ho scelto di aprire una pizzeria Km0, tutti i prodotti utilizzati nelle pizze arrivano dal territorio circostante. Questo è il segno che attraverso la valorizzazione del nostro territorio, dei nostri prodotti si può magari non arginare lo spopolamento, ma pensare a Baradili in modo diverso e iniziare a vedere il suo futuro non come quello di un malato terminale, ma di un luogo dove si crea e valorizza il proprio territorio. 

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Sardegna, viaggio nello spopolamento: "Cultura, economia e relazioni contro l'abbandono"

Today è in caricamento