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Venerdì, 29 Marzo 2024
CASO CUCCHI

Minacce e offese al carabiniere sotto inchiesta per la morte di Cucchi: 31 indagati

I post incriminati vennero pubblicati fra il 4 e il 5 gennaio 2016, quando Ilaria Cucchi condivise sul suo profilo Facebook una foto del militare indagato

BRINDISI - La procura di Brindisi ha emesso 31 avvisi di conclusione delle indagini a carico di altrettante persone che avrebbero diffamato (e in alcuni casi anche minacciato) su Facebook un carabiniere brindisino indagato insieme ad altri quattro colleghi nell’ambito dell’inchiesta riguardante la morte di Stefano Cucchi. L’informazione di garanzia, recante la firma del pm Giuseppe De Nozza, è stata notificata a 23 brindisini (di cui due difesi dall’avvocato Luca Leoci), a cinque mesagnesi e ad altre tre persone residenti rispettivamente a Erchie, Fasano e San Pancrazio Salentino.

I post incriminati vennero pubblicati fra il 4 e il 5 gennaio 2016, quando la sorella di Stefano Cucchi, Ilaria Cucchi, condivise sul suo profilo Facebook una foto in cui il militare brindisino posava in costume da bagno, con lo sfondo di una scogliera, spiegando così la sua scelta: "Volevo farmi del male, volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo. Le facce di coloro che lo hanno ucciso. Ora questa foto è stata tolta dalla pagina. Si vergogna? Fa bene".

Il legale del militare brindisino, Elio Pini, all’epoca dei fatti annunciò che il suo assistito avrebbe querelato gli utenti del social network che lo avevano sommerso di "minacce di morte rivolte a lui e ai suoi famigliari". Un paio di indagati lo minacciarono infatti di “spezzargli le gambe” e di fargli “sputare sangue”. Un altro scrisse: “Speriamo di trovarlo a posto di blocco quando sto con il camion a pieno carico”.

L’inchiesta sulla morte di Cucchi, intanto, prosegue. Il carabiniere brindisino è stato iscritto sul registro degli indagati nell’ottobre del 2015, insieme ai due colleghi con cui la notte fra il 15 e il 16 ottobre del 2009 prese parte alla perquisizione presso l'abitazione di Cucchi, appena fermato per spaccio di hascisc e cocaina in un parco di Roma.

Fu la procura capitolina ad aprire un nuovo fascicolo sul decesso del geometra romano, dopo l’assoluzione in Appello di tre infermieri, sei medici e tre agenti della polizia penitenziaria a carico dei quali venne istruito un processo. Oltre a partecipare alla perquisizione domiciliare, gli indagati condussero Cucchi dalla casa dei suoi genitori alla caserma Appia, a Roma. Da lì successivamente l'arrestato venne trasferito presso la caserma di Tor Sapienza. Poi venne condotto presso il carcere di Regina Coeli. Sette giorni dopo, Cucchi morì presso l’ospedale Sandro Pertini. Sul suo corpo vennero riscontrate lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (inclusa una frattura della mascella), all'addome (inclusa un'emorragia alla vescica) e al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale).

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