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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Le indagini / Agrigento

La lite per l'eredità e le tante pistole: cosa sappiamo della strage di Licata

Angelo Tardino, il 48enne che ha ucciso al culmine di una lite il fratello, la cognata e i nipoti, ha utilizzato tre armi differenti per compiere i delitti. Al momento mancano ancora all'appello due rivoltelle

Una famiglia sterminata al culmine di una lite, prima di rivolgere l'arma contro se stesso. La strage commessa a Licata, comune in provincia di Agrigento, dal 48enne Angelo Tardino, nasconde ancora tanti dettagli ancora da chiarire. L'unica cosa certa sono le vittime, quattro: il fratello, la cognata i due nipoti di 11 e 15 anni, a cui va aggiunto anche l'omicida.

Secondo una prima ricostruzione tutto è iniziato con le prime luci del mattino in contrada Safarello, dove si trova la casa di campagna di Diego, il fratello 45enne di Angelo, che vive nella stessa zona dove sono situati i terreni lasciati in eredità dal padre, tutti coltivati a primizie e al centro della contesa tra i due. Tra i due fratelli sarebbe scoppiata una violenta lite, l'ennesima, per questioni di spartizione delle aree coltivate, con Angelo Tardino che ha tirato fuori la pistola e ha aperto il fuoco, prima per uccidere i suoi familiari e poi per farla finita. L'uomo, trasportato in elisoccorso all'ospedale Sant'Elia di Caltanissetta in "coma irreversibile, piantonato dai carabinieri", come spiegato dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, è deceduto in tarda mattinata a causa delle gravi lesioni.

Strage di Licata: Angelo Tardino ha usato tre pistole

Da quanto scoperto dagli inquirenti, il 48enne ha utilizzato tre diverse pistole per portare a termine la strage. Durante il litigio, Angelo Tardino ha estratto una pistola Beretta calibro 9x21 e fatto fuoco contro il fratello Diego e la cognata Alexandra Angela Ballacchino, 40 anni. I due nipoti Alessia di 15 e Vincenzo di 11 anni, sono stati assassinati con una rivoltella; il piccolo sarebbe stato trovato sotto il letto avvolto con una coperta. L'omicida, secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dal procuratore Luigi Patronaggio e dal sostituto Paola Vetro, è poi salito in auto raggiungendo via Mauro De Mauro sparandosi alla tempia con una pistola a tamburo marca Bernardelli.

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(Angelo Tardino - Foto Ansa)

Due delle tre armi utilizzate nella tragedia erano legalmente detenute, delle terza non si hanno notizie. I militari dell'Arma, avvisati dalla moglie, si erano messi sulle tracce dell'uomo con cui avevano parlato telefonicamente per convincerlo a costituirsi, ma inutilmente: durante la conversazione, ha rivolto contro di sé la pistola e ha fatto fuoco. È stato rintracciato nell'abitacolo, in via Mauro De Mauro: in primo tempo era stata comunicata la sua morte, poi i sanitari hanno rilevato che era ancora vivo, seppure in condizioni disperate; è morto poche ore dopo nell'ospedale del capoluogo nisseno.

Mancano all'appello due armi dell'omicida

Non sono state rinvenute due delle quattro armi, tutte regolarmente detenute, di Angelo Tardino. Si tratta della Calibro nove usata per uccidere i parenti, e il revolver utilizzato per uccidersi. Mancano all'appello una pistola e un fucile di proprietà di Tardino. Gli inquirenti domani torneranno sul luogo della strage per vedere se le Armi sono state gettate in zona. Anche una delle vittime, Diego Tardino aveva una pistola regolarmente detenuta. L'arma però è rimasta all'interno della cassaforte nella sua abitazione. Gli investigatori non sono riusciti ad aprirla e domani sarà chiamato un fabbro per aprirla. La casa e la Zona attorno è stata sottoposta a sequestro. 

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