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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Niente Festa del papà: la tenerezza negata ai figli dei padri morti ammazzati

A quarant’anni dalla strage di via Fani, le offese di una dei colpevoli dell’omicidio dei cinque agenti della scorta di Aldo Moro indignano, raggelano e sconcertano i figli di quei padri uccisi

“Caro papà, oggi è la tua festa. Ti scrivo questa lettera per dirti che sei il papà più buono del mondo e che ti voglio tantissimo bene”. Magari qualcuno oggi si troverà a leggere una frase del genere riportata a penna e con grafia incerta dal figlio alle prime armi con la scrittura. 

Prima era un classico dell’infanzia: nel giorno della festa di San Giuseppe, a scuola le maestre invitavano gli alunni a scrivere la famosa ‘letterina per il papà’. Lui se la ritrovava a pranzo, sotto al piatto, fingendo lo stupore tenero che gratificava il suo piccolo da stringere forte, a lungo, nell’abbraccio più caldo che c’è.

Oggi basterà un sms, una ‘gif’, un selfie con la bocca protesa al bacio, ma un tempo si usava così, quarant’anni fa di sicuro. 

Forse il 19 marzo 1978 Maria Fida, Giovanni, Agnese e Anna Moro, Giovanni e Paolo Ricci, Sandro e Cinzia Leonardi non erano più nell’età di sorprendere il loro genitore con una frase scritta, ma sicuramente “auguri papà!” glielo avrebbero detto.

Invece no. 

Per loro, figli di un padre sequestrato e rinchiuso in una sottospecie di prigione prima di essere ammazzato nel portabagagli di un’auto, e di due dei cinque uomini della sua scorta morti sotto i colpi di armi da fuoco, fu la prima di un’eterna serie di Feste-del-papà in cui l’assenza del festeggiato avrebbe pesato come un macigno sulle 24 ore e su quelle a venire. Giorno dopo giorno, dopo giorno. Fino ad oggi, 19 marzo 2018, e oltre. 

Quarant’anni dalla strage di via Fani

Venerdì scorso l’Italia intera ha ricordato i quarant’anni della strage di via Fani, a Roma, compiuta da un commando delle Brigate Rosse che freddamente, a colpi di mitra, alle 9.02 di quel giorno del 1978, tolse barbaramente la vita a Domenico Ricci (42 anni), Oreste Leonardi (52 anni), Giulio Rivera (24 anni), Francesco Zizzi (30 anni) e Raffaele Iozzino (25 anni), carabinieri e poliziotti di scorta al presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro che in quell’agguato venne rapito. 

La coincidenza più assurda e lontana anni luce dalla logica del più banale buon senso, ha voluto che nelle stesse ore in cui istituzioni, media e social tributavano tutti gli onori del caso al martirio delle cinque persone e alla figura dell’esponente della Dc, la ex componente della colonna romana delle Br Barbara Balzerani, condannata per l’omicidio dell’onorevole Moro e per la strage che lo ha preceduto di 55 giorni, argomentasse in maniera discutibile il suo diritto a parlare a 40 anni dai tragici fatti che lei stessa ha provocato.

È successo al centro sociale Cpa di Firenze: a margine della presentazione del suo libro durante la quale non è mai stato fatto cenno alla strage di via Fani, la 69enne ex Primula Rossa delle Brigate Rosse - mai pentita né dissociata - ha commentato le dichiarazioni del capo della polizia Franco Gabrielli (“Riproporre oggi i brigatisti in televisione è un oltraggio ai morti”) sostenendo che “c’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere. Questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola... Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te”.

Il ricordo a 40 anni dalla strage di via Fani (foto Ansa)

“Un’assassina privilegiata”

Giovanni, figlio del carabiniere Domenico Ricci assassinato quel 16 marzo, è rimasto stravolto nell’apprendere che davvero, sì davvero, quelle parole sono state pronunciate da chi ha fatto in modo che ci fossero delle vittime, le stesse che ora ‘dovrebbero’ spartire con lei il diritto di parlare. 

“Ma come fa la Balzerani a dire che quello della vittima sarebbe un mestiere!” - ha dichiarato Ricci al Corriere - “E lei, che è un’irriducibile, che non s’è mai pentita, che l’arrestarono nell’85 e dopo vent’anni di carcere, nel 2006, era già fuori con la libertà condizionale? Lei cos’è allora? Una privilegiata? Già, un’assassina privilegiata. Ecco cos’è. E tale rimarrà per sempre”. 

Anche Luca Moro, nipote dello statista, ha criticato le affermazioni della Balzerani (“Noi non abbiamo scelto di essere vittime. Voi piuttosto avete scelto di fare i brigatisti e di piombare nelle nostre vite distruggendole. Negli ultimi 40 anni avete avuto lo spazio, la voce e la visibilità. Cose che a noi sono state negate”), così come Potito Perruggini Ciotta, nipote del brigadiere Giuseppe Ciotta, ucciso il 12 marzo 1977 a 29 anni a Torino da un commando di Prima Linea, e Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage mafiosa di via dei Georgofili a Firenze (26-27 maggio 1993): "Taccia la Balzerani. E a quelli come lei circoli e tv smettano di dare microfoni in mano. È l’ora di avere più rispetto” è il suo pensiero riportato sempre dal Corriere.

“Che palle lo dico io”

Ma non è la prima volta che la Balzerani si lascia andare nello sfogo di una personalissima opinabile amarezza. Già tempo fa l’artefice della rivendicazione aveva dichiarato: “Che palle, sta per arrivare il quarantennale della strage. Chi mi ospita oltre confine?”. 

Mettendoci la faccia in un video pibblicato su Youtube, la primogenita dell’onorevole Moro, Maria Fida, ha risposto duramente a quell'affermazione beffarda che ha tutte le caratteristiche dell'offesa: “Che palle il quarantennale lo dico io. Che non l’ho provocato e che anzi l’ho subìto e che ho il titolo per dirlo, perché il quarantennale mi dà dolore”. 

“Il dolore, chi lo conosce, non si permette mai di crearne di aggiuntivo ad altri” ha tuonato ancora Moro: “Un sano silenzio sarebbe la cosa migliore per loro, per noi, per questo ex Paese, per tutto”.

‘40 anni fa’ ormai è storia. Ai ragazzi di domani si spera venga spiegata con la lucidità utile per guidare verso un'oggettiva ricostruzione dei fatti ancora segnati dall’intermittenza di verità e bugie, insabbiamenti e tentativi di ricostruzioni. 

Ciò che resta dentro oggi, 19 marzo 2018, è un’umana commozione, la rabbia verso un’assenza imposta a colpi di mitra, la negazione di un ultimo addio a figli che “volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli” sono stati privati di “un’immensa tenerezza”. Quella di un uomo a cui non poter dire ancora “tanti auguri papà”. 

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