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Giovedì, 25 Aprile 2024
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"Case popolari ai rom": scoppia la polemica

Il progetto 'La città possibile' sostituisce i normali sgomberi dei campi con progetti volti all'integrazione. Dai social network scoppia la protesta di molti cittadini di Torino: "Case a loro, a noi nulla". Ma quei soldi possono essere utilizzati solo così

TORINO - Al posto di sgomberare il gigantesco campo rom di Lungo Stura Lazio, il comune di Torino ha deciso di mettere in piedi un progetto diverso. Negli anni scorsi molte amministrazioni di fronte alla famosa "emergenza nomadi" avevano deciso di applicare il metodo dello sgombero, in particolare nelle grandi città del nostro paese, come Roma e Milano.

Il metodo torinese è invece diverso sin dal nome. Si chiama decontrazione ed è una delle parti del progetto 'La città possibile', coordinato dalla cooperativa Animazione Valdocco e finanziata con 5 milioni di euro provenienti dai fondi che l'unione europea ha destinato per l'emergenza campi rom.

Stessa cifra che negli anni scorsi avevano a disposizione anche gli altri comuni, che hanno però applicato il metodo dello sgombero. Il progetto piemontese ha comunque l'obiettivo di liberare la città dai campi abusivi ma in più si prefigge di "liberare chi vive da condizioni disumane", come spiega Paolo Patrucci presidente della cooperativa che coordina il progetto.

A Lungo Stura Lazio vivono circa 850 persone radunate in più di 120 famiglie. Chi viveva nei campi è stato seguito durante il processo di decontrazione del campo e le associazioni che hanno collaborato al progetto confrontandosi con le varie famiglie, hanno poi fatto sapere quale fosse la soluzione abitativa alternativa che i singoli avevano scelto.

Sono le stesse famiglie che 'smontano' l'accampamento. Le prime famiglie che lo hanno lasciato erano anche quelle con le condizioni economicamente più agiate, ovvero con almeno un capofamiglia con un lavoro stabile, che nel momento in cui avessero lasciato l'accampamento, avrebbero solo avuto il problema di una casa.

Sono state così accompagnate in un complesso di "social housing" in corso Vigevano, nella periferia del capoluogo piemontese. Qui risiederanno temporaneamente in vista dell'assegnazione di un alloggio. La coop Valdocco assicura che la permanenza durerà al massimo due anni, pagando affitto e utenze. Nei prossimi mesi verranno valutate due strade: il rimpatrio volontario o il trasferimento in altri terreni autorizzati, aree camping. L'idea è di completare l'operazione entro 24 mesi.

Intanto sui social network è scoppiata la polemica, come spiega TorinoToday: in città alcuni residenti hanno espresso malumori per la soluzione abitativa 'concessa' ai rom. Il tutto nello stesso periodo della scadenza della mini-Imu, il rimbocco alla tassa per la casa. “Stiamo impazzendo – dichiara Vito - ci sono italiani con bimbi che dormono in macchina e il Comune cosa fa? Presta le case ai rom”.

"La destinazione data a queste famiglie è temporanea. Non sono queste case popolari con lista e graduatoria. Nessuno ha superato nessuno - afferma Carlo Stasolla dell'associazione XXI luglio -  E' la prima volta che in Italia ci si impegna tanto per un progetto di inclusione. Può diventare un esempio virtuoso. La grande sfida è chiudere l'insediamento senza lo sgombero ma con soluzioni diversificate alle famiglie rom. Per ora continueremo a monitorare il progetto", conclude.

I 5 milioni che si spenderanno in questi mesi “sono fondi europei destinati ai rom che non possono essere stanziati per altri progetti”, spiega il consigliere della circoscrizione sei di Torino Fabrizio Genco. "Fosse per me le baracche le avrei rase al suolo con delle ruspe”, dichiara Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega Nord torinese, ancora più "determinato" di quelle amministrazioni che hanno messo in atto sgomberi.

Le case temporanee di Corso Vigevano a Torino - P. Versienti

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