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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Niente funerali pubblici per Totò Riina, la Cei: "La Chiesa condanna la mafia"

"La presenza di un sacerdote per accompagnare con la preghiera la salma”, qualora la famiglia lo volesse, “non si può negare a nessuno”, fa sapere il portavoce della Conferenza Episcopale Italiana

Niente funerali pubblici in chiesa per Totò Riina, il boss mafioso morto nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma in regime di 41 bis. “La condanna della mafia da parte della Chiesa è chiarissima. Alla luce di questa posizione, sono da escludere funerali pubblici per Riina”, ha spiegato all’agenzia Askanews il portavoce della Conferenza episcopale italiana, mons. Ivan Maffeis.

“Alla Chiesa sta a cuore l’educazione delle coscienze, l’educazione alla legalità, sostenere le tante persone che alzano la testa contro la mafia”, spiega il sacerdote. Altro, prosegue don Maffeis, sarebbe, se la famiglia lo chiedesse, “la presenza di un sacerdote per accompagnare con la preghiera la salma”, cosa che “non si può negare a nessuno”. Per il portavoce della Cei, anche per un boss mafioso “ovviamente c’è il tribunale di Dio, al quale non ci sostituiamo, ma dobbiamo considerare anche l’importanza dei segni”. E “i funerali pubblici per Riina sarebbe un segno che confonde”.

L'ultima foto di Totò Riina 

Con la morte di Totò Riina, capo assoluto della mafia più sanguinaria, si chiude per sempre un’epoca: quella dei “corleonesi”, dal nome del paese di Corleone di cui il clan era originario. Il padrino ha costituito per oltre mezzo secolo un binomio indissolubile con Bernardo Provenzano e formato, insieme a Lelouca Bagarella, quel “triumvirato” che ha governato Cosa nostra, portandola nel terzo millennio. Abbandonanti cioè i campi dell’entroterra siciliano, la mafia di Riina ha infiltrato i tavoli dei grandi appalti miliardari di opere pubbliche, sviluppato grossi traffici internazionali di droga, e sferrato gli attacchi frontali e sanguinari allo Stato in quella che è passata alla storia come “strategia stragista” del biennio ’92-’93.

Riina, l'uomo delle stragi che sfidò lo Stato | Ansa

Oltre al binomio indissolubile con Cosa nostra, che il suo nome rappresenta, Riina è al centro di un’altra pagina oscura della storia d’Italia. Quella relativa alla cosiddetta “trattativa” tra Stato e mafia. Un vero e proprio accordo tra alcune frange istituzionali, e il crimine organizzato per porre fine alla strategia stragista del biennio 92-93. Riina, in particolare, avrebbe posto, tramite l’intercessione di Vito Ciancimino, alcune condizioni tra le quali la revisione della sentenza del Maxiprocesso, l’alleggerimento del 41bis, e la revisione delle norme in tema di pentiti e sequestro dei beni ai mafiosi.

Dal giorno del suo arresto, Totò Riina ha collezionato numerose condanne all’ergastolo. Nell’ottobre del 1993 viene condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio del boss Vincenzo Puccio. L’anno dopo rimedia un altro ergastolo per l’omicidio di tre pentiti e quello di un cognato di Tommaso Buscetta. Quindi ancora ergastoli per le stragi di Capaci, e via D’Amelio; poi per gli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della Mobile Boris Giuliano, e del professor Paolo Giaccone. Nel 2000 subisce un’ulteriore condanna all’ergastolo per gli attentati di Firenze, Milano e Roma. Altri ergastoli, Riina li ha rimediati per omicidi commissionati tra il 1983 e il 1992.

Rita Dalla Chiesa: "La morte di Totò Riina non è consolatoria" 

Al novembre del 2013 risalgono le minacce rivolte da Riina al magistrato Nino Di Matteo, il pm del processo sulla “trattativa” Stato-mafia che aveva retto l’accusa in numerosi procedimenti penali a suo carico. La salute dell’anziano boss ha continuato a creargli problemi nel marzo del 2014, quando venne nuovamente ricoverato. Nel 2017, date le gravi condizioni di salute, gli avvocati di Riina avevano chiesto al Tribunale di sorveglianza di Bologna il differimento della pena con la detenzione domiciliare. Il 19 luglio scorso il Tribunale si è però pronunciato negativamente respingendo la richiesta.

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