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Giovedì, 28 Marzo 2024
Mafia

Strage del Rapido 904, chiesto rinvio a giudizio per Totò Riina

Secondo la prucura di Firenze il capo di Cosa Nostra fu il “mandante, determinatore e istigatore della strage”. L’attentato, in cui persero la vita 16 persone, inaugurò la stagione delle stragi

Per la procura di Firenze Totò Riina fu “mandante, determinatore e istigatore della strage da lui programmata e decisa con l’impiego di materiale (esplosivo e congegni elettronici) appartenente all'organizzazione ed utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi degli anni ‘90”. Così scrivono i pm fiorentini in un’integrazione al capo di imputazione del capo di Cosa Nostra nell'ambito del procedimento sulla strage del Rapido 904. Per questo la procura toscana ha inoltrato la richiesta di rinvio a giudizio per il boss di Corleone. Nella strage del Rapido 904, del 23 dicembre 1984, persero la vita 16 persone. L’inchiesta e' iniziata a Napoli ma, su decisione della Cassazione, è stata trasferita a Firenze.

I pm della Dda di Napoli avevano riaperto l’indagine sulla base di nuove dichiarazioni di pentiti di mafia e di camorra, tra cui Giovanni Brusca. Secondo la procura campana – che aveva chiesto e ottenuto una nuova ordinanza di custodia cautelare per Riina eseguita il 27 aprile 2011 – la strage del Rapido 904 rientrava nella strategia stragista perseguita dai Corleonesi e rappresentò la prima “risposta” ai mandati di cattura relativi al maxi processo emessi nel settembre 1984 da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

L’inchiesta è stata poi trasferita a Firenze: titolari sono il procuratore Giuseppe Quattrocchi e il magistrato della Dda Angela Pietroiusti. La procura di Firenze fu la prima a indagare sulla strage, che avvenne in una galleria dell'Appennino, fra il capoluogo toscano e Bologna. Nel 1992 divennero definitive le condanne, fra gli altri, per il cassiere della mafia Pippo Calò, per il suo braccio destro Guido Cercola e per Friedrich Schaudinn, accusato di aver messo a punto il radiocomando della bomba. Secondo quanto emerso nell’inchiesta napoletana, l’esplosivo aveva una combinazione simile a quello poi utilizzato all’Addaura e in via D'Amelio.

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