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Martedì, 23 Aprile 2024
Maxifrode / Rimini

La truffa da 440 milioni sulle misure di sostegno covid

Otto persone sono finite in carcere e altre quattro ai domiciliari, mentre nei confronti di venti imprenditori è stata disposta l'interdizione all'esercizio di impresa e per tre commercialisti l'interdizione all'esercizio della professione

Soldi stanziati dallo Stato per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà a causa della pandemia e finiti invece in modo illecito nelle mani di professionisti, imprenditori e commercialisti che non ne avevano diritto. È la maxifrode scoperta dalla guardia di finanza in un'indagine partita da Rimini e poi estesa a diverse regioni. Complessivamente sono 78 le persone indagate e 35 le misure cautelari emesse dal gip, mentre è di 440 milioni l'importo complessivo dei fondi illecitamente percepiti. Otto persone sono finite in carcere e altre quattro ai domiciliari, mentre nei confronti di venti imprenditori è stata disposta l'interdizione all'esercizio di impresa e per tre commercialisti l'interdizione all'esercizio della professione.

Secondo quanto emerso dalle indagini della guardia di finanza, gli indagati farebbero parte di un'associazione con base a Rimini ma con ramificazioni in tutta Italia responsabile - secondo l'accusa - di aver creato e commercializzato per un importo di 440 milioni i falsi crediti di imposta, lo strumento introdotto tra le misure previste dal governo con il decreto Rilancio del 2020 per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà. L'esecuzione delle misure è scattata oltre che in Emilia-Romagna anche in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto.

I finanzieri di Rimini, assieme agli altri reparti territoriali, allo Scico (servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) e al nucleo speciale frodi tecnologiche, hanno eseguito anche un'ottantina di perquisizioni e sequestrato i falsi crediti d'imposta, beni e società per il reato di indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato. Tra gli indagati, nove avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza, mentre altri tre avevano precedenti per associazione di stampo mafioso.
 

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