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Giovedì, 18 Aprile 2024
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A 10 anni da Fukushima: la tragedia che ricorda come anche l'Italia è a rischio tsunami

A spiegare come l'Italia sia vulnerabile ai maremoti e impreparata ai terremoti è Alessandro Amato, sismologo dell'Ingv. Dopo la tragedia nucleare in Giappone, vediamo che cosa ci si può aspettare nella nostra penisola

Era il marzo 2011 quando avvenne il disastro nucleare di Fukushima Daiichi, in Giappone, dove il terremoto e il conseguente tsunami provocarono la fusione dei noccioli della centrale nucleare, devastando un’intera zona costiera, con centinaia di morti e circa mezzo milione di persone in fuga. Sono passati 10 anni da quella che viene considerata la più grande tragedia nucleare della storia dell’uomo dopo Cernobyl. Da allora, anche l’Italia ha accelerato il piano di prevenzione. Anche l’Italia è a rischio tsunami. Tanto che nel 2017 l’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni emanò una direttiva con cui istituì il Siam (Sistema nazionale di allerta per i maremoti indotti da sisma), promosso e coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile e coinvolge anche l’Istituto di geofisica e vulcanologia (Ingv) E L'Ispra. Proprio dell’Ingv fa parte il Centro di allerta Tsunami, il cui responsabile è Alessandro Amato, già direttore del Centro nazionale dei terremoti, il quale mette in guardia il paese. “Abbiamo fatto passi in avanti e siamo preparati, ma deve migliorare il sistema di comunicazione al cittadino. Di fronte ai terremoti siamo ancora impreparati”.

Sicuramente dal disastro nipponico, l’Italia si è data da fare per prevenire eventuali cataclismi. “Oggi esiste un sistema di allertamento che prima era sperimentale e adesso è operativo. Infatti, in occasione del terremoto di Samo, in Grecia, nell’ottobre scorso, noi abbiamo inviato un’allerta tsunami dopo 8 minuti dal sisma. E’ un tempo buono se pensiamo che un terremoto nelle zone di Zante o Creta, potrebbe generare uno tsunami che impiegherebbe dai 30 ai 50 minuti per raggiungere le coste italiane. Sono fenomeni pericolosi e il sistema di anticiparli c’è, ma devono migliorare le caratteristiche della comunicazione diretta ai cittadini”. Infatti ad oggi, se ci fosse un pericolo per il nostro Paese, l’allarme passerebbe per la Protezione Civile, che avvertirebbe direttamente le autorità locali, principali incaricate di rivolgere poi l’attenzione dei cittadini al problema. Ma un modo diretto per avvisare i cittadini, magari usando il web? “Stiamo pensando a diversi sistemi” ha chiosato Amato.

Una cosa è certa, un maremoto è possibile in Italia e, a differenza di quanto potrebbe pensare qualcuno, sono possibili inondazioni anche sulle coste del Centro Italia come ad esempio il versante centrale dell’Adriatico. “Ci sono zone sismiche nei Balcani che possono generare piccoli tsunami anche nel mare Adriatico. Poi ci sono movimenti nel mar Ionio, che possono coinvolgere Puglia, Calabria e Sicilia orientale. Inoltre sappiamo che storicamente ci possono essere fenomeni anche nel mar Ligure e nel Tirreno. Certo parliamo comunque di diverse probabilità e frequenze. Sono comunque fenomeni rari, ma troppo poco conosciuti e affrontati”.

Difficile stilare una classifica dei luoghi più a rischio, ma l’esperto spiega come siano più vulnerabili le zone con una lunga estensione di costa bassa, dove ci sono centri urbani molto vicino alla costa e dove si sfociano a mare i fiumi perché “da lì le onde risalgono più facilmente verso l’entroterra ingrossando il canale”. Sembra tutto così fantascientifico in un paese come l’Italia, dove c’è anche chi va al mare dalla primavera all’autunno inoltrato e mai si immaginerebbe di trovarsi di fronte un muro d’acqua. Eppure è già successo. “Storicamente, lo tsunami più conosciuto d’Italia, è quello seguito al terremoto che nel 1908 ha colpito Messina e Reggio Calabria, dove l’acqua ha raggiunto la quota topografica di 13 metri. Il che non significa che le onde fossero così alte, ma che l’acqua è del mare è penetrata nell'entroterra fino a raggiungere un picco di 13 metri sopra il livello del mare. A Fukushima si toccarono i 35 metri”.

Dunque un fenomeno poco conosciuto, ma per il quale siamo abbastanza pronti. Proprio oggi c’è stata una esercitazione nel catanese, come in tutto il mar Mediterraneo. Ma per quanto riguarda i terremoti? C’è da stendere un velo se lo stesso ex direttore dell’Ingv dice senza remore: “Non siamo messi bene”. Il motivo è presto detto. Nonostante le esperienze anche recenti di tragedie immani come il Centro Italia nel 2016 e l’Aquila nel 2009, la politica non ha mai fatto nulla per mettere in sicurezza gli edifici. “Temo sia proprio così: non si è fatto molto per ridurre vulnerabilità degli edifici, se non in zone in cui, dopo il terremoto, e si è riscostruito subito. Ma dove il terremoto ha fatto tremare tutto 50 o 100 anni fa, non si è fatto nulla”.

E allora c’è poco da inventari, in Italia bisognerebbe investire nella costruzioni e ristrutturazione di edifici in modo da renderli antisismici e chissà che proprio il Recovery Fund no sia l’occasione giusta? “Sembra un discorso drastico, - conclude Alessandro Amato - però ogni volta vediamo terremoto e poi si pensa che non ricapiti più o in generale che non posa capitare proprio a noi, qui e adesso. Ma se si va avanti così, prima o poi un terremoto torna. E allora diamoci un tempo anche lungo, come hanno fatto in California, magari ci diamo 10 o 20 anni di tempo, ma mettiamo in sicurezza gli edifici una volta e per sempre”.

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