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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Migranti, così hanno riconosciuto i cadaveri di parenti e amici: "Il naufragio ti lega a vita"

Un team di Medici Senza Frontiere (MSF) ha fornito supporto psicologico ai 13 superstiti - 6 donne della Costa d’Avorio e 7 uomini della Tunisia - dell’ultimo naufragio di Lampedusa. Il racconto di un momento durissimo: "Ora non separate i due gruppi"

Sono stati momenti duri, difficili da raccontare. Da sabato a martedì un team di Medici Senza Frontiere (MSF), formato da un psicologo e un mediatore interculturale, ha fornito supporto psicologico a 13 superstiti - 6 donne della Costa d’Avorio e 7 uomini della Tunisia - dell’ultimo naufragio di Lampedusa, assistendoli durante il difficile e doloroso riconoscimento dei corpi di familiari e amici.

Il naufragio si è verificato a 6 miglia da Lampedusa nella notte fra domenica 6 e lunedì 7 ottobre. Sono 9 le ultime salme recuperate nei giorni scorsi. Tra loro anche una giovanissima mamma e un piccolo di pochi mesi, abbracciati. All'appello mancano, sulla base dei 12 cadaveri avvistati dal Rov della Guardia costiera, ancora tre corpi. 

Dario Terenzi, psicologo di MSF, ha accompagnato i sopravvissuti in questo drammatico momento: "La fase del riconoscimento dei corpi, durata circa 3 ore, è stato un momento di dolore e angoscia. Tutti erano tesissimi e alcuni tremavano al terrore di rivedere i corpi dei compagni di viaggio. Ho sentito le loro vibrazioni gli attimi prima in cui avrebbero visto le foto che ritraevano ciò che resta dei loro familiari o amici. I corpi dei naufraghi sono straziati. Una ragazza ci ha chiesto perché alcuni fossero diventati bianchi. L’acqua marina ha corroso i corpi fino a trasformare il colore della pelle. Il mare li ha trasformati a tal punto da stravolgere le fattezze dei volti. E così il riconoscimento è avvenuto tramite un capo di abbigliamento o un segno particolare". 

"Ha riconosciuto il compagno perso in mare dalla felpa che indossava"

"Come per una ragazza ivoriana che ha riconosciuto il compagno perso in mare dalla felpa che indossava quel giorno. Era terrorizzata, ma ha voluto rivedere il suo compagno. È crollata un attimo dopo sciogliendosi e scomparendo dentro un lungo pianto di straziante dolore e disperazione. L’abbiamo assistita e poi accompagnata nella sua camera dove lentamente, anche grazie all’aiuto insostituibile delle sue compagne di viaggio, si è ripresa. Prima di andar via ci ha timidamente salutati e, abbozzando un sorriso, ha pregato affinché dio ci benedicesse".

"Tutti i nostri pazienti hanno raggiunto un livello appena sufficiente di tranquillità, non certo di serenità - spiegano i professionisti di Medici Senza Frontiere - Quando li abbiamo incontrati il primo giorno avevano lo sguardo fisso, erano rigidi, alcuni non parlavano affatto. Ancora oggi molti di loro hanno incubi, difficoltà ad addormentarsi, paura a rimanere soli, c’è chi non dorme da giorni, non hanno fame, e hanno raccontato di essere sopraffatti da immagini e pensieri intrusivi, rivedono e rivivono in continuazione le immagini del naufragio. Prevale ed è palpabile un forte senso di disagio, estrema sofferenza e frustrazione. Infatti, molti continuano a domandarsi perché siano ancora vivi, perché loro ce l’hanno fatta.

L'appello: "Non divideteli, trasferiteli negli stessi centri di accoglienza"

 "Abbiamo accolto e abbracciato questi sentimenti, li abbiamo condivisi e in qualche modo abbiamo cercato insieme a loro di renderli più tollerabili e almeno in parte comprensibili al loro pensiero e al loro cuore. Posso provare a immaginare che sbiadire il ricordo e sciogliere l’angoscia richieda un arco di tempo molto più lungo di questi giorni e ancora tanta fatica. Queste persone - racconta Terenzi - hanno bisogno di essere trasferite, di allontanarsi da Lampedusa. Ci hanno detto chiaramente che non vogliono stare più qui. Sentono addosso la tragedia che li ha travolti. Continuano a domandarsi perché vengono tenuti ancora qui dove sono morti i loro cari".

MSF ha chiesto alle autorità competenti che le due comunità, le 6 donne ivoriane e i 7 uomini tunisini, "non vengano divise e che i due gruppi vengano lasciati uniti e trasferiti negli stessi centri di accoglienza. Non separarli è un piccolo, ma utilissimo, fattore di protezione che abbiamo visto in passato aiutare significativamente i superstiti. Il naufragio è qualcosa che ti lega a vita. La Prefettura ha accolto la nostra richiesta e non è escluso che continueremo a seguire queste persone nell’immediato futuro".

"Siamo felici di aver portato sollievo a queste persone, ma resta profonda amarezza in noi. Ogni volta che ritorniamo a casa ci auguriamo e speriamo che sia stato davvero l’ultimo intervento di questo tipo. Purtroppo le persone continuano a morire in mare e questo è inaccettabile" concludono da MSF.

Migranti, si continua a morire anche nel Mediterraneo Orientale

Un migrante è morto oggi vicino all'isola greca di Kos, e altri sei sono rimasti, nella collisione di un barcone di migranti con una nave della Guardia costiera greca: lo hanno riferito le autorità di Atene, spiegando che due persone sono tutt'ora disperse in mare.

La collisione, secondo quanto spiegato dall'Afp, è avvenuta mentre era ancora buio, l'imbarcazione con i migranti trasportava 34 persone e non aveva luci. Le due persone disperse sarebbero un uomo e un bambino di tre anni. I feriti, tra cui una donna incinta, e tutti i sopravvissuti sono stati ricoverati in ospedale a Kos. Due di loro sarebbero in gravi condizioni.

Lampedusa: in fondo al mare una madre abbracciata al figlio, in mezzo ai cadaveri

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