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Venerdì, 29 Marzo 2024
Islam

Velo islamico, per la Corte Ue le aziende possono vietarlo sul posto di lavoro

La decisione dopo i ricorsi presentati da due donne musulmane, una del Belgio, l’altra dalla Francia. "Una regola interna che proibisca di indossare qualsiasi segno politico, filosofico o religioso non costituisce diretta discriminazione"

Per la Corte di Giustizia europea le aziende hanno il diritto di vietare ai propri dipendenti di portare in modo visibile segni religiosi e politici come il velo islamico.

Così la Corte chiamata a garantire che il diritto dell’UE venga interpretato e applicato allo stesso modo in ogni Paese europeo, ha deliberato oggi sul caso di due donne musulmane, una del Belgio, l’altra dalla Francia, licenziate perché non hanno accettato di rinunciare a coprirsi il capo alla maniera islamica sul luogo di lavoro. Pur con distinguo, per la Corte Ue non si è trattato di discriminazione.

"Una regola interna che proibisca di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso non costituisce diretta discriminazione", ha deliberato la Corte.

Ora spetterà alle più alte istanze di giustizia francesi e belghe, che hanno chiesto una interpretazione del diritto all’istituto basato in Lussemburgo, di prendere le decisioni finali sui due casi che in entrambi i Paesi in questione sono diventati simbolo della crescente difficoltà a difendere i principi di laicità e neutralità.

Nel dossier esaminato dai giudici di Lussemburgo, l’impiegata Samira Achbita non portava il velo islamico quando fu assunta in Belgio come centralinista nel 2003 dal gruppo G4S, che si occupa di servizi di sorveglianza e sicurezza. Ma tre anni dopo, ha comunicato al datore di lavoro la decisione di indossarlo, malgrado la politica di neutralità sostenuta prima in modo orale, poi anche messa nero su bianco dalla società, che vieta di portare evidenti segni politici, filosofici e religiosi.

I DISTINGUO DELLA CORTE - La Corte Ue tuttavia aggiunge alcuni condizioni per sdoganare l’impresa da possibili accuse di discriminazione "indiretta". L’obbligo di neutralità non deve implicare infatti degli svantaggi per le persone che professano una religione né andare a detrimeno di convinzioni personali e deve essere giustificato da un "obiettivo legittimo", tramite mezzi "appropriati e necessari". La Cassazione belga, che ha in esame il caso, dovrà pronunciarsi su questi aspetti nell’ambito delle regole applicate al lavoro dalla G4S, ad esempio se l’azienda non avesse potuto offrire alla donna un altro posto prima di licenziarla.

Per il secondo dossier, arrivato dalla Francia, la Corte Ue ha emesso una motivazione complementare, stimando che in assenza di regole interne in materia di neutralità, un cliente non possa esigere di non ricevere più servizi da una delle impiegate che porti il velo islamico.

Si tratta del caso di un ingegnere, una donna che portava già il velo islamico al momento dell’assunzione nel 2008 presso la società francese Micropole. Durante un incontro con un cliente, questo si è lamentato e aveva chiesto che la donna si togliesse il velo: Micropole aveva trasmesso la richiesta alla sua impiegata, che si era rifiutata. La donna è stata licenziata nel 2009. La giustizia deve valutare il potenziale conflitto di due libertà: quella di aderire ad una religione e manifestare la propria fede e la libertà dell’azienda. Nella vicenda di Micropole, l’avvocato generale Eleanor Sharpston ha stimato che imporre di rinunciare al foulard islamico durante un incontro con un cliente è un atto chiaramente discriminatorio, poichè il velo indossato non impediva in alcun modo di esercitare la professione di ingegnere. (Askanews con fonte afp)

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