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Venerdì, 19 Aprile 2024

Alessandro Rovellini

Direttore responsabile

Il video del Mottarone e lo sdegno quando ci fa comodo

Si sapeva della violenza di quelle immagini. In mano agli inquirenti da tempo, erano già state descritte nei dettagli: i volti dei passeggeri a pochi secondi dall'arrivo, l'impennata, la folle corsa a ritroso e il salto nel vuoto. Vederle, sì, è un'altra cosa. Squarciano e devastano. La marea di insulti all'account Twitter del Tg3, che per primo ha pubblicato il video, mostra come, per l'ennesima volta, la polarizzazione semplicistica degli eventi riduca tutto a rumore di fazioni. Non analisi, non approfondimento: rumore. Anche perché l'indignazione corre sempre su due binari: vacua e annoiata se i fatti sono lontani da noi, sbavante di rabbia se parliamo di cose accadute a pochi chilometri.

Così, nella doppia velocità, i migranti moribondi in mare indignano perché "dovevano stare a casa" e non per la crudezza dei corpi galleggianti, mentre tifoni o calamità in luoghi esotici provocano battute, sorrisi, perfino meme. Nel caso del Mottarone, invece, i media sono "sciacalli", "ridicoli", "toccano il fondo e scavano". Gli stessi giornali, poi, seguono le ondate finalizzate al sentimento del proprio bacino di lettori. Non si dà quello che è interesse collettivo: si dà cosa compiace la propria nicchia. La procura di Verbania è intervenuta con un comunicato di certo non usuale, dove si dà un giudizio sull'"assoluta inopportunità della pubblicazioni di tali riprese", atti "non più coperti dal segreto". E si fa riferimento alla "sofferenza dei famigliari delle vittime". Ma quante volte vediamo procuratori cosi attenti e scrupolosi? Quante volte intercettazioni su fatti risibili rovinano vite nel silenzio dei pm, quante volte le redazioni sono inondate da video di polizia giudiziaria su eventi traumatici? Può definirsi diverso l'impatto del video del ponte Morandi che collassa con il logo della Guardia di Finanza di Genova? O quello del tir che esplode a Borgo Panigale, uccidendo un uomo all'istante?

I precetti deontologici vengono in aiuto, ma fino a un certo punto. L'articolo 15 della legge 47/1948 vieta la pubblicazione di immagini "a contenuto impressionante o raccapriccianti"; l'articolo 8 del codice deontologico tutela i soggetti dagli scatti "lesivi della dignità della persona" e vieta di soffermarsi "su dettagli di violenza". Il tutto a una condizione: che non vi sia rilevanza sociale della notizia o dell'immagine. Non è semplice incasellare il video del Mottarone in tutto questo. O almeno non immediato. È morboso e inutile soffermarsi sul volto degli occupanti in cabina; ha forse dignità di racconto, invece, la sequenza della caduta. Una strage, a quanto sta emergendo, evitabile e quasi deliberata. Tutti saremmo potuti essere a bordo. Tutti avremmo potuto avere famigliari, amici, parenti tra le vittime.

L'11 settembre 2001 è stata la prima tragedia in era postmoderna e agli albori del web con un'iconografia definita: erano carne e sangue le 3mila vittime, era carne e sangue l'uomo ritratto nel disperato tuffo nel nulla. Chi c'era rimase incollato alla tv, mentre i terroristi annichilivano le Twin Towers. Tanto erano lontani, un oceano frapposto. Il Mottarone costringe ad estraniarci dalla retorica, dal pensiero ristoratore della benda sugli occhi. Non l'ho visto, forse non hanno sofferto. Ma la pietas non può essere a corrente alternata. E ci fa immensamente comodo dimenticarlo sempre.

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