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Giovedì, 28 Marzo 2024
Omicidio Yara

Il tormento di Yara, confessò al fratellino: "Qualcuno mi osserva"

La ragazzina uccisa a Brembate Sopra disse al fratellino di sentirsi in pericolo: "Qualcuno mi osserva". Intanto Massimo Bossetti, il presunto assassino è spalle al muro: non ha un alibi

ROMA - Oggi quelle parole suonano sinistre, profetiche. Nella sua innocenza Yara aveva capito di essere in pericolo. Lo aveva immaginato, lo aveva confessato al fratellino. Poi, purtroppo, prima di quel tragico 26 novembre 2010, si era tranquillizzata. Ed è proprio della sua tranquillità che potrebbe aver approfittato Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello fermato per l'omicidio della ragazzina di Brembate Sopra

"Qualcuno mi sta osservando" confessò al fratellino Yara pochi giorni prima della sua scomparsa. L'allarme lanciato dalla tredicenne, però, non fu sufficiente a salvarle la vita perché - racconta il Corriere della Sera - quella sensazione di essere seguita, "puntata", svanì qualche giorno prima della morta. Eppure, stando ai racconti di chi vive e frequenta la zona della palestra dove la ragazzina fu rapita, emerge come il presunto killer fu notato da residente e commercianti. Che fosse proprio Bossetti a pedinare Yara? Difficile da dire, ma gli inquirenti non lo escludono. L'ipotesi è che l'uomo potrebbe aver scelto lei tra tutte le giovani della palestra e poi avrebbe messo in atto il suo piano folle. 

La posizione di Bossetti è aggravata dal fatto che non ha alcun alibi. L'unica che avrebbe potuto scagionarlo ha, paradossalmente, finito per incrementare i dubbi su di lui. Marita Comi, la moglie, che ha deciso di sottoporsi all'interrogatorio, ha confessato di non ricordare se la sera della scomparsa di Yara suo marito fosse con lei. 

"Lui ha una vita regolare, è molto dedito alla famiglia", ha spiegato la donna agli inquirenti. A che ora è tornato la sera del rapimento? "Non lo so". Avete cenato insieme? "Non ricordo". Orari, spostamenti, lavori svolti in quel periodo? Nulla, che le torni in mente. Niente che possa almeno apparire come un alibi. 

E ora Bossetti è spalle al muro, nonostante - ha confessato il comandante del Ros che ha gestito l'operazione - "si fosse convinto di avercela fatta". "Il delitto perfetto non nasce mai da una mente diabolica ma da uno, scusi il termine, che ha un gran culo - ha chiarito in un'intervista alla Stampa -. L'unico delitto perfetto è quello improvvisato". 

"In fondo il killer aveva lasciato solo una traccia di Dna da confrontare con migliaia di persone - ha ricostruito - Il padre era morto, la madre non aveva un nome. Bastava una virgola in più o in meno e oggi non saremmo qui a parlarne". Poi, la soddisfazione: "Dopo tre anni e mezzo, credo che Bossetti si fosse illuso di avercela fatta - ha concluso il carabiniere -. Era tornato alla sua vita normale. Un uomo incesurato, normale, un padre modello". Forse, con un segreto enorme. 

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