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Giovedì, 25 Aprile 2024
Il libro da scoprire

Addio Stati nazione, la pandemia accelera l’era delle piattaforme digitali: “L’Europa verso un neoumanesimo”

Il giornalista Massimo Russo ci invita a guardare al futuro, a non temerlo e ad accoglierlo come un'opportunità. Lo fa attraverso il suo ultimo libro: "Statosauri". A Today.it, Russo dice: "Ci siamo già dentro e il Covid ha accelerato tutto". L'intervista

Cinquant’anni prima che Cristoforo Colombo attraversasse l’Atlantico, vascelli cinesi si erano imbarcati in spedizioni non meno ambiziose. Ma gli imperatori Ming guardarono l’interno, rifiutando l’influenza esterna. Quando poi Lord Macartney guidò una delegazione britannica in Cina nel 1792-93, i suoi doni e le sue proposte vennero rifiutati. “Il nostro impero celeste possiede tutte le cose in prolifica abbondanza e non manca di alcun prodotto all’interno dei propri confini”, disse l’imperatore Qianlong. Così l’Estremo Oriente rinunciò alla rivoluzione industriale e a noi non resta che chiederci che aspetto avrebbe avuto il mondo se le cose fossero andate diversamente. 

E’ uno degli esempi più significativi per capire come il continente europeo (e il mondo in generale) si trovi ad uno di quei crocevia storici in cui le tecnologie sconvolgono l’economia, la socialità, la politica, insomma la vita di tutti per come siamo abituati ad intenderla. Oggi l’Europa non deve commettere l’errore della Cina di 200 anni fa e aprirsi alla nuova era in cui di fatto siamo già oggi: quella digitale. Scompariranno gli Stati nazione come forma di organizzazione politica, per fare spazio all’età delle piattaforme digitali. A spiegarcelo è Massimo Russo, che è stato, fra le tante, direttore del mensile Wired, coodirettore del quotidiano La Stampa e oggi è responsabile prodotto Hearst Europe e direttore esquire. Lo fa attraverso il suo ultimo libro: "Statosauri. Guida alla democrazia nell'era delle piattaforme", edito da Quinto Quarto. 

"E’ un libro che ho scritto di getto la scorsa estate e nasce dal vedere come la pandemia abbia accelerato alcuni processi già chiari per chi si occupava di queste cose, ma adesso ineludibili per tutti. In qualche modo la globalizzazione ha accelerato una transizione con tutte le opportunità e le difficoltà che questa comporta. Basta vedere le aziende che avevano saputo interpretare le tecnologie offerte dalla digitalizzazione e il contrasto del confronto fra soggetti sovranazionali e le strutture politiche che abbiamo sempre usto per gestire le comunità. Tecnologia non é solo uno strumento, ma anche in astratto tutto ciò che usiamo per gestire nostre relazioni: la piazza è una tecnologia, un codice di legge, l’idea che il potere del sovrano derivi da Dio è una tecnologia".

Massimo Russo con Statosauri-2

Questa accelerazione dove la possiamo vedere?
"Oggi è soprattutto evidente in economia. Nel libro faccio l’esempio di 500 aziende americane dell’indice Fortune 500, che classifica le più importanti aziende americane, negli ultimi 20 anni. Oltre la metà si è estinta. La metà del potere che dominava l’economia statunitense al giro di boa del millennio non esiste più perché non ha saputo adeguarsi al cambio di paradigma. Kodak che aveva il brevetto della macchina digitale ma lo ha tenuto nel cassetto per non nuocere alle pellicole, Blockbuster spazzata via da Netflix. Mentre se oggi prendi le primi 5 aziende per capitalizzazione, sono tutte digitali: Microsoft, Facebook, Amazon , il valore di borsa eccede tutta la ricchezza prodotta in Germania e Francia in un anno. Parliamo di soggetti globali, che non rivaleggiano per dimensioni gli stati ma i continenti".

E cosa c’entra la pandemia di Covid con tutto questo? 
"La peste nera nel 1.300 ci mise 16 anni per arrivare dall’Asia a Palermo e altri anni per arrivare a Londra. Chi dice che servono più muri per difenderci, sta cercando di ripararsi sotto un tetto che non copre più, anche perché, ce lo dice la storia, ogni volta che c’è stato un miglioramento nella qualità della vita delle persone, ha coinciso con una rivoluzione tecnologica. Erdogan, Putin e chi vuole farci tornare all’isolamento nazionale è perché non ha strumenti per cogliere le opportunità che invece ci sono. E’ chiaro che ci possono essere degli squilibri, ma tu hai mai sentito qualcuno desideroso di tornare agli standard di vita del secolo precedente?"

E’ noto come tu sia stato l’ultimo giornalista ad intervistare Gianroberto Casaleggio, ma quando eri a La Stampa, hai anche intervistato l’allora presidente israeliano Shimon Peres. Tu parli anche di questo.
"Sì, la pubblicai nel febbraio 2016. La cito perché lui aveva ben chiaro quello che sarebbe successo e fa specie se si pensa che era il presidente di un paese circondato da muri. “La crisi non appartiene solo a quest’area, è mondiale. Le nostre istituzioni sono state costruite per l’era della terra, dei confini. Ma nell’epoca di Internet si può crescere senza conflitto” e continuando mi disse che si “è chiusa l’epoca dei territori e si è aperta quella della scienza. […] Ma la conoscenza oggi permette di diventare grandi senza bisogno della guerra".

Eppure mesi fa abbiamo assistito a situazioni paradossali. La rete che toglie la voce. Lo ha fatto con Trump, lo ha fatto con alcune testate giornalistiche e satiriche italiane. Sono privati, ma sono le nuove forme di aggregazione pubblica, allora quella non è censura?
"Ne parlo nel libro e questa è una delle questioni che non hanno soluzione. Hai questo problema ogni qual volta lo stato si confronta con la piattaforma. Temiamo il potere delle piattaforma e poi che facciamo? Ci facciamo andar bene che decidano le regole del dibattito? Non è la soluzione. L’unico modo è fare in modo che quella infrastruttura pubblica essenziale, non lo sia più. Tecnicamente è un privato ma funziona come un monopolio naturale, si basa sui dati. Dunque prendiamo i dati e, invece di rinchiuderli, li apriamo. Spieghiamo ai colossi che se vogliono lavorare in Europa, i dati non sono solo loro, ma di chiunque voglia fare lo stesso business. Così nasceranno altre tribune e non ci sarà pericolo per la libertà".

Un po’ come per il mercato del traporto ferroviario o delle telecomunicazioni. C’è lo Stato o l’azienda di Stato che mette le tratte ferroviarie o i ripetitori delle onde, poi ogni società compete con i propri treni o le proprie frequenze.
"
E’ proprio così e aggiungo che c’è anche la questione della tassazione. Noi ci lamentiamo sempre che queste multinazionali digitali facciano profitto in tanti paesi, senza pagare le tasse. Sai cosa ha fatto la Finlandia? Ha invitato i lavoratori tech da remoto a stabilirsi l’ per un periodo di prova e chi avesse voluto, avrebbe anche potuto prendere la cittadinanza. Sono andati in 6mila, 2.5 miliardi di stipendi se il  programma arrivasse a 50mila nuovi cittadini. Quelle società non sono tassate, ma ora i redditi prodotti sono nella disponibilità del governo finlandese". 

La digitalizzazione è un tema chiave del Recovery Fund.
"Il tema vero è la cultura, se ti porti dietro la cultura del passato sei morto. Negli Stati Uniti se perdi la patente, il giorno dopo compili un modulo online e la recuperi. Se in Italia facciamo i portali online e poi un modulo lo devo scaricare, compilare e portare in un ufficio, allora è inutile. modulo e la recuperi. Se manteniamo l vecchia infrastruttura culturale e pretendiamo di entrare nel 21° non ce la faremo mai. Inoltre in Italia ci sono ritardi cronici e il solito problema di qualcosa che dovrebbe servire a tutti ma che rischia sempre di finire a vantaggio di pochi e ristretti clan. Se è così, non sarà qualche tonnellata di ferro a farci entrare nel futuro".

Ma se la politica del domani sono le piattaforme digitali, Fedez e la Ferragni saranno i nuovi Berlinguer e De Gasperi?
"Bella domanda. Kennedy diceva che l’ignoranza di uno solo può mettere in difficoltà tutti. La democrazia è un atto di fede perché il problema della democrazia è il suffragio universale. Conquista straordinaria, ma anche debolezza. Se ieri era fondamentale l’alfabetizzazione di tutti per formare i cittadini del domani, oggi si deve stare in questo passaggio. Evitiamo di basarsi sulla paura, ognuno di noi deve essere responsabile, mentre lo Stato deve mettere tutti nelle condizioni migliori, non dirgli cosa è giusto fare, ma fornirgli tutti gli strumenti per prendere decisioni. Altrimenti il potere sarà alla mercé di pochi Fedez e di un dibattito populista". 

Ma allora cosa c’è nel futuro dell’era delle piattaforme? Scompariranno i parlamenti e i partiti?
"
Ma no. Ci siamo già in quell’epoca. Ma 3 sono gli approcci possibili. Quello degli Stati Uniti, Cina e Europa. Nei primi, le piattaforme nascono più facilmente in una società aperta, come l’avrebbe definita l’epistemologo Karl Popper: una società pluralista, pronta al cambiamento, in cui la conoscenza sia falsificabile, che tuteli il pensiero e la libertà dell’individuo. In Cina, non c’è libertà, ma la piattaforma è l’impero in una sorta di vera autocrazia tecnologica. Per ora funziona, funzionerà, ma prima o poi si porrà con forza il tema dei diritti e della libertà. Poi c’è l’Europa, che balbetta ma che in teoria ha sia cultura diritti e libertà, quindi è il posto ideale dove far progredire il futuro digitale. Se lo coglie e riesce a fare il salto, nel domani ci saranno tante opportunità declinate in una forma di neoumanesimo".

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