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Venerdì, 19 Aprile 2024
25 novembre

Se ci dimentichiamo degli orfani di femminicidio: "Non ci sono percorsi specifici di sostegno"

In due anni se ne contano 169. "C'è un vuoto intorno a loro, ce ne siamo dimenticati" ha detto la criminologa Margherita Carlini. L'intervista

Ci sono anche gli orfani dei femminicidi e non sono per niente un problema secondario. Per molti anni ci siamo occupati giustamente delle donne vittime di violenza, come in modo altrettanto corretto abbiamo anche cominciato ad occuparci degli uomini maltrattanti perché, agendo su di loro, si previene il culmine della violenza e di conseguenza l'omicidio. Ma per troppo tempo ci siamo dimenticati degli orfani dei femminicidi. Non sono pochi. Come riportato dalla relazione della Commissione di inchiesta del Senato, negli anni 2017 e 2018, sono 169, di cui 67 (39,6%) minorenni. Del totale, un terzo (55 su 169, il 32,5%) è rimasto orfano anche del padre, essendosi egli suicidato dopo il femminicidio. Il 74% dei figli rimasti orfani di madre (125 su 169) erano della coppia, mentre nel restante 26% essi erano solo della vittima. 

Il 46,7% dei figli sopravvissuti (79 su 169) aveva assistito alle precedenti violenze del padre sulla madre e, di questi, la maggioranza era minorenne (43 su 79, il 54,4%). Inoltre, il 17,2% dei figli sopravvissuti (29 su 169) era presente al femminicidio, dei quali il 72,4% era minorenne (21 su 29) e addirittura il 30% dei figli sopravvissuti (50 su 169) ha trovato il corpo della madre (19 erano minorenni). Se si considerano solo i figli minorenni, il 18% ha vissuto l’esperienza più traumatica: erano presenti al delitto e hanno anche trovato il corpo della madre.

Figli orfani di femminicidio per fasce di età-2

Sono in parte minorenni, ma anche giovani di cui la società non può dimenticarsi perché hanno sul loro cuore un doppio macigno: non solo elaborare il lutto della morte del genitore o dei genitori, ma affrontare anche il meccanismo della violenza. Sono due cose separate e l’Italia in questo ha ancora molta strada da fare, come conferma Margherita Carlini, psicoterapeuta e criminologa forense. "Il sistema non li tutela perché non si prevedono percorsi adeguati, previsti per legge, in ottica della tutela del minore. Per gli orfani di femminicidio non ci sono dei percorsi di sostegno standardizzati, riconosciuti e offerti dal sistema pubblico, né per i minori, né per le famiglie perché, nella gran parte di casi, questi figli vanno alle famiglie del ramo materno, ma possono anche essere affidati a famiglie del ramo paterno o addirittura finire in qualche istituto". 

Margherita Carlini - foto dal profilo Instagram-2

Sono ragazzi due volte, forse anche tre volte vittime, che un giorno diventeranno uomini e donne. Ma che futuro c’è per loro? "Non si può fare un discorso univoco - prosegue la dottoressa Carlini -. Ci sono ragazzi che riconoscono bene le dinamiche, avendo anche elaborato il meccanismo della violenza, fermo restando il piano della elaborazione del trauma. Il danno peggiore è quando un minore non riconosce la violenza perché magari l’hanno vissuta quando erano troppo piccoli. In quel caso, in molti aderiscono al comportamento paterno perché ai loro occhi è funzionale: vedono che ottiene risultati e si può controllare l’altro. Sono bambini aggressivi, svalutanti nei confronti della madre. Se hanno conosciuto il metodo di papà e hanno conosciuto solo quello, per loro quella sarà normale. L’elaborazione del trauma è importante, ma importantissimo è il lavoro sul riconoscimento della violenza per imparare loro che la violenza non è un metodo, ma un disvalore". 

169 orfani di femminicidio in due anni

Ma gli orfani di femminicidio sono la punta di un iceberg molto grande. "Sotto la punta ci sono quei minori per cui la violenza è quotidianità, per cui, quando le madri hanno il coraggio di uscire allo scoperto, rispondiamo con un sistema che non le tutela e di conseguenza tutela male orfani. Il problema è che abbiamo un sistema che contempla ancora il concetto di bigenitorialità quando, lo dice anche la Convenzione di Istanbul, la reale tutela dei minori è allontanarli dal genitore maltrattante e lavorare per ricucire il rapporto lesionato fra il figlio e la madre. Non dico di eliminare i padri dalla vita dei figli, ma il rapporto fra figlio e padre maltrattante deve essere subordinato ad un percorso in cui l’uomo arrivi alla fine con esito positivo". 

In Italia oggi non è così. "C’è la denuncia penale, nel frattempo nel civile si arriva alla separazione. Alla fine il padre vede sempre i propri figli almeno quanto la madre perché c’è la negazione della violenza anche da parte del sistema. Troppe volte i giudici, magari aspettano la fine del procedimento penale, anche di fronte a contesti palesemente violenti, consentono al padre maltrattante di restare parte di quella famiglia. Ma il diritto al rispetto della bigenitorialità non è tutelante".

Dunque a che punto siamo con l’elaborazione di programmi mirati per gli orfani di femminicidi? "Ci si sta lavorando. - conclude la criminologa -. Servono approcci e programmi terapeutici. Nel caso in cui diventano orfani, la cosa ancora più importante è pensare di poter lavorare con vittime di violenza assistita, cioè i figli che nascono e crescono in relazioni maltrattanti, dove la violenza non arriva al femminicidio, ma è una costante di tutti i giorni. Lo dico perché, quando la violenza viene subita dalla madre, abbiamo ancora un approccio che tende a separare questi due contesti, come se non fossero vittime della stessa persona, con processi di vittimizzazione secondaria a carico di entrambi". 

Perchè le donne vittime di violenza non vengono tutelate dal sistema giudiziario

Cosa prevede la legge per gli orfani di femminicidio

Oggi la legge che tutela gli orfani di femminicidi è la numero 4 dell’11 gennaio 2018, che tutela gli orfani a causa di crimini domestici. Il provvedimento riconosce tutele processuali ed economiche ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti della vittima di un omicidio commesso da:

  • il coniuge, anche legalmente separato o divorziato;
  • l'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione è cessata;
  • una persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza con la vittima.

La legge consente ai figli della vittima l'accesso al patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dai limiti di reddito. La norma anticipa anche il più possibile la liquidazione del danno patito dalle vittime del reato, modificando la provvisionale, cioè la somma di denaro liquidata dal giudice in favore della parte danneggiata, come anticipo sull'importo integrale che le spetterà in via definitiva. Nella maggioranza, gli interventi sono di carattere economico. Al netto di questo:

  • demandano a Stato, regioni e autonomie locali il compito di promuovere e organizzare forme di assistenza delle vittime, di promuovere servizi informativi, assistenziali e di consulenza; di predisporre misure per garantire il diritto allo studio e all'avviamento al lavoro per i figli delle vittime di crimini domestici;
  • prevedono che i figli delle vittime del reato di omicidio in ambito domestico abbiano diritto ad assistenza medico psicologica gratuita e siano esenti dalla partecipazione alla spesa per ogni tipo di prestazione sanitaria e farmaceutica;

Poca cosa rispetto a ciò che, secondo gli esperti, servirebbe per chi ha visto il proprio padre uccidere la propria madre. Soprattutto serve un programma nazionale e integrato, evitando di lasciare questo tipo di azioni all’arbitro dei vari enti locali, creando così interventi a macchia di leopardo. 

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