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Martedì, 16 Aprile 2024
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I registi italiani contro la legge anti-fumo: "Non vietate le sigarette nei film, l'arte deve essere libera"

In un appello diretto al ministro della Salute, alcuni professionisti del cinema rivendicano l'utilizzo del tabacco nelle scene dei loro film, posizione duramente attaccata dal Codacons che ribatte. "È un'indecenza"

Non si potrà più fumare nei parchi pubblici, nelle spiagge attrezzate, negli stadi, in macchina con i bambini a bordo, ma neanche nelle serie tv o nei film: questa è la sostanza della stretta contro il fumo annunciata dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, risoluta più che mai nel rimpolpare le restrizioni che nel 2005 furono del suo predecessore Gerolamo Sirchia.

Ma contro la drastica normativa, interviene adesso un cospicuo pool di registi italiani, decisamente avversi ad una decisione che, a loro dire, mette i paletti al libero mondo dell'arte in nome di una "missione pubblica" e affida al cinema un compito non suo.

Nell'appello - firmato da Niccolo Ammaniti, Francesca Archibugi, Roberto Cicutto, Umberto Contarello, Saverio Costanzo, Nicola Giuliano, Filippo Gravino, Daniele Luchetti, Mario Martone, Andrea Molaioli, Antonio Monda, Enzo Monteleone, Gabriele Muccino, Domenico Procacci, Andrea Purgatori, Ludovica Rampoldi, Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Riccardo Tozzi, Paolo Virzì - si legge: 

"Da qualche settimana circola un'idea che non sapremmo ancora se definire una proposta normativa, a quanto pare nata da un gruppo di oncologi insieme al Codacons, e ripresa dal Ministro Lorenzin, che auspicherebbe di controllare, limitare o addirittura vietare l'uso del fumo delle sigarette dei personaggi dei film italiani. Per onestà va aggiunto anche che questa ipotesi, questo provvedimento paventato, viene associato ad una serie di altri legittimi interventi indirizzati a contenere il danno del fumo negli spazi fisici: litorali, spiagge, auto con bambini a bordo.
Noi non ci occupiamo di questi interventi, per molti versi sacrosanti, perché cerchiamo di dedicarci modestamente al nostro lavoro che è quello di immaginare, scrivere e girare storie per il cinema. E a questo specifico proposito, con grande franchezza, sentiamo di dover esternare il nostro stupore e la nostra preoccupazione che ne possa venir fuori una norma che limiti in modo  -  scusate  -  davvero ridicolo la possibilità di raccontare la vita delle persone nei film.
Peraltro questa ipotesi di norma, per fatale coincidenza, emerge proprio in giorni nei quali siamo tutti scioccati da orribili eventi che feriscono a morte la libertà d'espressione, vicende che ammutoliscono e che sembrano lontanissime da questa sciocchezza, ma che, a ben guardare, non sono poi così lontane.
A differenza di come si usa fare nelle trasmissioni politiche, all'invito di entrare nel merito, serenamente e a cuor leggero, non entreremo nel merito. Non spenderemo parole per canzonare chi ritiene vi sia un nesso causale tra i comportamenti reali e le suggestioni letterarie e cinematografiche. Non compileremo alcun elenco di opere immortali che hanno contribuito a formare il sentimento della vita delle persone proprio per la loro capacità e potenza di evocare qualcosa della natura umana e delle sue imperfezioni. Non elencheremo nemmeno tutto ciò che di sconveniente, seguendo questa logica, andrebbe limitato o vietato nei nostri racconti.
Vogliamo soltanto ricordare che tale iniziativa se destinata  -  ma speriamo di no  -  a diventare disegno di legge dello Stato, chiamerebbe in causa questioni molto delicate: solo nella orribile tradizione degli Stati etici e/o confessionali l'ordinamento giuridico determina i comportamenti privati de- gli essere umani trattandoli non come cittadini ma come bambini da proteggere e da guidare. L'idea che un legislatore possa intervenire, anche solo su un dettaglio, nelle vicende dei personaggi raccontati in un'opera, bella o brutta che sia, in nome di una "missione pubblica", provoca più di uno scombussolamento nelle nostre convinzioni liberali.

Il cinema, la letteratura, l'espressione artistica in generale non rispondono e non dovrebbero mai rispondere ad alcun indirizzo, anche il più onorevole, il più giusto, il più sano, il più edificante. Il racconto degli essere umani arricchisce l'avventura dei nostri giorni e delle nostre notti non perché ci ammaestra su come vivere salubremente, o perché ci consiglia cosa mangiare, come amare, come provare piacere. Per queste cose il Ministero dovrebbe avere a disposizione mezzi e canali di comunicazione che magari andrebbero resi più efficaci e moderni. Ma nulla c'entra con il cinema e con la letteratura. Non chiedete ad un macellaio il sedano, perché vi verrà indicato un fruttivendolo. Al cinema e alla parola scritta, si dovrebbe chiedere ed esigere altro, soprattutto di raccontare la gioia, il dolore, la grandezza, la pochezza ed il mistero di cui siamo fatti. E se per fare questo al nostro meglio sentiremo la necessità di inondare lo schermo di nuvole di fumo, come di altre cose in fondo molto più disdicevoli, continueremo a farlo, perché questo è il nostro lavoro.
Vi pregheremmo dunque di occuparvi della salute pubblica e di una vita più decente, avanzando proposte e soluzioni entro i limiti di uno Stato che non si incaponisca in modo tragicomico a contare la frequenza delle accensioni e delle aspirazioni di una sigaretta in un film, in un libro, in un fumetto, in un'affissione stradale.
Fate i bravi, vi scongiuriamo, fate il vostro lavoro, mentre noi ce la metteremo tutta per fare al meglio possibile il nostro.

Immediata è stata la risposta del Codacons che ha bollato come "immorale e al limite dell'indecenza" la loro posizione, spiegando in una nota che "vi è una colossale letteratura scientifica che dimostra in modo incontestabile come le compagnie del tabacco abbiano investito soprattutto del cinema e della televisione per propagandare il tabacco, per conquistare i giovanissimi e consolidare il consumo di sigarette con danni alla salute, all'economia nazionale e all'ambiente".

"Evidentemente a questi registi non sta molto al cuore la salute del proprio pubblico", prosegue ancora l'associazione dei consumatori, per la quale, inoltre, paragonare la norma sul divieto di fumo ai tragici fatti di Parigi è "patetico e ai limiti del ridicolo: la tutela della salute dei cittadini passa anche da provvedimenti che eliminano il grande equivoco prodotto dal cinema ai danni dei giovani, ossia che fumare favorisca le relazioni sociali e renda più attraenti e 'fighi', creando un pericoloso effetto emulazione. E ciò non ha nulla che vedere con la libertà  d'espressione, tirata in ballo in modo maldestro e a sproposito".

A tenere al caldo gli animi già infervorati per la questione, infine, è stata la proposta-provocazione lanciata all'AGI dall'ex ministro Girolamo Sirchia, padre della legge antifumo, secondo cui nelle scende dei film dove i personaggi fumano "bisognerebbe far scorrere la striscia "il fumo nuoce gravemente alla salute", perché quella altro non è che pubblicità nascosta promossa dai produttori di sigarette".

Alla lettera dei registi è arrivata, infine, la risposta del ministro che dice: "Non ho mai detto che il fumo debba essere vietato nei film" e aggiunge di aver letto "la garbatissima lettera dei registi" ma "un aspetto che preoccupa sono le immagini vincenti di minori che fumano, si drogano e bevono alcol. Mi piacerebbe fare un discorso culturale soprattutto per chi fa fiction e prodotti mirati per i teenager".

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