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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Una chat Telegram per dare l'allarme in città: così Svetlana da Roma avvisa la mamma quando scendere nel bunker

E' una guerra da lontano quella che sta vivendo questa donna ucraina. La stessa degli oltre 240 mila connazionali presenti nel nostro Paese, che assistono impotenti al drammatico destino di familiari e amici bloccati in patria dalle bombe

Sono le 5.30 del 24 febbraio - ora italiana - quando il cellulare di Svetlana inizia a squillare. Ucraina, dal 2014 vive a Roma con sua figlia. Mancano ancora un paio d'ore prima di prepararsi per andare al negozio dove lavora come commessa, ma la telefonata anticipa la sveglia. Dall'altra parte c'è sua madre che vive a Mykolaïv, una 'città-penisola' sul fiume Bug Meridionale, nel sud dell'Ucraina, a 65 km dal Mar Nero e a 130 km da Odessa, città chiave in quello che da lì a poco si sarebbe presentato al mondo come un conflitto catastrofico. "Stanno bombardando. Arrivano i russi. Sparano", le notizie che le riporta sua madre al telefono con la voce rotta dal pianto sono confuse, quasi oniriche vista l'ora, ma la paura è reale. Svetlana accende la televisione sperando di sapere qualcosa in più, facendo attenzione a non svegliare la figlia che dorme nella stanza accanto e aspetta un bambino, nel frattempo continuano ad arrivare chiamate. Sono le sue amiche e la versione è sempre la stessa. In Ucraina c'è la guerra. 

Sono passati 15 intermibali giorni da quell'alba e alla domanda "Come stai?" Svetlana non riesce a rispondere. Sta come gli altri 248 mila ucraini che vivono in Italia e assistono impotenti al dramma che stanno vivendo familiari e amici nel loro Paese assediato dall'esercito di Putin, inermi davanti a tanta atrocità. La loro è una condizione di stallo, quasi come quella in cui si trova chi da settimane si sta rifugiando nei bunker, o nelle metropolitane. Per loro le bombe sono lontane, è vero, ma il dolore è ugualmente insopportabile. Guardare da chilometri di distanza, in questo caso, è la stessa cosa. Aspettare con il fiato sospeso l'arrivo di messaggi e telefonate degli affetti più cari che ogni minuto rischiano la vita, forse, è anche peggio. 

Bloccate a Mykolaïv 

A Mykolaïv vivono la mamma e la nonna di Svetlana, 73 anni e 93. Di lasciare la città non se ne parla, ma pur volendo sarebbe molto difficile: "Mia madre non vuole andare via. Non lascerà mai l'Ucraina, la sua casa, le sue amiche, il cimitero con i nostri parenti - ci spiega -. Mia nonna non può muoversi da lì, non cammina bene. Lei ha vissuto anche la Seconda Guerra Mondiale e quando hanno bombardato la prima volta ha detto a mia madre: 'Scappa, i tedeschi!'. Per lei è stato uno choc vedere i russi. Mio nonno era russo, suo marito. Adesso comunque è troppo pericoloso scappare - continua -, chi poteva l'ha fatto i primi giorni. I più coraggiosi vanno, ma il pericolo è grande: sparano sulle macchine, fanno fuoco sui civili". I russi non sono ancora entrati: "Stanno combattendo fuori la città. I nostri uomini combattono e non li fanno entrare". La speranza è proprio quel fiume che bagna la metà dei confini della città, perciò "c'è solo un'entrata e la stessa uscita sulla terra" e "i ponti sono tutti aperti, così pur entrando non possono andare verso Odessa". Ci sono stati però due bombardamenti, l'ultimo due giorni fa: "Hanno bombardato alle 5 di mattina, è saltata l'elettricità e la città era completamente al buio. Mi hanno detto che tremava tutta la terra, i bambini piangevano, la gente strillava. Un inferno. E questo non era un bombardamento forte come quelli che ci sono stati a Mariupol o a Kharkiv. Per ora ci sono solo 6 palazzi distrutti". Mykolaïv resiste, ma lo scenario è drammatico: "I negozi sono quasi vuoti, le cose da mangiare stanno finendo. C'è gente che sta male e non ha medicine, bombardano anche le farmacie. Non sanno più come andare avanti". E poi la consapevolezza più agghiacciante: "Capiscono che i russi non si fermeranno".

La chat telegram per dare l'allarme

Tra Svetlana e suo madre un filo diretto, Roma-Mykolaïv. Le notizie su quanto sta accadendo lì, però, arrivano dall'Italia e fanno luce sul ruolo fondamentale dei social in questa guerra. In una chat Telegram i cittadini di Mykolaïv si scambiano informazioni utili, si aiutano come possono, condividono foto e video di quello che succede fuori, ma soprattutto lanciano l'allerta in caso di pericolo. E' Svetlana a monitorare il gruppo online e ad avvisare subito la mamma: "Lei non è capace a usare queste chat alla sua età. Sono barricate dentro casa, non vedono né sentono quello che accade fuori. Quindi lo faccio io per loro, da qui. Sto sempre con il telefono in mano, anche di notte, la chiamo e le scrivo a qualsiasi ora in caso di pericolo o anche per darle informazioni. Quando c'è allerta le dico di scendere giù e poi aspetto che mi chiami per sapere se va tutto bene". Dall'appartamento al bunker, che bunker non è: "Ci sono questi rifugi dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ma non so quanto siano sicuri - spiega Svetlana - e comunque non sono in tutti i palazzi. Molti si rifugiano nelle cantine, oppure si riuniscono nei corridoi dei piani più bassi. Il palazzo di mia madre ha 9 piani, ma molti arrivano anche a 16. In città sono tutti palazzi altissimi". Fortunatamente non ci sono problemi di comunicazione, almeno per il momento: "La rete c'è. Mamma la sento tutti i giorni al telefono o su Whatsapp".

La guerra a Mykolaïv

La guerra da lontano

Per Svetlana, come per tanti suoi connazionali che hanno lasciato l'Ucraina anni fa, questa è una guerra da lontano. Il senso di impotenza è logorante. La vita si è bloccata anche per loro, ovunque sono. "La notte non dormo. Sto malissimo, non riesco a lavorare" si sfoga al telefono, pur sapendo che chi ascolta, per quanto provi a indossare i suoi panni li troverà comunque larghi da qualche parte: "Sto scoppiando dalla rabbia e dall'impotenza. Non possiamo fare niente, ma niente. Se ascolto i telegiornali russi è ancora peggio. Le bugie che dice il governo, ogni volta mi sento male. Non posso spiegare quello che provo". Poi quella discolpa, figlia della disperazione, che nessun popolo merita: "Noi ucraini non siamo cattivi". Ma tra l'odore di morte e distruzione che arriva da est, soffia potente un respiro di vita che riesce a lasciare spazio alla speranza: "Tra poco divento nonna".

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