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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Disturbi alimentari, depressione e non solo: così Instagram può rovinare la vita alle ragazze

Disturbi alimentari, depressione e non solo: secondo il Wall Street Journal, Facebook è consapevole dei pericoli a cui sono sottoposte le utenti della piattaforma, ma non fa nulla per rimediare. Ne parliamo con la dott.ssa Guizzo, co-autrice di uno studio sugli effetti dei post sessualizzati sulle ragazze

Con un miliardo di utenti attivi mensili, 500 milioni giornalieri e un tasso di coinvolgimento dei post più elevato di qualsiasi altra piattaforma social, Instagram è uno dei luoghi più affollati del pianeta. Virtuale sì, ma ormai talmente presente nella quotidianità da essere considerata una tappa ‘vera’, quasi necessaria, una sorta di piazza su cui tocca affacciarsi prima o poi almeno un po’ giusto per sentire che si dice, vedere che si fa, commentare che si mostra: si "scrolla", si indugia, si apprezza questa o quella foto e poi basta, si chiudono gli scuri della finestra e alla prossima.

Apparentemente, dunque, è il fruitore la parte attiva del ‘gioco’, è lui che decide di far parte dell’interazione, è lui che ha potere di scegliere se e quanto lasciarsi coinvolgere da questa parte di mondo parvente. Nulla di male, insomma. Eppure, la questione non pare del tutto innocua come sembra, perché anche il sol fatto di stare là fermi a scrutare e ad essere passivi destinatari della spettacolare offerta può rivelarsi una potenziale fonte di pericolo, soprattutto quando il  bacino di utenza è particolarmente vulnerabile.

Questo aspetto è stato indagato dai ricercatori dell’Università del Surrey Francesca Guizzo e Fabio Fasoli e il docente di Psicologia sociale dell’Ateneo di Padova, Natale Canale. Partendo dalla constatazione che negli ultimi anni, specularmente alla popolarità di Instagram, è cresciuta anche la disponibilità di immagini sessualizzate ritraenti donne in pose sensuali, il team si è chiesto in che modo questo tipo di fotografie influenzi il pubblico femminile del social e quali conseguenze ha sulla percezione che le donne hanno del proprio corpo. L’indagine pubblicata sulla rivista scientifica Body Image ha risposto a queste domande osservando i possibili effetti che l’esposizione a tali post sessualizzati può avere sulla soddisfazione corporea delle giovani utenti di Instagram e, dunque, sul loro benessere psichico. 

Dei risultati ottenuti osservando 247 donne italiane di età compresa tra 19 e 32 anni e delle reazioni che esse hanno avuto sia alle immagini che ai commenti del social network in questione, abbiamo parlato con la dottoressa Guizzo che, insieme ai colleghi, ha rilevato l'impatto che determinate immagini cosiddette "sessualizzate" ha sulle giovani donne. Lo studio, inoltre, va nella stessa direzione della ricerca pubblicata dal Wall Street Journal secondo cui Facebook, che ha acquisito Instagram nel 2012, sia a conoscenza del fatto che il social network abbia effetti devastanti sulla psiche di molte adolescenti, ma non faccia nulla per arginarli. 

Instagram può far male: così il social network attenta alla salute mentale delle ragazze

Dottoressa Guizzo, com’è nata l’idea di uno studio sui possibili effetti che l’esposizione a post ‘sessualizzati’ può avere sulla soddisfazione corporea delle utenti più giovani?

"Io e i miei colleghi ci occupiamo di media e nel tempo abbiamo notato che specularmente alla crescita di popolarità di Instagram, tra le fasce più giovani della popolazione, cresceva il numero delle immagini riguardanti ragazze vestite in modo succinto e in pose sensuali. L’idea è partita anche da noi in quanto utenti che nel feed delle ricerche trovavamo sempre più spesso immagini di questo tipo, fino ad esserne quasi bombardati. Abbiamo scelto donne tra i 19 e i 30 anni circa perché, nelle ricerche di oggettivazione sessuale, è questa la fascia di età di norma più a rischio quanto agli effetti negativi. Certo, interessante sarebbero anche ricerche future su fasce di età più alte". 

Le donne coinvolte hanno accettato di buon grado di partecipare alla ricerca?

"All’inizio, per non influenzare le risposte, abbiamo omesso alle donne che davano la loro disponibilità alla ricerca il motivo del loro reclutamento. Abbiamo detto che era uno studio di memoria perché ponessero attenzione alle immagini e ai commenti. Nel briefing successivo è stato spiegato loro lo scopo della ricerca (vagliata da un comitato etico) e tutte si sono dette entusiaste di aver partecipato, perché intuivano già che effettivamente Instagram stava influendo in qualche modo sulla loro personalità".

Cosa si intende per immagini sessualizzate?

"Sono quelle che espongono il corpo in abiti succinti, magari in costume da bagno, con l’aggiunta della posa, facciale e corporea, ammiccante. È una combinazione di elementi che dà l’idea che in quel momento la donna si pone come un oggetto sessuale. Non basta che la donna sia solo un po’ svestita".

Il vostro studio ha anche esaminato il ruolo della “propensione alla dipendenza da Instagram”. Quando si può dire che l’utilizzo di Instagram stia diventando un problema? C’è una soglia superata la quale si può parlare di allarme?

"Il professor Canale che ha curato quest’aspetto spiegava che in letteratura non son tutti d’accordo nello stabilire con certezza quando si possa parlare di dipendenza, è un elemento talmente nuovo che mancano ancora studi a riguardo. Infatti nello studio parliamo di “propensione alla dipendenza”. Sicuramente un fattore importate è il tempo, quanto si trascorre sulla piattaforma, ma anche quanto si preferisce stare sul social network rispetto alla socializzazione reale. “Preferisco passare una serata a interagire su Instagram  anziché accettare un invito fuori a cena?” Ecco, è importante chiederselo".

Lo studio ha anche esaminato come le donne con una tendenza all’uso problematico della piattaforma siano risultate più propense a prendere in considerazione trattamenti di chirurgia estetica. Com’è emerso questo aspetto?

"L’elemento della chirurgia estetica veniva riportato proprio in relazione all’uso compulsivo di Instagram. Più le partecipanti mostravano questa tendenza, più erano interessate alla chirurgia estetica, soprattutto quelle esposte a immagini sessualizzate oppure a foto che pur non essendo sessualizzate, riportavano commenti all’aspetto fisico delle ragazze". 

In che modo si può “educare” al corretto e sano utilizzo di Instagram e dei social in genere? E quanto sarebbe utile una  normativa come quella entrata in vigore in Norvegia che rende illegale condividere immagini promozionali senza dichiararne modifiche e ritocchi?

"Per quanto riguarda l’educazione, è fondamentale imparare ad essere consapevoli di come ci fanno sentire certe immagini, mettere in atto strategie per evitare quel senso di disagio successivo alla loro visione, per esempio, non seguendo più le pagine che spesso le propongono. Poi è bene iniziare a badare al tempo che impieghiamo sulla piattaforma, se restare su Instagram ci ha impedito di fare altro. Per quanto riguarda la legge,  dovrebbe aprirsi un dibattito serio che coinvolga filosofi, esperti di comunicazione, componenti della governance. Personalmente non so quando la singola legge sia davvero efficace, visto che da alcuni studi è emerso come i disclaimer con hashtag #filtro utili a far capire che la foto era ritoccata per questioni di pubblicità non riuscivano effettivamente ad impedire effetti negativi rispetto alla proposizione di standard di bellezza, di magrezza, di sensualità. Sicuramente siamo ancora all’inizio di studi in tale senso per capire, di certo per i minori sarebbe opportuno mettere barriere e filtri di questo tipo".

E sugli uomini? Tutto ciò non ha lo stesso impatto? Perché la sensibilità maschile non viene altrettanto indagata come quella femminile rispetto al mondo dei social?

"Di certo quantitativamente nei media sono maggiori le foto di donne rispetto a quelli degli uomini rappresentate come oggetti sessuali. I processi legati all’oggettivamente sessuale sono più legati alla figura femminile. Sicuramente ci sono degli impatti anche per loro, ma il processo è un po’ diverso per ora, non tanto legato ad essere oggetti sessuali quanto al raggiungimento di un ideale che pone al centro la prestanza fisica e muscolare. La questione è anche e soprattutto culturale: prima anche nei media era sempre la donna relegata a un ruolo marginale e rappresentata come oggetto sessuale, volto ad attrarre lo spettatore o il consumatore attraverso la sua sessualità. Tendenza che purtroppo, piano piano, sta coinvolgendo anche gli uomini".

Facebook sa che Instagram è pericoloso per la salute mentale delle ragazze

Il dialogo con la ricercatrice Francesca Guizzo è stato anche l’occasione per commentare la recente pubblicazione del Wall Street Journal che, entrato in possesso dei risultati di alcuni studi condotti in gran segreto da Facebook, ha rilevato come l’azienda (che ha acquisito Instagram nel 2012) sia a conoscenza del fatto che Instagram sia pericoloso per la salute mentale delle ragazze adolescenti, ma non faccia nulla per arginare i rischi. Secondo le indagini commissionate dalla stessa società di Mark Zuckerberg, una ragazza su tre in possesso di un account Instagram sviluppa disturbi alimentari e di percezione del proprio corpo e il campione analizzato ha attribuito al social la colpa delle proprie tendenze depressive in aumento.  

"Se confermati, purtroppo non sono sorpresa dei risultati che si allineano con altre evidenze scientifiche condotte da ricercatori autonomi che vanno in questa direzione", commenta Guizzo: "Le logiche di profitto sicuramente qui prevalgono. I ragazzi, maschi e femmine, sono più colpiti anche perché l'adolescenza li confronta con dei cambiamenti fisici e relazionali che in altre fasi della vita sono meno marcati e l'identità è più stabile. Sicuramente servirà una maggiore ricerca anche per indagare cosa succede nelle fasce di età più grandi".

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