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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Gravidanze difficili: mamma suicida a Roma, l’importanza di riflettere (ancora)

A distanza di 13 giorni dal suicidio di Pina Orlando e dalla scomparsa delle sue gemelline di 4 mesi non ancora ritrovate, la psicoterapeuta Francesca N. Vasta ci spiega perché la maternità, ancor più se raggiunta mediante percorsi di procreazione medicalmente assistita, apra scenari complessi da considerare con attenzione

“Come si può? Come si fa ad arrivare a tanto?”. La domanda riecheggia con la drammatica retorica di una risposta che se dovesse arrivare, comunque, non darebbe pace. 

Il gesto di una madre che, in una fredda mattina di dicembre, prende le sue due gemelline di 4 mesi, le avvolge in una coperta e sparisce nella foschia dell’alba prima di essere ripescata morta nelle acque del Tevere, non ha nulla di comprensibile. 

Perché Giuseppina Orlando, - Pina, come veniva chiamata da amici e conoscenti - era una giovane donna di 38 anni con una vita da trascorrere nella gioia di vedere crescere Sara e Benedetta. Perché Pina aveva un marito, Francesco, ingegnere di un anno più grande di lei, che le stava accanto come compagno premuroso e padre di quelle bimbe che tanto aveva desiderato insieme a lei. 
Perché Pina, vista così, raccontata così, con gli elementi utili a riempire di tranquillità l’immaginario collettivo che dall’esterno guarda ma non osserva, sente ma non ascolta, non aveva nulla che lasciasse presagire quello che lo psicologo della polizia ha definito “un malessere che nei mesi è cresciuto fino a degenerare nel suicidio”.
Eppure è successo. Mamma Pina si è suicidata, e delle sue piccole, per il momento, ancora non c’è traccia.

Il suo gesto - ha dichiarato lo psicologo della Polizia che sta curando il caso - non poteva essere prevedibile, nessuno sarebbe potuto intervenire. 
Ma la storia di Pina fa riflettere, deve far riflettere, ancora oggi, a distanza di settimane dall’accaduto.

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La storia di Pina Orlando

Pina Orlando era originaria di Agnone, in provincia di Isernia. Insieme al marito Francesco, si era trasferita a Testaccio, un quartiere romano, lo scorso luglio, poco prima del parto prematuro delle sue tre gemelline, avute grazie a una gravidanza medicalmente assistita, ad agosto. A poche ore dalla nascita, una di loro non ce l’ha fatta, e le altre due piccole sono rimaste nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Gemelli di Roma per le cure del caso. Poi le dimissioni dall’ospedale di Sara e Benedetta, la lenta ripresa di quella che chiamano “normalità” e il tragico epilogo raccontato dalle cronache. 

Il fatto, però, non può essere destinato a una fredda cronologia di avvenimenti che limita al “caso Pina Orlando” una tragicità inspiegabile. Il malessere di Pina può essere comune a quello di altre donne che magari, benché lontane da pensieri estremi, vorrebbero sentirsi dire che una soluzione, una cura al loro zitto dolore c’è. E si chiama richiesta di aiuto. 

Today ha contattato Francesca Natascia Vasta, psicologa, psicoterapeuta e gruppoanalista, docente a contratto presso l’ università cattolica di Roma,  esperta nel campo della procreazione medicalmente assistita e della Prematurità. La dottoressa Vasta ha lavorato per più di 10 anni per Genitin Onlus (Associazione dei Genitori per la Terapia Intensiva Neonatale) presso il reparto di Terapia Intensiva e Sub-intensiva Neonatale del Policlinico Gemelli - la stessa struttura nella quale sono state ricoverate  le piccole Sara e Benedetta - offrendo ai genitori dei bambini prematuri un supporto psicologico per affrontare un momento così doloroso.

Grazie al suo racconto sarà più agevole comprendere come la maternità, ancor più se raggiunta mediante percorsi di procreazione medicalmente assistita che possono portare gravidanze anche gemellari, trigemellari, e possibili nascite premature, apra scenari complessi importanti in cui nulla accade per caso, complessi da considerare con attenzione.

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(Nella foto, la polizia sul luogo in cui è stato ritrovato il corpo di Pina Orlando - FOTO ANSA )

- La tragica vicenda di Pina Orlando fa da apripista alla constatazione che una donna diventata madre da poco tempo in seguito a una gravidanza arrivata mediante procreazione medicalmente assistita, necessiti di un aiuto psicologico nel periodo successivo alla nascita del bambino, soprattutto in caso di prematurità. Perché è importante un supporto in questo senso? Cosa succede di così determinante nella sfera psicologica di una neomamma tale da rendere importante un sostegno? 

Grazie per la precisione della domanda che mi dà l’opportunità di fare una riflessione più ad ampio spettro, collegando il mondo della procreazione medicalmente assistita con quello della prematurità, in particolare con il ricovero dei piccoli nati pretermine in terapia intensiva neonatale. Le coppie che approdano nei centri di procreazione medicalmente assistita, arrivano in questi luoghi con un primo livello di sofferenza dovuto alla ricerca di una gravidanza che non è giunta naturalmente. Ci si trova immersi in un iter altamente medicalizzato, ci si sottopone ad esami su esami, alla ricerca delle cause che non consentono alla coppia di procreare. Nel momento in cui arriva la  diagnosi di infertilità si vive un momento complicato dove possono presentarsi sentimenti di inadeguatezza, colpa e depressione, ho spesso sentito pronunciare dalle coppie: perché a me? Perché a noi? Questo delicato momento nel quale ci si sente particolarmente sventurati e vulnerabili non deve essere sottovalutato, ma va esplorato in uno spazio protetto. E' infatti, fondamentale per la giusta elaborazione dei vissuti del singolo partner e della coppia, l’esplorazione delle motivazioni di ciascuno ad intraprendere un percorso di procreazione assistita. Le faccio un esempio, tratto dalla mia esperienza clinica: un marito una volta mi disse davanti alla moglie circa la scelta di intraprendere il quarto tentativo di ricerca di una gravidanza medicalmente assistita: “ lo faccio per far felice lei”. Bene, questa è una motivazione molto pericolosa perché presume una importante discrepanza  circa il desiderio e l’investimento su un percorso, che potenzialmente può generare distanza e minare la solidità della coppia, se non adeguatamente analizzata ed eventualmente  trasformata in un desiderio comune alla coppia.

Quando si decide di intraprendere un percorso di procreazione assistita la coppia deve essere consapevole che si varca un’area di incertezza, ciascuna coppia ha determinate possibilità e non è detto che una gravidanza arrivi. Questo significa affrontare per più e più volte attese, speranze e delusioni che proverebbero duramente qualsiasi individuo. 
Inoltre gli aborti spontanei che possono sopraggiungere durante il percorso aggiungono dolore al dolore. Qualora dopo diversi tentativi non si arrivi ad una gravidanza allora si può decidere di interrompere la ricerca o di passare ad una fecondazione eterologa, ovvero con donazione di gameti esterni alla coppia. Questo rappresenta un ulteriore passaggio doloroso, un ulteriore senso di fallimento personale per non essere stato o stata capace di generare, su questo dovremmo dilungarci  a lungo ma mi rendo conto che non è questa la sede.

In Italia, si possono trasferire nell’utero di una donna al massimo tre embrioni, quando tutti e tre gli embrioni attecchiscono si ottiene una gravidanza trigemellare o anche quando se ne trasferiscono solamente due ma uno dei due si divide generando due embrioni omozigoti. Come e’ noto le gravidanze gemellari e ancor più quelle trigemellari possono essere gravidanze assai a rischio, soggette ad esitare nella prematurita’. La gravidanza dura in condizioni tipiche 40 settimane, quella gemellare di solito intorno alle 37, oggi grazie agli avanzamenti della medicina nel campo della neonatologia  si riescono a salvare vite di bambini nati sin da la 23ª settimana ma questo comporta, quando si sopravvive a questa età gestazionale, percorsi di ricovero post-natale lunghi e dolorosi.

Qui nell’area della prematurità entriamo in un ambito di enorme complessità, ci sono diversi gradi di prematurità, i casi più severi richiedono una lunga degenza in ospedale, degenza che prova sensibilmente i genitori perché non si tratta di un percorso di ricovero lineare. Potremo immaginarlo come un viaggio sulle montagne russe, a momenti di gioia possono seguire momenti di terrore per il sopraggiungere di un problema infettivo o di una perforazione intestinale improvvisa con conseguente intervento chirurgico. Si vive in una condizione di profonda incertezza, data dall’instabilità delle condizioni di un neonato, ad esempio nato a 26 settimane di gestazione che necessita di un periodo molto lungo per stabilizzarsi. 

La storia di Pina, la mamma suicida nel Tevere. "Tragedia che non si poteva prevedere"

- A quanto si apprende Pina aveva avuto le tre gemelle in seguito a una procreazione medicalmente assistita. Una di loro è morta ad agosto, poco dopo la nascita. Quanto può avere influito sulla sua condizione psicologica la scomparsa della piccola? 

Nei 10 anni in cui ho lavorato in terapia intensiva neonatale con la collega, la dottoressa Raffaella Girelli, abbiamo incontrato diverse coppie che avevano perso un figlio e contemporaneamente  ne avevano uno o due ricoverati, si tratta di un dolore devastante che segna duramente, i genitori devono abbandonare la rappresentazione che si erano costruiti della loro famiglia con due o tre figli e  intensamente disorientati si confrontano  con  il vuoto lasciato dal figlio scomparso prematuramente.  Si vive divisi in due: da una parte il dolore immenso per la perdita e dall’altra il bisogno di trovare la speranza e la forza per rimanere accanto all’altro o agli altri che si trovano in terapia intensiva neonatale e che, spesso,  combattono per la loro sopravvivenza. Non hanno nemmeno la possibilità di confrontarsi con un lutto così indicibile e concedersi tempo per esprimere la loro sofferenza. Devono costringersi ad andare avanti ed esserci per gli altri figli, in tali condizioni si può   sperimentare un intenso senso di colpa perché ci si trova a gioire dei passi avanti e dei miglioramenti degli altri bambini, insomma si è immersi in un cortocircuito affettivo emotivo, e per riuscire ad andare avanti può succedere che sentano come  unica  possibilità quella di negare le proprie mozioni, negare il proprio shock e isolarsi nel proprio dolore. Ma come sa bene chi si occupa di salute mentale negare le proprie mozioni non corrisponde a superarle ma metterle temporaneamente da parte, Queste stesse emozioni possono ripresentarsi in momenti successivi.

- Nel caso di specie, a proposito del gesto estremo di Pina Orlando, lo psicologo della Polizia ha escluso il raptus, affermando invece che si sia trattato di “un malessere che nei mesi è cresciuto fino a degenerare nel suicidio”. Cosa è mancato a Pina? Quali le cause del suo “malessere”?

L'ipotesi che è possibile fare in questo caso e ci tengo a sottolineare che si tratta di un’ipotesi rispettosa riguardo al gesto di una madre che deve aver sofferto atrocemente, è già intuibile dalle risposte date in precedenza.  Si tratta di una donna che aveva attraversato insieme al marito un percorso di procreazione assistita, non sappiamo a quanti cicli, vale a dire tentativi, si era voluta sottoporre, non sappiamo se c’erano stati aborti precedenti. Le ferite aperte con la diagnosi di infertilità hanno bisogno di un tempo personale di elaborazione, ma i percorsi e i tempi della PMA non sono pensati in sinergia con una possibile cicatrizzazione di esse, anzi spesso seguono una direttrice molto diversa. La disperata voglia di raggiungere il risultato può impedire di fermarsi e pensare veramente a ciò che sta accadendo. Certamente però sappiamo che questi percorsi sono profondamente stressanti e dolorosi, sappiamo che questa donna aveva avuto una gravidanza tri gemellare, una gravidanza per definizione a  rischio, vissuta con il desiderio e la preoccupazione di chi ha fatto tanto per avere dei figli, cui ha fatto seguito l’ingresso nella terapia intensiva neonatale,  l’incontro “con” la perdita di una figlia, la preoccupazione e la speranza per le altre due. L’uscita dall’ospedale  con  la paura e l’incertezza per il futuro deve essere stato troppo, deve avere sentito su di se un senso di insopportabile responsabilità e deve essersi condannata senza possibilità di appello.

- E’ corretto parlare di depressione post partum? Oppure in questi casi - ancor più delicati per via del difficile percorso precedente di ricerca di un figlio tramite pma - intervengono ulteriori elementi da considerare, vista la possibilità di gravidanze gemellari e nascite premature? 

In questo caso io credo che ci troviamo di fronte a un quadro complesso, difficile ipotizzare una diagnosi precisa e parlare di depressione post partum, ci si confronta con emozioni dirompenti, la depressione può essere anche pre-esistente, naturalmente non possiamo sapere qual era la personalità di questa mamma. Mi sento di riportare l’esperienza di lavoro in terapia intensiva neonatale con le mamme, in tanti anni tutte le madri che abbiamo incontrato mi hanno sempre parlato di un terribile senso di responsabilità, un terribile senso di colpa, la colpa di aver desiderato così tanto un figlio,  hanno espresso sentimenti di fallimento su diversi fronti: per non essere riuscite a concepire naturalmente ed per non essere riuscite a portare a termine la gravidanza. Il sentimento vissuto nella terapia intensiva di di profonda impotenza e inefficacia rispetto al proprio ruolo genitoriale. La paura vissuta quotidianamente rispetto alla salute del proprio bambino ricoverato. 

Il dramma di Pina Orlando, mamma suicida a Roma: nessuna traccia delle gemelline

- Lei ha lavorato per molto tempo nel reparto di Terapia Intensiva e Sub-intensiva Neonatale del Policlinico Gemelli offrendo ai genitori la possibilità di rivolgersi a psicologhe cliniche e psicoterapeute quali Lei e la sua collega Raffaella Girelli, per avere un supporto psicologico utile a sostenere la relazione genitore-bambino. In cosa consiste praticamente il vostro aiuto? Che differenze avete riscontrato tra i genitori che si rivolgevano a voi e coloro che al contrario non richiedevano il sostegno offerto?

Riassumendo al massimo possiamo dire che Il nostro intervento sì è articolato in diversi momenti di incontro: un primo scambio  proprio accanto alle incubatrici nelle quali erano ospitati i loro bimbi, momenti  dedicati di  dialogo con i singoli genitori e con la coppia, anche momenti di gruppo dove i genitori potevano confrontarsi con altri genitori che vivevano la stessa condizione. Tra gli obiettivi principali del nostro intervento c’è sempre stato il favorire l’instaurarsi di una buona relazione genitori-figli tramite l’accoglienza e la ricostruzione della  storia familiare dal concepimento alla nascita pretermine. Favorendo e riorganizzando psicologicamente con i genitori  gli eventi vissuti nella ricerca della gravidanza, nella scoperta della stessa, all’andamento nelle settimane, nei mesi, dando la possibilità di mettere in parola emozioni e sentimenti spesso poco conosciuti, come ad esempio le emozioni suscitate dal vedere il proprio figlio ricoverato e collegato ai macchinari ospedalieri. Il tentativo è quello di accompagnare rispettosamente la coppia nella scoperta della loro nuova identità genitoriale, favorendo la comprensione di ciò che possono fare all’interno della terapia intensiva neonatale come atto profondamente genitoriale: sedere accanto all’incubatrice accarezzando tramite gli oblò i piccoli figlioletti, leggergli una storia, aiutarli a concentrarsi sul momento presente e non andare con la mente al futuro, prefigurando scenari dolorosi, vivere giorno per giorno con il bambino. Purtroppo abbiamo riscontrato che non tutti i genitori hanno fruito della possibilità di farsi sostenere psicologicamente. Riteniamo che in questo specifico contesto le motivazioni possano essere diverse: dal sottovalutare l’importanza dei propri sentimenti, al sentirsi in difficoltà perché chi soffre in questo momento è il bambino e non ci si può permettere di stare sul proprio dolore,  dirsi “ tanto starò bene, quando mio figlio starà bene, a che mi serve parlare?”, fino ai pregiudizi purtroppo più noti che vedono in chi si fa aiutare psicologicamente una persona debole o colpevole per la condizione nella quale si trova.

- I piccoli nati prematuramente quali benefici hanno dal contatto con mamme e papà che si lasciano guidare verso l’approccio più corretto alla loro cura? 

I benefici per il bambino sono molteplici, ne citerò uno in particolare, ampiamente confermato dalla ricerca scientifica perinatale: i genitori consapevoli di ciò che provano hanno la possibilità di relazionarsi in maniera più autentica con il figlio e creare così un campo di relazione in cui il neonato può essere accolto nelle sue peculiari e uniche caratteristiche, sviluppando così un senso di se stesso più integrato e stabile.

- Cosa si sente di consigliare alle donne che si trovano o possono trovarsi in situazioni delicate successive a una diagnosi di infertilità, conseguente percorso di procreazione mediamente assistita ed eventuali parti gemellari prematuri che richiedono un lungo percorso in terapia intensiva prenatale?

Ciò che mi sento di dire a gran voce è: non vergognatevi! Non c’è nulla di sbagliato nell’aver desiderato tanto un figlio e nell’essere giunte con il proprio compagno ad una scelta bilaterale e consapevole scegliendo la  procreazione medicalmente assistita. Non sottovalutate però questi percorsi, rappresentano momenti dolorosi e difficili, affidatevi ad un centro dove il personale sanitario sia capace di accogliervi in un modo sufficientemente buono, dove vi sentiate accettate e rispettate. Chi entra nel mondo della prematurità deve darsi tempo, si tratta di una realtà non immaginabile e non rappresentata socialmente,  è normale sentirsi persi, insicuri, impotenti. Non è colpa vostra! Non punitevi, ma lavorate sul l’accettazione della situazione presente, avete fatto di tutto per proteggere il vostro bambino anche rimanere mesi o settimane a letto e’ un atto attivo e protettivo. Fatevi aiutare da persone con un’esperienza specifica nel campo, se vi sentite senza speranza, sfiduciati, datevi del tempo e chiedete aiuto, non sforzatevi di immaginate il futuro ma rimanete nel presente. Non andare a cercare notizie su Internet, vi spaventereste inutilmente, la storia di ogni bambino è unica.  I vostri figli sono piccoli guerrieri, la loro possibilità di ripresa potrebbe sorprendervi, è fondamentale non perdere mai la speranza, il viaggio nel mondo della prematurità è un viaggio dal quale si può uscire profondamente arricchiti, non vi isolate, parlate con gli altri genitori di bambini prematuri, se volete mettetevi in contatto con associazioni di genitori di bambini nati prematuramente dove troverete conforto e informazioni. Infine, mi consenta di inviare un messaggio ai familiari, i colleghi, gli amici di genitori di un bambino prematuro: rimanete accanto a queste famiglie,  ma non fatelo attraverso ripetute chiamate telefoniche per sapere se il bambino cresce o meno, spesso i genitori non possono rispondervi perché non sanno nemmeno loro cosa dire dato che le condizioni di un bambino severamente premature cambiano di giorno in giorno se non di ora in ora, state accanto a queste famiglie con gesti concreti, preparate un pasto, pulite loro casa, pagate le loro bollette, preparate loro un pasto, fate sentire che ci siete con piccoli testimonianze di solidarietà, in questo momento sono i messaggi d’amore più importanti. Infine, vorrei spendere una parola verso il personale  medico sanitario ricordando che curare i piccoli prematuri implica il prendere in carico anche le loro famiglie con le loro ansie e paure, auspico che ci sia sempre un lavoro in sinergia con gli psicologi. Ho avuto l’onore di conoscere una neonatologa, che lavora in terapia intensiva neonatale presso la Fondazione Gemelli,  che si è sempre prodigata per l’aiuto ai genitori dei piccoli prematuri, mi fa piacere ricordarla qui, la dottoressa Patrizia Papacci, Patrizia per prima ha creduto 10 anni fa nell’importanza di affiancare alle cure mediche verso i piccoli prematuri il sostegno psicologico alle famiglie.

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