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Venerdì, 29 Marzo 2024
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'Una vita tutta mia', Jill Cooper scrittrice: “Dalla violenza si può rinascere” | INTERVISTA

In libreria il primo romanzo della personal trainer: “E' stato catartico. Voglio essere motivatrice per tutte quelle donne che sono sopraffatte da forme di violenza e bullismo, in coppia, in famiglia o sul lavoro”

"Un attimo, finisco l'allenamento e arrivo. Mi mancano sette minuti. Tra esattamente sette minuti la richiamo". Jill Cooper è questo. E' tutta in questa frase. E' una donna che, mentre gli altri rimandano la sessione di esercizi a domani, ha fatto della tenacia una strada da percorrere. Oltre gli ostacoli e le deviazioni forzate. Dritta all'obiettivo. Lei la chiama "resilienza", ovvero capacità di riorganizzare positivamente la propria vita di fronte agli imprevisti, alle difficoltà. "Tutti mi dicono che sono forte", spiega "ma se lo sono, è proprio perché negli anni sono stata costretta a reagire, a combattere. E questo ha risvegliato in me un guerriero che oggi vive al duecento per cento".

Esattamente sette minuti dopo (più uno che le è servito probabilmente a bere un bicchiere d'acqua per riprendersi), ecco la sua chiamata in entrata. Occasione dell'intervista è l'ultimo libro scritto, il primo romanzo, 'Una vita tutta mia', edito da Sperling & Kupfer, in cui racconta la storia di Elizabeth Cole, una donna capace di ribellarsi alla violenza domestica e di guadagnare la sua emancipazione. Un volume in cui svela per la prima volta una sensibilità sino ad oggi sconosciuta. Jill, personal trainer dei vip ed imprenditrice nel campo del benessere, è scesa dal tapis roulant e si è messa alla scrivania. Ha tolto la maschera d'acciaio e confidato le battaglie che si nascondono dietro ad una donna di successo. 

La voce al telefono è quella rapida, trascinante ed energica che abbiamo imparato ad ascoltare in tv e nei tutorial WorkOut di Youtube. E' un'iniezione di fiducia. "Tutte mi chiedono come eliminare la cellulite", scherza "e certamente anche quello è un problema da risolvere, ma anche liberarsi di un ex compagno lo è. Voglio essere motivatrice per tutte coloro che si trovano sopraffatte da forme di violenza e bullismo, in coppia, in famiglia o sul lavoro". 


Perché ha deciso di scrivere questo libro proprio ora?

E' un rospo che voleva uscire da anni. Fino ad oggi non ne ho avuto il tempo, perché il lavoro mi ha tenuto molto occupata. Ma sa, quando una persona vede un film, vuole vedere un lieto fine. Ecco: io mi sono scritta il mio lieto fine. Ho intrecciato diverse storie per aiutare la mia protagonista a raggiungerlo. 

Che donna è Elizabeth Cole? 

E' una donna che si fa domande. Chi sono? Quanto valgo? Quanto sono disposta a tollerare? Le snocciola una dopo l'altra, pagina dopo pagina. E riguardano più fronti: non soltanto quello di un compagno violento, ma della figura dell'uomo in generale, di quei padri padroni che vedono in una donna solo un bel soprammobile che non deve in alcun modo liberarsi del suo possessore. Così, dall'essere molto insicura, abbattuta, abbruttita ed impaurita, Elizabeth scoprirà in sé una grande voglia di rivincita, non solo per se stessa ma anche per il bene della figlia. E per lei comincerà una rinascita, un risveglio, una ribellione verso chi la vuole sottomessa. 

I toni del romanzo sono agrodolci, tragicomici. 

E' un viaggio da vivere col fiato sospeso. Io sono appassionata di thriller, perché hanno la costruzione di una montagna russa: quando arrivi all'apice del primo dosso, hai davanti un'altalena di stati d'animo che ti tiene incollato alle pagine. Siamo abituati a leggere libri farciti di stereotipi, di "buoni" e "cattivi". Io ho provato a svincolarmi. 

I temi che tratta, l'hanno riguardata da vicino?

Non penso esista un autore che non attinga al privato. Umori e sensazioni devono partire dal vissuto, non dalla fantasia. Per me è stato un libro catartico, perché in più occasioni, in passato, ho sofferto violenze, dall'infanzia all'età matura. Da quando, ancora bambina, venivo bullizzata a scuola, a quando, 19enne, me ne sono andata dall'America anche per allontanarmi dal mio contesto familiare. Non è un testo autobiografico, ma ho romanzato diverse situazioni. Anche l'incontro con un compagno violento. Sembra incredibile sia successo proprio a me, vero? 

Come se ne è liberata?

Come ho fatto ad emanciparmi? Ho trovato il modo di dire stop ed oggi sono la donna più felice del mondo. In passato una relazione mi ha sottomessa. Una persona voleva annientarmi psicologicamente ma mi ha donato la forza grazie a cui oggi sono me stessa. Sono questa proprio grazie ai problemi che mi sono trovata ad affrontare. Per me adesso la vita è da prendere a morsi, tiro fuori il massimo da ogni giornata. 

Che cosa direbbe ad una donna che si trova a vivere in una situazione analoga?

Di chiedere aiuto. Di documentare con lo smartphone ogni affronto, girare i tacchi ed andare dai carabinieri. Di non sottovalutare mai le prime avvisaglie di una relazione malata, che sono la possessività, il ricatto mentale di chi ti lusinga ma intanto, per isolarti e controllarti, ti sta togliendo i perni attorno a cui ruota la tua vita. Gli uomini possessivi, narcisisti e dominanti cercano di farti terra bruciata intorno, anche allontanandoti dagli affetti e dalla famiglia, e provando in maniera subdola a modificare il tuo stile di vita. Ma chi ti ama non pretende di cambiarti. Sono uomini che sopravvivono, non vivono. Sopravvivono perché hanno un lavoro, una casa e una macchinetta, ma in realtà vivono una latente mancanza, un'insoddisfazione, e, anziché guardare ai propri sogni con tutta la grinta possibile, rimandano in continuazione a domani. 

Ecco, alle donne direi soprattutto di non raccontarsi frottole. Di non cedere al famoso istinto da 'crocerossina', perché un uomo così non cambia. La violenza psicologica non lascia segni, almeno sulla pelle, ma rende la donna un pungiball mentale. 

È mamma di una giovane donna, Veronica. Rispetto alla sua generazione, nota passi in avanti nella tutela delle donne?

No. Paradossalmente era più spiccata negli anni Settanta e Ottanta. Siamo tornati indietro. E questo è avvenuto per uno strano "effetto boomerang": le donne hanno cominciato a difendersi da sole, snaturando il proprio lato debole, e così l'uomo non sente più l'esigenza di proteggerle. Le faccio un esempio: un uomo della mia generazione interverrebbe immediatamente se vedesse una donna aggredita, io stessa ho visto mio marito farlo. Gli uomini di oggi invece sono cambiati: di fronte alla metamorfosi del cosidetto 'sesso debole', quelli buoni sono intimoriti, e quelli insicuri coltivano odio. D'altro canto, però, siamo ancora coperte dal "tetto di cristallo" del pregiudizio.

Cioè?

Quando per ragioni professionali mi trovo a parlare con un uomo, ancora mi guarda stupito se ho una buona idea. Ci mette almeno mezz'ora per parlarmi 'da uomo a uomo'.  E io sono anche avvantaggiata, perché ho un atteggiamento virile. Ma penso a tutte quelle donne che non lo sono. Loro sono la mia lotta. Voglio risvegliare in loro la resilienza. 

Perché dice che la resilienza è più importante del coraggio?

Coraggio è saltare nel fuoco quando vedi un uomo in pericolo, resilienza è prendere botte dalla vita e resistere a tal punto da riuscire ad essere comunque felice. 

Dall'universale al particolare, lo scandalo Weinstein può avere ripercussioni nell'emancipazione quotidiana delle 'donne comuni'? 

Preferisco non guardare a chi denuncia a distanza di anni, ma a tutte coloro che sono uscite dalla stanza d'albergo senza diventare qualcuno. Sono loro le eroine da conclamare. Il gioco delle poltrone del produttore è un cliché che va avanti da sempre. Da giovane lavoravo come valletta in una trasmissione e uno mi minacciò: 'Come ti ho fatto, posso disfarti', disse. Peccato che io preferivo mangiare fagioli col mio fidanzato anziché l'aragosta con lui. La scelta giusta è spesso e volentieri sulla via più lunga e difficile, ma andare a dormire con la coscienza pulita è il miglior sonnifero che conosca. E' in quel tragitto che impari che le cose conquistate con difficoltà fanno onore. 

Le Americane sono più "avanti" nella battaglia dei diritti?

Tutt'altro. Lo sono le Italiane. In America ora c'è il mito delle Kardashian: donne emancipate, sì, ma danno l'idea che una donna debba essere una bratz. E invece la vera felicità è abbracciare le proprie imperfezioni, le proprie rughe. Vivere la vita nascondendosi dietro una maschera è la prigione dei deboli. Per questo spesso su Instagram mi mostro struccata, perché penso che dobbiamo togliere i flirti e dire 'io sono questa'. 

Che donna è lei oggi, a cinquant'anni appena compiuti?

Felice, professionalmente appagata, innamorata. 

Che cos'è l'amore sano?

E' la persona che ti cammina accanto, non quella che deve completarti. Io non guardo mio marito pensando che deve essere lui a rendermi felice, così come lui non lo fa con me. L'amore sano è avere rispetto dell'altro, e questo significa lasciargli lo spazio per inseguire i propri sogni. Mio marito è un surfista e quando guarda il mare si dimentica che esisto: io ne sono contenta, perché in quel momento è libero e vivo. 

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