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Martedì, 16 Aprile 2024
Violenza sulle donne

"Nel suo video Grillo ha fatto una rappresentazione della cultura dello stupro"

Intervista a Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, che ricorda lo storico documentario 'Processo per stupro', andato in onda sulla Rai nel 1979: "A distanza di tanti e tanti anni c'è ancora un'incrostazione culturale e strutturale che deve essere superata attraverso proprio la formazione e una cultura di superamento degli stereotipi"

Il 26 aprile 1979 il secondo canale della Rai mandò in onda Processo per stupro, un documentario girato da un gruppo di militanti femministe seguendo un dibattimento nel tribunale di Latina con imputati quattro uomini, accusati di aver adescato, sequestrato e violentato una giovane donna, difesa da Tina Lagostena Bassi. Un documento storico, sia perché era la prima volta che le telecamere entravano in un'aula giudiziaria per riprendere un processo sia perché quelle stesse telecamere mostrano senza filtri, con la crudezza del girato dal vivo, ciò che avveniva quando una donna denunciava una violenza: la vittimizzazione secondaria, la colpevolizzazione della vittima, la sua stessa vita messa sotto una lenta di ingrandimento, la sua parola ribaltata, la sua dignità vilipesa. Gli avvocati difensori chiesero alla ragazza, Fiorella, i dettagli su come era stata picchiata, interrogarono la madre sulle sue frequentazioni e amici degli imputati per dimostrare che fosse una "facile", si dilungarono sugli atti sessuali che furono compiuti su di lei. "E questa è una prassi constante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza: se si fa così è solidarietà maschilista perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale", contestò Tina Lagostena Bassi nella sua arringa, per poi dire: "Una donna ha diritto di essere quello che vuole e io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l’accusatore di un certo modo di fare i processi per violenza. Ed è una cosa diversa". 

Il video di Grillo in difesa del figlio e Processo per stupro

Da quando è stato diffuso il video di Beppe Grillo che difende il figlio Ciro, indagato insieme ad altri tre amici per violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza durante una vacanza in Sardegna, Processo per stupro è tornato in mente a tanti, perché quelle immagini in bianco e nero sono rimaste scolpite nella mente, a distanza ormai di più di quarant’anni. Lo ricorda anche Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza. "Mi ha ricordato il momento in cui le madri degli imputati protestano in difesa dell'onore dei loro figli buttando addosso alla ragazza tutta la colpa. Vedendo il video di Grillo, ho avuto come un flash ripensando a quando Tina Lagostena Bassi svelava la vittimizzazione secondaria. C’è stata una costruzione molto contenuta e limitata di una nuova cultura da allora, perché la donna continua ad essere giudicata e il suo comportamento ritenuto non coerente con lo stereotipo della vittima: la situazione in cui si trovava quando ha subito violenza viene considerata come frutto delle sue scelte provocatorie, da come era vestita a perché si trovava lì”, dice Veltri a Today, secondo la quale in quel video "imbarazzante e vergognoso" Grillo, con tutto il peso del suo essere un personaggio pubblico consapevole che utilizzando gli strumenti a sua disposizione sarebbe arrivato a un numero importante di persone, "ha fatto una rappresentazione della cultura dello stupro, che sta alle basi della vittimizzazione secondaria, un campionario degli stereotipi che continuano ad albergare nella nostra società". 

#ilgiornodopo

Tra affermazioni più controverse di Grillo c’è quella secondo cui le accuse della ragazza nei confronti di suo figlio e degli altri non sarebbero credibili perché questa ha denunciato i fatti soltanto otto giorni dopo. "Intanto è la donna che decide quando deve denunciare. E poi la cosiddetta legge Codice Rosso nel 2019 ha allungato i tempi per la denuncia da sei mesi precedenti agli attuali 12 e lo ha fatto ben consapevole, come strumento legislativo, del fatto che non è facile per una donna denunciare la violenza", ricorda Veltri. Quando fu approvato Codice Rosso fu proprio il Movimento 5 Stelle a rivendicare di aver voluto estendere i termini per la presentazione della denuncia e l'uscita suo del "garante" ha creato non pochi imbarazzi e malumori tra i pentastellati. Sull'onda di quelle frasi è diventato in breve tempo virale sui social l’hashtag #ilgiornodopo lanciato da una giovane donna, Eva Dal Canto, "perché le/i sopravvissuti allo stupro e alle violenze raccontino quanto drammaticamente sia normale e diffuso non aver denunciato immediatamente. O, come nel mio caso, non aver denunciato affatto". E altri 'Survivor' hanno aggiunto le loro storie legate a quell’hashtag, per dire no una volta di più al victim blaming e alla cultura dello stupro.

"La lotta alla violenza di genere deve essere una priorità politica"

"La vittimizzazione secondaria vuol dire colpire la donna una seconda volta, maltrattarla di nuovo, e ciò avviene spesso, nelle aule di tribunale, sui giornali e sui social", ricorda Veltri. L'8 marzo la sua associazione ha lanciato una campagna, 'Fatte di cronaca', per sollecitare le istituzioni - ma non solo - a considerare la violenza di genere come una priorità politica. "Come rete dei come centri antiviolenza, noi ripetiamo da tempo che il problema è strutturale e culturale e quindi investe la politica a 360 gradi. Non si possono ideare le misure giuste per risolvere questi problemi se non li si affronta in quanto questione politica. Il piano nazionale antiviolenza è scaduto nel 2020 e ad oggi quello nuovo continua ad essere solo annunciato ma mai presentato: noi al momento non ne sappiamo nulla. Il problema che Grillo ha fatto esplodere è anche legato alla necessità di una formazione sulla violenza di genere, che necessita di finanziamenti e quindi anche di una scelta dei criteri con cui vengono selezionate le organizzazioni che possono erogare tale formazione, le quali devono rispettare la Convenzione di Istanbul, tra l’altro in gran parte ancora inattuata nel nostro Paese", denuncia Veltri. Il Grevio, il gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne , ha esortato più volte - anche recentemente - le autorità italiane ad adottare maggiori misure per proteggere le donne, nel rispetto del trattato internazionale. Per Veltri "bisognerebbe applicare gli strumenti di legge che ci sono e applicare la Convenzione di Istanbul, vincolante per lo Stato italiano e disattesa in gran parte, soprattutto per quanto riguarda le modalità di svolgimento dei processi. I dispositivi legislativi in essere in Italia vanno applicati e vanno saputi applicare ma va fatta anche formazione specifica a tutti i soggetti coinvolti nel prevenire e contrastare la violenza, anche per i magistrati". 

Formazione e cultura di superamento degli stereotipi

"Partendo dal presupposto che il rispetto della libertà degli individui deve essere salvaguardato, in tal senso la cultura che dovrebbe prevenire la violenza maschile nei confronti delle donne non può essere una cultura inibitoria della frequentazione di spazi in determinate ore del giorno o del desiderio di vestirsi come si vuole, ma deve partire appunto dalla costruzione della libertà di tutte e tutti attraverso il rispetto. C’è una sorta di inibizione a prescindere nelle donne e questo avviene perché non si è costruito adeguatamente per responsabilizzare tutti quanti noi e la società nella sua interezza nella costruzione di una pari dignità ed eguale rispetto delle libertà di ognuno”, conclude Veltri, tornando a citare Processo per stupro. "Nella sua arringa, Tina Lagostena Bassi ha decostruito il meccanismo della vittimizzazione secondaria in un’aula di tribunale completamente al maschile, nel quale la vittima veniva trattata come imputata. L’interrogatorio degli avvocati della difesa insisteva sulla condotta ‘immorale’ della donna, che avrebbe provocato la violenza maschile. A distanza di tanti e tanti anni c'è ancora un'incrostazione culturare e strutturale che deve essere superata attraverso proprio la formazione e una cultura di superamento degli stereotipi". 

Perché Beppe Grillo non ne ha detta una giusta nel video in cui difende il figlio

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