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Giovedì, 25 Aprile 2024
dietro la moda

Le app di vestiti usati stanno esplodendo: vi spieghiamo perché

Il mercato dell’usato è nel pieno di un fermento che va oltre le prevedibili ragioni economiche di convenienza. Perché? Lo abbiamo chiesto a tutti i protagonisti del settore

Il lockdown del marzo 2020 è discrimine spazio-temporale tra la vita di sempre e quella che sarebbe stata. Il lungo confino nell’ambiente casalingo ha indotto più o meno tutti a riflettere - tra le altre cose - sul rapporto tra noi e gli oggetti accumulati fino ad allora: sulle mensole, nei cassetti, dentro gli armadi, gli elementi di una scenografia immutabile e sospesa nel tempo che oggi, anche in virtù di quella epocale esperienza, viene sempre più considerata merce di un processo antico reso moderno dai mezzi e dalle motivazioni per cui è messo in atto. 

Il mercato dell’usato è nel pieno di un fermento che va oltre le mere ragioni economiche sottese alla convenienza di acquistare oggetti di seconda mano e di venderli per guadagnarci qualcosa. Dagli accessori alle suppellettili, dai vestiti agli elettrodomestici, si compra e si vende di tutto per soddisfare le esigenze più disparate, motore di un settore dalla vitalità grande quanto i numeri che la misurano. Anche grazie alla pandemia, infatti, il business della compravendita dell’usato ha registrato un boom stimato dalla multinazionale statunitense di consulenza strategica Boston Consulting Group (ottobre 2020) tra i 30 e i 40 miliardi di dollari in tutto il mondo, cifra che potenzialmente subirà un incremento annuale dal 15% al 20% nei prossimi cinque anni. Le app dedicate alla moda di seconda mano, poi, in forte espansione per numeri e tipologie, hanno contribuito ancora alla diffusione di un’interazione che dal mercato rionale si è spostata su quello virtuale e chiunque può scegliere e comprare, fissare prezzi e concedere sconti. Uno sconfinato Porta Portese 2.0, insomma, dove “la gente che s’affolla e le patacche che t’ammolla quello là” di baglioniana memoria hanno tutto un altro fascino. Forse meno poetico, ma molto, molto redditizio.

Come funzionano le app di vestiti: il caso Vinted

Sempre più scaricate sono le app nate con lo scopo di mettere in contatto acquirenti e compratori disposti a vendere e comprare di seconda mano, vestiti e accessori di moda soprattutto. Vinted è tra queste: fondata in Lituania nel 2008, la piattaforma è arrivata in Italia nel 2020 e attualmente conta una community in espansione di 50 milioni di membri in tutta Europa. Abiti, accessori e scarpe per adulti o bambini, tessuti per la casa, libri e articoli decorativi non sono solo oggetti di seconda mano, ma “pre-loved”, ovvero “precedentemente amati”, terminologia già da sola utile per attribuire loro un’accezione quasi romantica che, al valore commerciale, pare aggiungerne anche uno sentimentale. Lo stesso che, in questo periodo natalizio, invita anche a considerare l’idea di acquistare regali di seconda mano.

Il lato economico, tuttavia, c’è ed è anche sostanzioso, considerando che Vinted è stata valutata 3,5 miliardi di euro. Ma come guadagna l’app, dato che il servizio di creazione degli annunci è offerto gratuitamente e il fruitore non paga commissioni? Contattata da Today, l’azienda spiega che sono tre le modalità attraverso cui ottiene un ricavo: con la buyer protection, tassa che viene aggiunta ad ogni transazione per  consentire di pagare in modo sicuro, di ricevere un rimborso e assistenza al cliente eseguita utilizzando il bottone “acquista”, a carico dell’acquirente; con i servizi opzionali push a pagamento (funzionalità chiamate boost e armadio in evidenza) che permettono ai membri della community Vinted di dare maggiore visibilità ai loro articoli; con la pubblicità sul sito e all’interno dell’app. Attualmente il mercato più esteso in termini di utenti registrati è la Francia con 19 milioni di membri, seguito dalla Germania (11 milioni) fa sapere ancora Vinted che indica nelle donne tra i 20 e i 35 anni il target prevalente di fruitori che comunque tende ad estendersi per età e genere. Per quanto riguarda gli articoli più gettonati, poi, ad oggi risultano i capi di abbigliamento femminile (top, giacche, scarpe) quelli più venduti, ma molto in voga è anche la categoria bambino (circa il 30%), mentre quella maschile registra una graduale in crescita.

Per quanto riguarda le ragioni che inducono le persone di tutta Europa a utilizzare sempre più le piattaforme di second-hand, Vinted ha un’idea ben chiara. “Non sono solo motivazioni economiche, ma c’è anche la volontà di dare una seconda vita a qualcosa che non è più utilizzato, ma che per qualcun altro può essere un vero tesoro”, ci dicono: “La crescente popolarità del second hand è iniziata diversi anni fa come parte di un generale movimento verso un consumo e uno stile di vita più consapevoli. Non ci consideriamo all’origine di questo boom, ma cerchiamo di rispondere, con la nostra piattaforma, alle diverse motivazioni che portano a scegliere il second hand e di mettere la nostra expertise tecnologica al servizio del cambiamento, per contribuire a rendere la transizione una scelta naturale”. 

In un quadro di già crescente popolarità, ha influito molto il fattore pandemia e le ripercussioni generate sulle abitudini di consumo: “In molti hanno utilizzato il tempo passato in casa per fare pulizia nel proprio guardaroba e cambiare non solo il proprio modo di vestire, ma anche di comprare. Molti hanno così deciso di vendere i capi che non utilizzavano più, dando a questi articoli una seconda vita e guadagnando allo stesso tempo. Dal lancio sul mercato Italiano abbiamo registrato un trend di crescita positivo, e oggi contiamo più di 3.5 milioni di utenti registrati in Italia” precisa ancora l’azienda, certa che il Covid e tutte le sue implicazioni abbiano sì accelerato lo sviluppo delle piattaforme digitali, ma in un momento storico in cui i consumatori erano già significativamente interessati alla moda second-hand. “Oggi notiamo una crescente consapevolezza nei confronti delle problematiche ambientali e speriamo di continuare a ispirare sempre più persone con la nostra mission di rendere il second-hand la scelta numero uno al mondo” sostiene poi il marketplace che, in riferimento all’Italia, individua proprio nei temi relativi all’ambiente e alla sostenibilità la predisposizione all’acquisto sulla piattaforma.  

I mercatini dell’usato oggi: i luoghi fisici e il rapporto con l’online 

Il mercato fisico, tuttavia, resiste nonostante l’avvento dell’online. La Mercatino Srl, per esempio, è un franchising molto diffuso in Italia con diversi punti vendita. Dal 1995 tutti possono recarsi fisicamente presso un centro, vendere il proprio usato o acquistare la merce esposta al prezzo stabilito e la tendenza appare in notevole crescita negli ultimi mesi: “La proiezione del nostro fatturato del 2021, a un mese e mezzo dalla fine dell’anno, è di un incremento sul 2019 del 6,7%. Noi, come Mercatino, sfioreremo i 90 milioni di euro di fatturato” ci racconta il presidente del frachising Sebastiano Marinaccio che riporta un’indagine di settore secondo cui, a livello nazionale, il valore dell’usato attualmente è di 17 miliardi di euro (esclusi auto e motoveicoli). Anche in questo caso si è notato come, negli ultimi tempi, a vivacizzare tanto il comparto della compravendita dell’usato non sono più solo le prevedibili ragioni economiche, ma altre esigenze sempre più diffuse: “Il primo motivo in assoluto è la necessità di liberarsi di cose obsolete. Al secondo posto quello di implementare il reddito e al terzo posto c’è la sostenibilità che solo 5, 6 anni fa era marginale” assicura Marinacci. Il tema del riciclo torna, dunque, tra i nuovi e importanti fattori che spingono i clienti a mettere in commercio i propri oggetti.

Nel settore la crisi dettata dalle chiusure durante il picco dell’emergenza sanitaria c’è stata e si è fatta sentire, ma con una rilevante novità: “I nostri negozi fisici, come tutti, hanno sofferto la chiusura. Il Covid complessivamente ci ha danneggiato, ma ha fatto incrementare l’online” spiega Marinaccio riferendosi a Riù, app di Mercatino srl aperta quattro anni fa. Secondo l’imprenditore, tuttavia, “la gente non è soddisfatta dell’online quando compra usato, non potendo provare i capi e preferendo sempre venire di più nel negozio fisico”. La concorrenza delle nuove app, dunque, non ha influito negativamente sul giro d’affari della compravendita nei centri, anzi: “Dovremmo quasi anche ringraziare queste app, perché stanno allargando il mercato” sostiene Marinacci: “Più loro comunicano, più i clienti vengono da noi. Stiamo incrementando anche con una certa velocità perché il limite dell’app e della vendita online in generale è che metto in vendita un capo di abbigliamento e mi risponde una persona solo per un capo, per un solo oggetto. Nei punti vendita, invece, il cliente entra in un grande store e sa che di capi ne può trovare dieci, cento, mille. Poi c’è il bello dello shopping, di toccare il tessuto, di vederlo”.

Quando il lusso è di seconda mano: il mercato del vintage

Il termine “vintage” deriva dal francese antico vendenge (“vendemmia”). Col tempo dall’originaria denominazione generica di vini d’annata di pregio il vocabolo è arrivato a comprendere anche capi di vestiario, bigiotteria, oggetti d’epoca che negli anni hanno acquisito valore. Per quanto attiene alla moda, i brand del lusso occupano gran parte della categoria che oggi continua ad avere un fiorente mercato proprio come accade per il mercato di seconda mano comprensivo di ogni tipologia di bene. Secondo l’ultimo studio True Luxury Global Consumer Insight di BcgxAltagamma, i consumatori del lusso stanno sempre più attivamente partecipando alla compravendita del second hand, con il 62% che si definisce interessato a vendere o a comprare e 1/4 dei consumatori che ha comprato o venduto.

Tuttavia, rispetto al mercato che rimette in commercio di tutto e consente a chiunque di cercare e trovare l’occasione, quello del vintage di lusso di seconda mano alletta una cerchia di clientela decisamente più ristretta, per finanze e per gusti, alla ricerca del pezzo simbolo di qualità durevole nel tempo, ma anche del prestigio del marchio che rappresenta. “La nostra clientela è spinta all’acquisto soprattutto per soddisfare il desiderio di possedere qualcosa che magari non c’è più sul mercato, un’icona come possono essere le borse Bamboo o Jackie di Gucci che sono riproposte ancora adesso ma senza le linee delle origini. Oggi sono rarissime” ci racconta Barbara Manera, titolare di Babastyle, negozio di vintage aperto nel centro storico di Roma da circa cinque anni e mezzo: “Il modello Sella di Dior, per esempio: ne avevo 6 del valore di 300, 400 euro. Dopo che Dior le ha riproposte sono schizzate a 1200, 1400 euro. Dipende dal mercato che, pur essendo vintage, è comunque molto legato all’attualità”.

Ma cosa spinge a mettere in vendita un oggetto come una borsa, una giacca di alta sartoria, un accessorio di bigiotteria dal notevole valore, dopo che magari sono stati usati per anni? “Non è automatico che un oggetto dal grande valore economico abbia anche un valore affettivo” spiega Barbara: “È frequente anche che si venda per guadagnare qualcosa con l’obiettivo di comprare, magari, un’altra borsa di maggior valore a cui si ambisce da tanto tempo, per fare spazio nell’armadio dopo un trasloco oppure, ancora, perché ci si ritrova oggetti appartenuti ad una persona cara scomparsa”. Secondo l’esperienza della commerciante, protagoniste di questa nicchia di mercato sono soprattutto le donne, le signore che puntano al raro orecchino degli anni Sessanta come le ragazzine che già a 15 anni desiderano la borsa firmata ma non possono permettersi di comprarla nuova.

Sull’avvento delle app che hanno ad oggetto la compravendita anche di accessori e abiti di marchi importanti, Manera ha la sua opinione, certa che comunque il rapporto umano e professionale che si instaura tra negoziante e cliente resti insostituibile nonostante la teconologia: “Le app hanno influito un po’ negativamente sulla clientela, soprattutto per quanto riguarda le ragazzine che ormai tendono molto ad usarle molto”.

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