Dalle proteste in piazza agli accordi con la "controparte", da difensori dei lavoratori ad assunti "insoliti", anche in posizioni dove non ce ne sarebbe stato il bisogno. Si tratta dell’ultima puntata di uno dei casi più intricati della politica economica italiana, quello relativo ad Alitalia, che lo scorso anno ha vissuto il drammatico passaggio del testimone alla neonata Ita. Una transizione sanguinosa, da cui ne è uscita una compagnia smembrata e per cui, come al solito, hanno pagato un caro prezzo migliaia di lavoratori, dipendenti e non. Da piloti in Alitalia a comandanti in Ita, o da assistenti di volo a responsabili di cabina, questi sono soltanto alcuni dei miglioramenti di carriera avvenuti nel passaggio da una compagnia all’altra e che avrebbero come protagonisti alcuni dipendenti iscritti ai sindacati confederali, rappresentanti dei lavoratori che avrebbero partecipato anche alle trattative sulla chiusura di Alitalia e la nascita di Ita. È la denuncia contenuta in un dossier realizzato da alcuni dipendenti cassaintegrati di Alitalia e visionato in anteprima da Today.it.
La denuncia: "Così hanno svenduto Alitalia"
Un caso complesso, che trova collocazione nel quadro già contorto che ha portato prima alla chiusura dell’ex compagnia di bandiera e poi alla nascita di Ita, più piccola e smembrata tra volo e servizi di terra. A raccontare la vicenda a Today è proprio una dipendente di Alitalia attualmente in cassa integrazione: "Alcuni delegati sindacali confederali, per sopperire al gap salariale e alla mancata applicazione dei fondamentali diritti dei lavoratori, accordati con il passaggio da Alitalia a Ita, hanno pensato di recuperare questi ammanchi con degli avanzamenti di carriera, anche ingiustificati perché in posizioni in cui non vi era necessità ed era disponibile un collega qualificato in cassa integrazione. Alcuni stanno facendo i corsi di aggiornamento - tuona la cassaintegrata di Alitalia - non hanno neanche atteso che si calmassero le acque, e alla luce del sole hanno iniziato, o stanno iniziando, con le nuove mansioni".
Secondo le fonti, i casi riguardano tutti i comparti, dal volo ai servizi a terra. In particolare, il dossier descrive la situazione del comparto di handling, ossia l’assistenza ai passeggeri, una delle "fette" di Alitalia scorporate con la nascita di Ita: "I servizi cosiddetti di terra, sono stati ceduti alla Swissport e, rispetto al comparto volo, per cui non c’è stata una vera e propria continuità per quanto riguarda i dipendenti, in questo caso è stata applicata la legge 2112, che in caso di trasferimento di ramo d’azienda, prevede che il rapporto di prosegua insieme a tutti i diritti che ne derivano: "Su 2.500 lavoratori - si legge nel dossier - gli svizzeri ne hanno assunti soltanto 1.600, lasciando il resto in cassa integrazione a zero ore, con la speranza di essere assunti entro il 2025 se l'azienda Elvetica andasse a gonfie vele e avrà bisogno di altro personale. Con un accordo a latere, i sindacati confederali hanno ritenuto accettabile che 327 dipendenti, ripescati tra i circa 600 non assunti dalla nuova azienda, saranno messi in distacco, parola già di per sé orribile, a lavorare in prestito per la Swissport fino a dicembre. Per poi circa solo 200 di loro saranno assunti, ovviamente se alcune condizioni poste dagli elvetici andranno a compimento. Quindi questi che fino a ieri erano regolari lavoratori, si ritrovano a svolgere lo stesso lavoro del giorno prima ma da precari. Con la più o meno vana promessa che un dì saranno assunti".
Sempre secondo il documento realizzato dai dipendenti in cassaintegrazione di Alitalia, i principi di scelta dei 1.600 assunti prima, e del successivo gruppo di 327, sarebbero dovuti essere criteri sociali, ovvero nel rispetto dell'anzianità e dei carichi familiari, ma le cose sono andate diversamente: "Per primi sono stati assunti i dipendenti iscritti ai sindacati confederali, poi tutti gli altri - prosegue il dossier - Sono stati lasciati fuori da tutto, dipendenti con lunghi periodi di malattia, dipendenti che esposti politicamente a sinistra, dipendenti che l'azienda reputava di disturbo, in quanto disposti con forza a farsi rispettare, a far rispettare i propri diritti".
Un incubo per migliaia di lavoratori
Così, mentre un ristretto gruppo trovava miglioramenti di carriera, un gran numero di dipendenti si è trovato precario da un giorno all’altro. "Hanno fatto un doppio danno - spiega a Today la cassaintegrata Alitalia - morale e materiale. Nel corso degli anni abbiamo perso sempre di più, sia dal punto di vista salariale che da quello delle tutele. Fanno tutto alla luce del giorno e non c’è nulla di nascosto: nonostante ci fossero colleghi qualificati in cassa integrazione, alcuni delegati hanno effettuato i corsi di aggiornamento, senza che fossero necessari, per ricoprire i nuovi ruoli. L’impressione è che negli ultimi anni, più che tutelare i lavoratori, alcuni rappresentanti sindacali abbiano fatto più un lavoro di cooperazione con l’azienda, andando ad accettare la perdita di alcune condizioni e arrivando a salari nettamente inferiori alla media europea. Il tutto proporzionato ad una flotta ridotta, quattro-cinque volte più piccola di giganti come Lufthansa e Air France".
Ma se da un lato c’è una cerchia ristretta di persone ha trovato giovamento dalla nascita di Ita dalle ceneri di Alitalia, c’è un gruppo molto più folto di persone che ne ha pagato il prezzo: "Sono circa 1.500 le persone che si sono trovate in cassa integrazione, con lo stipendio decurtato e i turni compressi, senza alcuna tutela, anche alla luce di importanti conseguenze negative per la propria salute. C’è chi è monoreddito, chi ha figli, lavoratori che non se la sono sentita di fare causa all’azienda, persone che hanno dovuto subire questa situazione anche se non avrebbero voluto. Non so come andiamo avanti, i disoccupati sono tanti, anche nell’indotto. Si è creato un default in un settore strategico per il nostro Paese".
Il comportamento quantomeno discutibile di questi delegati sindacali è stato confermato a Today anche da una seconda dipendente Alitalia in cassa integrazione: "Si è innescato un processo degno di essere associato alla dinamica sindacale tipica di un paese sudamericano o dell’Italia di 50 anni fa. Parliamo di persone che in piazza avevano protestato al fianco dei lavoratori, bloccando strade e simulando crocifissioni, denunciando il sacrificio che sarebbe avvenuto con la chiusura di Alitalia e la creazione di Ita, ossia la cassa integrazione per 8mila lavoratori. Individui che con la stessa camaleontica disinvoltura, pochi mesi dopo la drammaturgica messa in scena, stringevano accordi con l’azienda regalando condizioni penose per i lavoratori, economicamente e giuridicamente. Ma la telenovela non finisce qui - conclude la seconda fonte - Poi la figliastra di Alitalia ha poi assunto al suo interno i delegati, subito promossi con avanzamenti di qualifica, mentre chi aveva già quelle qualifiche si trovava in cassa integrazione".
La tribolata storia di Alitalia
Ma questa e tutte le altre vicende che compongono il districato mosaico che è stata la storia di Alitalia prima, e di Ita adesso, sono almeno in parte frutto della mancanza di regole serie per la gestione del trasporto aereo e sulla concorrenza in Italia. Quella dell’ormai ex compagnia di bandiera, di cui ciò che resta viene mantenuto "in vita" in amministrazione controllata, è una storia purtroppo ricca di punti critici fin dagli albori: il tormentato decollo di Malpensa e il mancato matrimonio con Klm, l’assenza di strategie atte a contrastare l’irruzione delle compagnie low cost, fino ai maldestri e ripetuti tentativi della politica di salvare il salvabile. Con risultati spesso catastrofici, come quelli ottenuti dai "capitani coraggiosi". Nel 2014 la compagnia venne acquisita da Ethiad, ma il vero ''decollo'' non avvenne mai, anzi, nel 2017, dopo la bocciatura del piano di salvataggio, la società entrò in amministrazione controllata.
Una lunga serie di "sfortunati" eventi che hanno guidato Alitalia verso un triste epilogo, nonostante i numerosi (e costosi) interventi messi in atto da un governo dietro l’altro per evitare, o forse rimandare, l’inevitabile, mentre la compagnia danzava, in punta di piedi, sull’orlo del precipizio. Un errore dietro l’altro si è arrivati ai giorni nostri e al passaggio del testimone da Alitalia ad Ita, con una consistente riduzione di flotta e forza lavoro, e lo "spezzatino" dei comparti. Eppure alcuni punti critici di questo passaggio erano già stati evidenziati prima che tutto si concretizzasse.
In tempi non sospetti, diversi studi realizzati dal Prof. Ugo Arrigo e dal Prof. Gaetano Intrieri, entrambi esperti in trasporto aereo, avevano evidenziato come l’unica strategia in grado di risollevare le sorti di Alitalia, generatrice di buchi miliardari negli ultimi decenni, fosse quella di investire sull’acquisto di aerei a lungo raggio, così da rilanciare Ita nel panorama mondiale, in cui invece imperversano le low cost. Ma le cose nono sono andate in questo modo: nel passaggio da Alitalia a Ita, a flotta è stata più che dimezzata, così come il personale, trasformando quella che prima era una rispettata (e a volte odiata) compagnia di bandiera, in qualcosa che ha tutte le fattezze di una low cost italiana, non in grado di competere sul mercato con le "cugine" europee.
Non solo. Come evidenzia il dossier, c’era anche un cavillo tecnico avrebbe dovuto bloccare la transizione da Alitalia a Ita: "Da quanto confermano le ricerche del professor Gaetano Intrieri, secondo le regole europee e dell’Easa (European Union Aviation Safety Agency) non è possibile per la nuova compagnia chiamata Ita ottenere il COA (certificato operatore aereo) e la licenza di esercizio. I Frameworks emanati dalle Easa sono stati approvati dall’ENAC, di conseguenza sono previsti una serie di items improcrastinabili nello spin off di asset di una nuova azienda. Inoltre i COA, sempre secondo le normative non possono né essere venduti né affittati perché hanno bisogno dell’approvazione di manualistica e di seguire le OPS (operation procedure of security) approvate dalle autorità competenti. L’unica cosa che può essere ceduta è la manualistica che può costituire la base di inizio di un nuovo COA".
Un freno che non ha impedito un passaggio complesso, atto finale di un fallimento che nel corso degli anni ha visto passare (o ha soltanto sentito parlare) di tante soluzioni, poi cadute nel dimenticatoio o mai portate a compimento. Il caso Alitalia, un po’ come un vaso di Pandora moderno, ogni volta che viene aperto porta alla luce "falle ingiustificabili", come vengono definite nel dossier dei dipendenti Alitalia in cassa integrazione.
Ita, avanti con la privatizzazione
Così, un corto circuito dietro l’altro, il 15 ottobre scorso è decollato il primo volo Ita. Un inizio arrancato anche a causa della pandemia, seguito da mesi di risultati al di sotto delle attese. Un percorso che ci porta alle battute finali di quanto stabilito da Bruxelles nel 2020, quando l’Italia ottenne il via libera alla nascita di Ita, a patto che la compagnia fosse in grado di proseguire la sua attività senza continuare a pesare sulle casse dello Stato. Intanto la vendita del vettore prosegue: i due contendenti in gioco sono Msc-Lufthansa e il fondo Usa Certares, che hanno presentato le offerte al Ministero dell'Economia e delle Finanze, con il Tesoro che adesso sta valutando quanto messo sul piatto dai due offerenti. Dal prezzo alle rotte, fino agli investimenti, sono diversi i fattori che avranno peso in questo testa a testa. Secondo le ultime indiscrezioni, per quanto riguarda il prezzo, Msc e Lufthansa metterebbero sul piatto 850 milioni di euro per l'80% di Ita, col 60% a Msc, il 20% ai tedeschi e il 20% lasciato al Mef. La proposta prevede anche un futuro Cda in cui Msc avrebbe tre posti, mentre Lufthansa e il Tesoro un posto ciascuno. Da un punto di vista industriale, verrebbero sviluppate le sinergie con Msc sia per i passeggeri che per il cargo, con Fiumicino che diventerebbe poi l'hub di Lufthansa del Mediterraneo. L'offerta di Certares, in partnership commerciale con Air France-Klm e Delta Airlines, metterebbe sul piatto 650 milioni per una quota poco inferiore al 60%, lasciando poco più del 40% nelle mani del Mef, che prenderebbe 2 posti su 5 in un futuro board di Ita. L'offerta del fondo Usa darebbe un ruolo centrale a Roma Fiumicino: come terzo hub dell'Europa continentale, insieme ad Amsterdam e Parigi. I consulenti del Tesoro, dopo aver esaminato le due proposte comunicheranno i loro pareri al Mef, con la "palla" che passerà a Palazzo Chigi e al premier Draghi, che avrà l'ultima parola su l'interlocutore con cui avviare la trattativa. Poi, dopo il 25 settembre, toccherà al nuovo governo mettere il sigillo finale sulla privatizzazione di Ita.
Ita finisce nella campagna elettorale
In attesa che arrivi il via libera per la cessione, il destino di Ita Airways è finito, inevitabilmente, nel vortice della campagna elettorale. Come Berlusconi con Alitalia, prima nel 2008 e poi nel 2013, nelle settimane passate è stata Giorgia Meloni ad inserire le sorti della compagnia aerea (e dei suoi dipendenti), tra i punti della campagna elettorale di Fratelli d’Italia, chiedendo a Draghi di "frenare" sulla vendita e aspettare l'esito del 2oto del 25 settembre. Una posizione rimarcata durante il meeting di Rimini da Antonio Tajani, vicepresidente e coordinatore unico di Forza Italia: "Di Alitalia me ne sono occupato quando ero commissario Ue ai Trasporti ed ho favorito la nascita della newco Cai. Siamo alla conclusione. Se si può decidere con il nuovo governo va meglio". Diversa la posizione di Enrico Letta, segretario del Pd: "Quando la campagna elettorale si è occupata di Alitalia l'ha fatta quasi fallire. Quando Berlusconi presentò una soluzione nel 2008 e mescolò il destino di lavoratori ed azienda alla campagna elettorale, l'esito fu disastroso. Togliamo il tema dalla campagna elettorale per evitare che vengano fatti gli stessi disastri di Berlusconi del 2008. Se lo togliamo dalla campagna elettorale si fa un bene ai lavoratori ed all'Italia".
Un tempismo disarmante, quello di alcuni esponenti politici, che sembrano ricordarsi di casi come quello di Alitalia-Ita soltanto in tempi di campagna elettorale. Nel corso dell’ultimo ventennio diversi governi hanno avuto la possibilità di fare qualcosa per cambiare il destino della nostra compagnia di bandiera, senza mai ottenere miglioramenti, anzi. Forse adesso è arrivato il momento che la politica se ne occupi in maniera concreta, con dignità, rispetto e decoro, come ogni lavoratore merita di essere trattato.