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Venerdì, 19 Aprile 2024
Gli aumenti

Le buste paga (un po') più alte nel 2023: chi ci guadagna

Il cedolino dello stipendio di questo mese sarà un po' più pesante per i lavoratori del settore pubblico e privato, per effetto del taglio del cuneo fiscale previsto dalla legge di bilancio. Le cifre

C'è una buona notizia per i dipendenti pubblici e privati in questo inizio del 2023, perché il taglio del cuneo fiscale previsto dalla legge di bilancio, per ridurre la forbice tra stipendio lordo e netto nella busta paga dei lavoratori, si concretizza già nel cedolino dello stipendio di gennaio. La riduzione dei contributi previdenziali era stata introdotta in misura limitata (0,8%) dal governo Draghi nel primo semestre del 2022, ed era stata portata poi a due punti nella seconda parte dell'anno. Il governo Meloni ha confermato lo sgravio per tutto il 2023, incrementandolo per chi guadagna fino a 25mila euro lordi l'anno. Il traguardo dichiarato è portare lo sgravio contributivo a cinque punti nel corso della legislatura: andranno però trovate le risorse necessarie, e non sarà certo facile (al momento i costi di questo intervento sono piuttosto impegnativi per il bilancio pubblico, visto che sono molto vicini ai 5 miliardi di euro).

Gli aumenti degli stipendi da gennaio 2023

Ma a chi spettano questi aumenti e quanto si guadagna? In sintesi, chi guadagna fino a 1.923 euro lordi mensili ha diritto ad una riduzione di tre punti dell'aliquota contributiva: in questo caso l'aumento in busta paga può arrivare fino a 58 euro lordi. Chi invece arriva a guadagnare fino a 2.692 euro si vede confermato lo sgravio di due punti già in vigore lo scorso anno, che può significare un beneficio di 54 euro, sempre in termini lordi. Con una circolare del 24 gennaio scorso, l'Inps ha definito tutti gli aspetti delle nuove regole, operative già con i pagamenti di gennaio di questi giorni. Sono inclusi tutti i dipendenti pubblici e privati, con l'eccezione dei lavoratori domestici (che hanno una normativa specifica e aliquote contributive più basse).

Nel dettaglio, il taglio riguarderà la quota di contribuzione a carico del lavoratore, fissata per la componente previdenziale al 9,19%: secondo la normativa scenderà al 6,19% fino ai 1.923 euro mensili e al 7,19% per chi non va oltre i 2.692 euro. Le pensioni future degli interessati non verranno toccate: la legge prevede esplicitamente che siano calcolate come se il versamento fosse pieno. Il vantaggio più considerevole del taglio di tre punti, considerando l'importo massimo di 1.923 euro, lo si ha intorno al massimale di 1.900 euro mensili: ci sono infatti circa 57 euro lordi in più, che diventano però 38 netti.

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Al di sopra lo sconto riparte da circa 40 euro: questo è l'incremento lordo di chi guadagna duemila euro, che ne avrà 26 netti in più. Con 2.692 lordi mensili (ovvero 35mila all'anno) se ne ottengono 54 lordi in più, corrispondenti a circa 30 netti. L'Inps ricorda che il diritto all'esonero è calcolato su base mensile: vuol dire che se in un certo periodo di paga si supera la soglia, il beneficio sarà ridotto (passando da tre a due punti), oppure scomparirà del tutto. Infatti, in caso per esempio di stipendi sui 2.692 euro, un eventuale aumento significherebbe ricevere una retribuzione effettiva uguale o anche leggermente inferiore a quella precedente, visto che lo scatto farebbe perdere l'aumento di due punti.

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