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Venerdì, 29 Marzo 2024
Le "grandi dimissioni"

Fuga dal lavoro: perché (anche in Italia) molti lavoratori si stanno licenziando

Il trend è fotografato dagli ultimi dati del ministero del Lavoro: nei primi nove mesi del 2022 i casi sono stati 1 milione e 660mila

Sono un milione e 660mila le dimissioni dal lavoro registrate in Italia nei primi nove mesi 2022. Rispetto allo stesso periodo del 2021, l'aumento è tutt'altro che trascurabile essendo pari al 22%. Il dato arriva dalle comunicazioni trimestrali del ministero del Lavoro. Il numero indica i rapporti di lavoro cessati per dimissioni, e non il numero dei lavoratori coinvolti.

I licenziamenti tra gennaio e settembre del 2022 sono stati 557mila, in crescita del 47% rispetto ai 379mila del 2021 quando però c'era il blocco causa pandemia. Tra le cause di cessazione del rapporti di lavoro, la scelta di lasciare volontariamente il proprio impiego è seconda solo alla scadenza dei contratti a termine. 

Perché i lavoratori si licenziano?

Il fenomeno delle "grandi dimissioni", nato negli Stati Uniti durante la pandemia, ha attecchito dunque anche in Italia. Ma cosa spinge i lavoratori a rassegnare le proprie dimissioni in un momento come questo di difficile stabilità economica? Una delle cause sembrerebbe essere la ricerca di un lavoro che preveda un migliore trattamento economico e l'opportunità di fare carriera. Chi lascia il proprio lavoro non cerca una vita in vacanza in un'isola tropicale; sogna invece di "sbarcare il lunario" facendo carriera, ma con uno stipendio migliore e condizioni lavorative che consentano una vita più agiata e meno stressante.

In tempi recenti, commentando il boom di dimissioni registrate nel secondo trimestre dell'anno scorso, Joelle Gallesi, managing director di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato, aveva spiegato che "la spinta verso il nuovo potrebbe essere stata la risposta ai lunghi mesi in lockdown oppure semplicemente un cambiamento ormai inarrestabile della percezione del proprio lavoro, dei tempi e degli spazi dell’ufficio o, magari, al naturale e umano desiderio del nuovo, che si è instillato in chi non ha avuto modo di emergere dai propri spazi domestici". Tuttavia, aveva ammonito l'esperta, "trovare la spiegazione a questi dati" non è semplice. Anche perché, faceva notare lo scorso febbraio Daniele Bacchi, ceo di Reverse, servirebbe indagare anche altre variabili, "come ad esempio le fasce d’età o le aree geografiche che più hanno interessato le dimissioni".

Ad ogni modo, secondo un sondaggio condotto nei mesi scorsi da Hunters Group tra mille candidati che hanno scelto di intraprendere un nuovo percorso professionale, il 40% dei profili si è mosso per la possibilità di crescita professionale ed economica, il 23% per la mission e i valori aziendali della nuova realtà e l’11% per l’opportunità di formazione. Vero è che c'è anche una quota non indifferente di persone che dopo aver rassegnato le dimissioni si pente e vorrebbe tornare indietro. 

Secondo Tania Scacchetti della Cgil il fenomeno delle grandi dimissioni "può avere spiegazioni molto differenti: da un lato può positivamente essere legata alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più 'agile', dall'altro però, soprattutto per chi non ha già un altro lavoro verso il quale transitare, potrebbe essere legato a una crescita del malessere dovuta anche ad uno scarso coinvolgimento e ad una scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese".  

Conte: "Bisogna ristrutturare il mercato del lavoro"

Giuseppe Conte, leader dei 5 Stelle, non si dice sorpreso. "La logica attuale del mercato del lavoro - scrive su Facebook -, alimentata dalla grancassa di una politica miope, impone la retorica per cui un impiego debba essere accettato a prescindere. A qualsiasi condizione, anche con stipendi bassi. Poco importa che le proprie competenze siano calpestate, che i turni siano massacranti, che i contratti siano di un solo mese, che non resti spazio per la vita personale e familiare".

Secondo l'ex premier "la prima emergenza per l'Italia è ristrutturare completamente il mercato del lavoro. Siamo indietro rispetto al resto dell’Europa. Mentre negli altri Paesi aumentano i salari minimi, noi continuiamo a respingere anche la soglia minima che segna la dignità del lavoro. Mentre negli altri Paesi sperimentano la riduzione del tempo di lavoro anche al fine di aumentare la produttività, noi copriamo gli occhi su una realtà fatta di turni di lavoro spesso più lunghi e massacranti di quanto segnato nelle buste paga. Mentre all’estero è una continua competizione per creare ambienti di lavoro motivanti e prospettive occupazioni stabili, noi facciamo la guerra al “decreto dignità” e incentiviamo il precariato selvaggio".
 

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