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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'intervista

L'industria italiana dell'auto sta morendo in silenzio

L'automotive in Italia vive una profonda crisi proprio mentre dovrebbe entrare nel vivo il processo di transizione ecologia. La proposta dei sindacati a Today.it: "Sfruttiamo Termini Imerese per produrre conduttori"

L'industria dell'automotive è uno dei fiori all'occhiello italiani e, oltre a rappresentare una grossa fetta del nostro Pil, è un settore che dà lavoro, tra diretti e indotto, a circa un milione di persone. Eppure, nonostante la sua importanza strategica, il comparto auto sta vivendo un momento di profonda crisi, un processo deficitario già in atto da anni, reso più rapido e impattante dall'avvento della pandemia.

I problemi del settore automotive

Ma la situazione in cui ci troviamo oggi è "figlia" di quanto fatto (e soprattutto non fatto) negli ultimi anni, come ha spiegato a Today.it Simone Marinelli, Coordinatore nazionale automotive della Fiom-Cgil: ''Adesso ci troviamo di fronte a due problematiche. Una strutturale, data dall'assenza di piani industriali e di visione futura, oltre che dal ritardo negli investimenti, l'altra legata alla cosiddetta crisi dei semiconduttori, che dimostra chiaramente come l'aver allungato le catene di fornitura, portandole sempre più distanti da componentistica e assemblaggio, non sia stata una scelta premiante''.

Una fotografia già complessa, in cui vanno ad inserirsi chiusure di diversi stabilimenti legati al settore dell'automobile, come Gkn, Timken e Gianetti Ruote. Crisi che aggravano un contesto già critico, ma che non nascono dai problemi del settore: ''Si tratta di aziende che non erano assolutamente in crisi - ha sottolineato Marinelli - anzi avevano e hanno tutt'ora delle commesse: avrebbero potuto continuare a produrre negli stabilimenti che hanno deciso di chiudere. Non è stata una scelta dettata dalla crisi, tra chi ha chiuso e chi ha delocalizzato all'estero, si è trattata di una scelta finanziaria''.

La crisi dei conduttori e dei semiconduttori

La questione che invece ''pesa'', e non poco, in tutta la crisi, è quella legata alla produzione dei conduttori e semiconduttori: ''Il problema nasce da due elementi - ha aggiunto Marinelli -. Il primo è legato all'avanzamento tecnologico che prevede un uso sempre maggiore di componenti elettronici all'interno delle automobili. Rispetto ad un veicolo di 10 anni fa la presenza di questa componentistica è aumentata e continuerà a farlo con l'avanzare del progresso, con la domanda che quindi continuerà ad aumentare. Inoltre, quando è scoppiata la pandemia, molte fabbriche si sono fermate e  produttori di conduttori e semiconduttori, che si trovano per lo più nel Sud-Est asiatico, hanno spostato la domanda su altri settori. Adesso, per recuperare il bilanciamento con tutti i comparti sarà necessario aspettare qualche mese. Il secondo elemento sono i mancati investimenti: prevedendo l'avanzamento tecnologico, sarebbe stato utile investire, sia in Italia che in Europa, nella produzione interna di questi componenti che saranno sempre più richiesti''.

A tal proposito, i sindacati hanno presentato una possibile soluzione al Mise: ''Termini Imerese è uno stabilimento chiuso per cui cerchiamo una soluzione da 10 anni. Visto che la domanda andrà aumentando, potremmo investire in una fabbrica italiana, mettendo anche fine ad una vertenza che dura da anni, dando una prospettiva sia ai giovani che a chi lavorava lì''. 

Un fondo in aiuto dell'automotive

Ma cosa sta facendo il Governo per aiutare questo settore? La scorsa settimana il viceministro all'Economia Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato l'istituzione di un fondo per la riconversione dell'industria automotive, dal valore di circa 300-400 milioni di euro l'anno per dieci anni: ''È uno dei temi sul tavolo nazionale per accompagnare dieci anni di trasformazione. Siamo di fronte alla fine di un prodotto che riguarda una massa di imprese. Non possiamo usare la cassa integrazione ordinaria o straordinaria, bisogna accompagnare i lavoratori a professionalizzarsi e a fare la trasmigrazione, aiutare le imprese che vogliono cambiare mestiere a farlo''.

Basterà questo fondo? Lo abbiamo chiesto a Ferdinando Uliano, Segretario nazionale della Fim Cisl: ''La proposta del viceministro penso sia necessaria per accompagnare questo processo di transizione. Era importante fare un passo in questa direzione, ma le risorse da mettere in campo sono ben altre. Paghiamo ritardi di politica industriale e un Pnrr in cui il settore dell'automobile non viene menzionato nonostante l'emergenza economica e sociale che sta vivendo il settore dell'automotive''.

Anche secondo Marinelli della Fiom-Cgil il fondo è un buon inizio, ma non basta: ''Il Governo deve stanziare risorse pubbliche e private per investire in ricerca e sviluppo, ma bisogna porre il tema di come salvare l'industria e anche l'occupazione in Italia. Con gli annunci ci facciamo poco, c'è bisogno di investimenti ma anche che la transizione non abbia impatti ambientali e sociali: serve un piano per guidare i lavoratori abituati ad un industria tradizionale nei nuovi processi, evitando tensioni sociali e contribuendo anche all'inclusione dei giovani''.

Una transizione che parte in ritardo

In effetti, come spiegato da Uliano della Fim Cisl, la transizione che il settore deve affrontare è molto complessa che, se non venisse affrontata con gli strumenti giusti, potrebbe avere effetti nefasti: ''Era da anni che chiedevamo un fondo specifico per l'automotive che affrontasse il tema della transizione di tutto il processo collegato all'auto, con il cambio dei motori, la digitalizzazione, la connettività e una rivoluzione nei processi che sta ridisegnando un settore nel giro di pochi anni. Tra circa 14 anni non si potranno più produrre auto con motori endotermici, ma non possiamo aspettare il 2035 per metterci al passo con i cambiamenti. Servono inoltre le risorse per formazione del personale e gli ammortizzatori sociali necessari per affrontare la transizione evitando casi drammatici di chiusure e licenziamenti che potrebbero materializzarsi con il cambio di motorizzazione. Altri Paesi come Francia e Germania hanno già messo in atto i loro piani di transizione, creando un sistema che prevede dei finanziamenti per le aziende che si impegnano a rispettare l'ambiente e a mantenere i livelli occupazionali''. 

''Il tema da affrontare con il Governo – conclude Uliano – è ripensare a quale sarà l'auto del futuro e quale sarà la mobilità del futuro, così da ridisegnare l'intero settore. Se aspetteremo il 2035 ci saranno aziende che chiuderanno e persone che perderanno il posto di lavoro. Non dobbiamo farci sfuggire questa opportunità, altrimenti rischiamo soltanto la desertificazione industriale e l'impoverimento del Paese''. E direi che non possiamo permettercelo.

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