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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

L'azienda che paga una persona per convincere i dipendenti a restare

Accade in America, e la figura si inserisce nel contesto della 'Great Resignation' post pandemia

Nel corso degli ultimi mesi si parla sempre più spesso del fenomeno delle grandi dimissioni. Ma di cosa si tratta? Si sta verificando con maggiore frequenza, soprattutto nelle grandi aziende e nelle multinazionali (ma non solo) che i dipendenti decidano di licenziarsi. Ma cosa spinge i lavoratori a rassegnare le proprie dimissioni in un momento come questo di difficile stabilità economica? Perché una persona dovrebbe decidere di recedere dal proprio contratto di lavoro, nonostante una retribuzione al di sopra della media? Nel corso dei prossimi paragrafi andremo ad analizzare il fenomeno delle grandi dimissioni, quale sia il target di lavoratori coinvolti e come stanno reagendo le aziende per ovviare al problema. 

Il caso della Mc Entire Produce

Negli Stati Uniti la McEntire Produce, un’azienda che opera da diverso tempo nel settore alimentare e che ha alle sue dipendenze 600 lavoratori per un fatturato annuo di oltre 170 milioni di dollari, ha deciso di ovviare al problema delle grandi dimissioni assumendo una nuova figura professionale. Si tratta di un manager che ha come ruolo principale quello di convincere lo staff a rimanere alle dipendenze dell’azienda. La società in questione aveva già adottato diversi mesi fa, come stratagemma, l’aumento dello stipendio dei propri dipendenti. Tuttavia, questa strategia non è stata sufficiente. È così che ha deciso di inventarsi questa nuova figura, le cui mansioni principali sono quelle di dare supporto ai lavoratori e ascoltarli nel caso si verificassero problemi di vario genere. L’obiettivo principale è quello di riuscire a creare all’interno dell’azienda un ambiente di lavoro che sia quanto più possibile confortevole. E, di conseguenza, limitare il più possibile eventuali turn-over di massa. Si tratta di un esperimento che, per il momento, aiuta a contenere il problema. Almeno in parte. Ma non è detto che il fenomeno dei licenziamenti di massa possa presentarsi ugualmente in un immediato futuro.

La situazione negli Stati Uniti

In seguito alla pandemia, negli Stati Uniti si è verificato a partire dal 2021 uno stravolgimento nel mondo del lavoro. E’ da diversi mesi, infatti, che le aziende registrano un elevato numero di dimissioni da parte dei propri dipendenti. E non sempre questi ultimi hanno già tra le mani un nuovo lavoro. Per cercare di dare una spiegazione al fenomeno delle grandi dimensioni, sono intervenuti diversi analisti e imprenditori che si sono interessati alla causa. Ma, al momento, nessuno sembra essere ancora riuscito a identificare l’origine del problema. Secondo una ricerca fornita da McKinsey, tra il mese di aprile e quello di settembre 2021, i dipendenti americani che hanno rassegnato le proprie dimissioni sono stati ben 19 milioni. Solo nel novembre del 2021, sono stati registrati ben 4,5 milioni di licenziamenti. Nonostante in America sia presente un mercato del lavoro molto dinamico, la situazione sembra essere andata fuori controllo. Nell’arco degli ultimi mesi sono state moltissime le aziende che, per ovviare al problema, hanno provveduto ad aumentare i salari. Eppure, la situazione rimane piuttosto critica. Basti pensare che, ad oggi, ogni 10 posizioni aperte corrispondono solo sette lavoratori disponibili.

Le soluzioni delle aziende

Per cercare di arginare il problema, le aziende stanno ricorrendo a diverse soluzioni. Una tra queste è sicuramente l’aumento di stipendio. E’, ad esempio, il caso di Walmart, la famosa catena di negozi, che a settembre 2021 ha aumentato la retribuzione minima dei propri dipendenti a 12 $ all’ora, quando invece il minimo retributivo federale è previsto per 7,25 $. Amazon, invece, ha deciso di assegnare un premio di 3000 $ ai propri dipendenti prima di Natale. Un altro sistema che viene adottato dalle multinazionali sempre più spesso, riguarda l’allentamento dei requisiti necessari per l’assunzione. Moltissimi annunci di lavoro, infatti, dichiarano espressamente di cercare personale anche senza precedenti esperienze. Altre aziende, invece, hanno invece deciso di limitare il fenomeno delle grandi dimissioni investendo una quantità considerevole di denaro ed energia nella formazione e l'upgrade del proprio staff. E’, ad esempio, il caso di Google che ha organizzato un corso online di analisi dei dati, annunciando che chi lo porterà a termine verrà considerato alla stessa stregua di chi ha terminato la laurea quadriennale.

I vantaggi

Una recente indagine condotta dall’Oliver Wyman forum, avrebbe dimostrato che questi tentativi di migliorare l’ambiente lavorativo portano vantaggi a tutti. Alle aziende in primis, poiché riescono a tenersi stretti i dipendenti e ad evitare turn-over di massa.

Ma anche i dipendenti meno qualificati sembrano giovare di tale situazione. Sono molti (tra il 6,5% e il 8,4%) coloro che prima lavoravano nell’edilizia e nelle industrie estrattive e che nel corso dell’ultimo anno sono riusciti a trovare un lavoro impiegatizio. Ma quali sono le motivazioni che li hanno spinti a cercare di cambiare la propria figura professionale? Sicuramente in questo caso non è la busta paga a fare la differenza. Bensì l’opportunità di svolgere il proprio impiego da casa, nonché l’opportunità di utilizzare i congedi retribuiti per malattia.

La fascia di età più coinvolta

Quando si parla del fenomeno delle grandi dimissioni, bisogna innanzitutto cercare di inquadrare la fascia di età dei dipendenti che decidono di licenziarsi dal proprio posto di lavoro, senza aver necessariamente tra le mani un nuovo impiego.

L’Harvard Business Review ha di recente pubblicato l’indagine dal nome “Who is driving the great resignation?” dalla quale sarebbero emersi i comportamenti di più di 9 milioni di persone, assunte come impiegati e appartenenti a una fascia di età compresa fra i 30 e 45 anni. Tra di essi, è stato registrato un incremento del 20% tra il 2020 e 2021 di persone che hanno rassegnato le proprie dimissioni.

Ian Cook, l’autore della ricerca, ha dichiarato che questo cambiamento si può verificare principalmente perché le risorse appartenenti a questa fascia di età riescono con maggiore facilità a trovare un nuovo impiego. A tal proposito, non bisogna dimenticare che un’azienda è più orientata ad assumere persone già formate, piuttosto che quelle ad una prima esperienza. In quest’ultimo caso, infatti, viene richiesta un’enorme quantità di tempo ed energie per la formazione del personale.

Gli effetti della pandemia

Un altro motivo che può spingere un lavoratore a rassegnare le proprie dimissioni, sempre secondo Ian Cook, potrebbe essere determinato dalla situazione attuale. E, di conseguenza, rivelarsi con il tempo una condizione temporanea destinata a migliorare con il trascorrere del tempo.

Negli Stati Uniti durante il periodo del lockdown le dimissioni si sono bloccate. Non appena, però, la situazione pandemica è migliorata, i licenziamenti sono arrivati a pioggia. Come se i lavoratori si fossero liberati da un peso che li premeva da troppo tempo. Questi turn-over di massa, tuttavia, sembrano riguardare perlopiù quei settori che, durante le restrizioni da emergenza sanitaria mondiale, hanno incrementato notevolmente la propria quantità di lavoro. A tal proposito, ci riferiamo ad esempio al settore della sanità e del tech. Sovraccarico di lavoro, stress e difficoltà a staccare la spina dalle mansioni lavorative, sono state nella maggior parte dei casi le motivazioni che hanno spinto le persone a licenziarsi.

Non è una questione di soldi

Una delle problematiche che riguardano il fenomeno delle grandi dimissioni è dato dalla difficoltà di contenere il numero dei licenziamenti. Molti datori di lavoro, infatti, sono convinti che un dipendente possa decidere di licenziarsi solo per una questione remunerativa. Uno stipendio troppo basso, quindi, viene considerato come l’unica ragione.

Eppure, nella maggior parte dei casi le motivazioni che spingono un lavoratore a prendere una decisione di questo tipo non sono di certo quelle economiche. Anzi. Nella maggior parte dei casi, infatti, le risorse ammettono di sentirsi frustrate. E questo disagio parte dall’atteggiamento che l’azienda ha nei loro confronti. Non sentirsi apprezzati e non veder riconosciuto il proprio valore, è sicuramente stressante e scoraggiante. E, di certo, uno sterile aumento di stipendio non aiuta sicuramente a far cambiare opinione ai lavoratori.

Onboarding e piano di carriera

In qualità di esperto Temporary HR Manager (Website: davidemaggiohr.it) ci sono altre due soluzioni che sono state intraprese dalle aziende al fine di limitare quanto più possibile il fenomeno delle grandi dimissioni, e queste riguardano l’onboarding e il piano di carriera. Ma di cosa stiamo parlando nello specifico e come questi due elementi possono fare la differenza sia nel breve che nel lungo termine?

Quando si parla di onboarding ci si riferisce all’ultima fase del processo di selezione dei candidati. In questo stadio il neoassunto dovrebbe essere formato in modo tale da acquisire le skills e le competenze necessarie per iniziare a sentirsi parte integrante dell’azienda. Sia in termini di organizzazione, che a livello personale. Solo nel caso in cui si riescono ad ottenere tutti questi elementi, si può dire che il lavoratore è stato correttamente inserito nel team.

Ma perché questa fase è così importante? Far sentire il lavoratore come parte integrante ed attiva di una società, gli permette di migliorare costantemente le proprie performance nel tempo. Ma diminuiscono anche le possibilità che si senta frustrato, insoddisfatto e non considerato come persona.

Il piano di carriera, invece, è una sorta di tabella di marcia che dovrebbe essere redatta dall’azienda insieme al dipendente neoassunto. Grazie a questo programma, infatti, il professionista sa perfettamente quali sono i progetti che la società ha nei suoi confronti. Ma avrà anche le idee chiare su quale sia il suo percorso professionale. Se al momento dell’assunzione il recruiter si occupasse di redigere tale prospetto insieme al candidato, entrambi sarebbero consapevoli dei progetti futuri dell’azienda e dove quest’ultima vedrebbe il lavoratore. Firmare un contratto di assunzione con un’azienda che crede nelle tue capacità e asseconda le tue ambizioni è decisamente gratificante. E, di conseguenza, diminuirebbero in modo esponenziale le possibilità di dimissioni nell’arco del lungo periodo.

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