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Giovedì, 7 Dicembre 2023
Economia

Bekaert delocalizza, 400 famiglie attendono ancora il decreto 'promesso'

I dipendenti dello stabilimento di Figline Valdarno hanno manifestato davanti al Mise durante l'incontro tra azienda, sindacati e governo. Bekaert apre alla cassa integrazione, ma non prima che il decreto legge venga attuato. Intanto il 4 ottobre, data da cui decorrono i licenziamenti, si fa sempre più vicino

Resta appesa ad un filo la situazione dei lavoratori Bekaert. Dall'incontro avvenuto al ministero dello Sviluppo Economico tra azienda, sindacati e governo non è arrivata la tanto attesa fumata bianca per gli oltre 400 dipendenti, tra operai e indotto, che lo scorso 22 giugno si sono visti recapitare una terribile quanto inaspettata lettera di licenziamento. Il motivo? L'azienda ha deciso di chiudere i battenti dello stabilimento di Figline Valdarno, nel fiorentino, per spostare tutta la produzione in Romania e Slovacchia. Da quel giorno è iniziata una battaglia per queste centinaia di famiglie, che hanno visto la loro stabilità e il loro futuro svanire nel nulla all'improvviso.

Le richieste dei sindacati sono state chiare da subito: nessun licenziamento in tronco, ma una cassa integrazione e un piano di reindustrializzazione che permetta ai dipendenti di continuare a lavorare. Una richiesta accompagnata anche dal governo, che nel 'Decreto Emergenze' ha inserito una norma che rende obbligatoria al cig per cessata attività e che, in caso di approvazione definitiva, obbligherebbe la Bekaert a percorrere questa strada. Un'ipotesi che però al momento rimane vincolata all'attuazione di tale decreto: l'azienda ha infatti aperto a questa possibilità, ma soltanto dopo la pubblicazione della norma sulla Gazzetta Ufficiale.

Bekaert, sit-in dei lavoratori davanti al Mise

La battaglia dei lavoratori Bekaert tra affetto e voglia di lavorare

Mentre nelle stanze del Mise avvenivano i colloqui volti a decidere il destino degli operai Beakert, siamo andati a parlare con i lavoratori toscani, giunti a Roma per manifestare e seguire da vicino la vertenza che li riguarda. Una vertenza che ha messo tutti nella stessa pessima barca, ma che ha anche provocato un'ondata di affetto inaspettata, come ci ha raccontato Lorenzo, uno dei dipendenti Bekaert: “La situazione è stata surreale fin dal primo mento. Tornado a lavorare dopo tre giorni di assemblea abbiamo in un certo senso 'fregato' l'azienda, convinta che noi occupassimo. Invece, tornando a lavorare 'da licenziati', l'abbiamo costretta a continuare la produzione e quindi a pagarci”.

“Nel mese di agosto poi c'è stato il presidio di due settimane – continua Lorenzo – che ci ha dato tanta visibilità. Sono venuti vescovi, politici e anche diversi cantanti (tra cui Sting). Abbiamo fatto tutto con tranquillità e la comunità ha risposto in maniera incredibile. La popolazione si è stretta intorno a noi, così abbiamo organizzato cene e concerti. Le manifestazioni d'affetto sono state moltissimo”.

Ma cosa vogliono i lavoratori della Bekaert? Il sentimento diffuso è uno solo: “Noi non vogliamo stare a carico dello stato, vogliamo il tempo di trovare un'azienda seria che ci dia un futuro, non soltanto a noi, che un giorno andremo in pensione, ma  anche ai giovani”.

Cos'è la Cassa integrazione per cessazione

Nonostante tra le fila dei manifestanti ci sia affetto, unione e 'gioco di squadra', la notizia del licenziamento non è stata certo una pillola dolce da mandare giù, con molteplici conseguenze su queste 318 famiglie (più altre 100 di indotto) che da un giorno all'altro si sono trovate a fare i conti con un 'mostro' che non immaginavano di dover affrontare. Un sentimento spiegato a pieno da Daniele, un altro dipendente a rischio della Bekaert: “All'inizio l'abbiamo presa male, una notizia drammatica. Poi, piano piano, abbiamo iniziato a muoverci e a lottare, così abbiamo preso forza. Con il mio stipendio – continua – riesco a vivere con mia moglie e i nostri due figli, ma dopo la lettera di licenziamento abbiamo dovuto razionalizzare le spese, facendo dei tagli alle nostre necessità, senza 'toccare' quelle dei piccoli. Anche durante le vacanze, che già avevamo organizzato, abbiamo dovuto fare diverse rinunce. Adesso questo problema non l'abbiamo sentito molto, ma i prossimi mesi saranno più difficili. Noi non vogliamo la cig o il reddito di cittadinanza, vogliamo soltanto lavorare”.

Già lavorare. Perché questi operai non chiedono la cassa integrazione per poter stare in panciolle sulle spalle dello Stato, ma soltanto perché è l'unica via per non finire in mezzo ad una strada senza stipendio, con la speranza di una reindustrializzazione che possa dare nuovamente lavoro a tutti.

L'incontro al Mise

Un obiettivo chiaro e deciso: lavorare per vivere una vita dignitosa. Una richiesta più che legittima, per ogni lavoratore di qualsiasi settore. Ma allora cosa è successo nelle stanze del Mise? A spiegarlo a Today al termine dell'incontro è stata Francesca Re David,  della segreteria nazionale Fiom: “Il governo ha riaffermato che stanno discutendo il decreto che reintroduce la cig per cessata attività. Questo si deve alla lotta dei lavoratori della Bekaert, ed è un successo per tutti i lavoratori che stanno in questa condizione. Noi consideriamo la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale l'elemento preliminare per qualsiasi altra discussione e questo deve avvenire entro il 3 ottobre, che è la data di scadenza della procedura perché è il primo passo fondamentale. C'è un impegno del governo e un impegno dell'azienda per la reindustrializzazione e gli incentivi per le uscite volontarie, ma soltanto dopo l'approvazione della norma”. 

Ma allora cosa succederà? Se la norma venisse attuata la cassa integrazione per cessata attività diventerebbe obbligatoria, con la possibilità di farla partire non dopo il 4 ottobre, ma da gennaio 2019. Un'ipotesi paventata anche da Daniele Calosi della Fiom Firenze: “Per avere la certezza dobbiamo aspettare la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, anche perché senza decreto cambia tutta la trattativa. L'azienda ha detto che vuol produrre fino alla fine dell'anno, quindi l'ipotesi di una cig a gennaio è percorribile, purché non ci siano i licenziamenti”. Il tavolo verrà aggiornato entro il 2 ottobre, ma senza l'attuazione del decreto legge sulla cig, il 4 ottobre i dipendenti della Bekaert verranno tutti licenziati. Un motivo piuttosto grosso per fare in fretta, visto che sul tavolo sarebbero state presentate anche diverse manifestazioni di interesse da parte di altre aziende. Il tempo stringe, ma la battaglia continua.

Il presidente della Toscana Rossi: "Il decreto ancora non c'è"


Il presidente della Toscana Rossi: "Il decreto ancora non c'è"

Un passo in avanti c'è stato, ma il testo promesso dal governo, quello che permetterebbe di reintrodurre la cassa integrazione per cessazione, ancora manca. E rimane la spada di Damocle del 3 ottobre. Riunione interlocutoria dunque stamani a Roma al Ministero dello sviluppo economico sulla Bekaert di Figline e Incisa Valdarno (Firenze), dove da luglio tutti e 318 i lavoratori dello stabilimento che produce filo d'acciaio per pneumatici rischiano di essere licenziati dopo che la multinazionale belga, proprietaria dalla fabbrica e lì solo da un paio di anni (ma lo stabilimento ha una storia lunga sessanta anni), ha deciso improvvisamente di chiudere e delocalizzare le produzioni.

"C'è un'ipotesi di lavoro, da concretizzare ma percorribile - spiega il presidente della Toscana Enrico Rossi, che ha partecipato all'incontro oggi tra sindacati e azienda - Aspettiamo però ancora il decreto, che chiaramente è una questione dirimente perché permetterebbe di garantire la cassa integrazione ai dipendenti. Il ministero ha ribadito l'impegno ad approvarlo velocemente, ma ancora non c'è". E il decreto dovrà arrivare prima del 3 ottobre, termine entro cui potrebbero scattare i licenziamenti e su cui l'azienda non è disponibile a nessuna ulteriore proroga se non interverrà prima un accordo.

Gli scenari su cui si lavora sono due: reindustrializzazione e ricollocazione, magari tutti e due insieme. Si cercano e già ci sono stati contatti preliminari con alcuni possibili compratori. Ci sono incentivi che l'azienda è disponibile a mettere in campo per l'esodo o verso chi comprerà o sarà disposto a riassumere. C'è un'apertura dell'azienda, che era stata richiesta dalla Regione e dalle altre istituzioni, a valutare adesso la vendita anche a possibili concorrenti, sia pur solo nel campo del filo tubi. Un passo sicuramente in avanti. Si sta considerando anche la possibilità di dividere il sito in più insediamenti. Ma il decreto per l'appunto che sta in cima a tutto e che dovrà stabilire le modalità di accesso dei lavoratori alla cassa integrazione per cessazione - non più prevista dalle norme oggi in vigore - ancora non c'è e non è stato pubblicato, nonostante che esponenti dell'ufficio di gabinetto del ministro allo sviluppo economico, al tavolo anche loro stamani, ribadiscano che ci sarà.

"Da parte della Regione ci sono porte aperte ad ogni tentativo di reindustrializzazione in sito - sottolinea il presidente della Toscana Enrico Rossi - Siamo pronti a mettere in campo tutti gli strumenti e le risorse a disposizione. Siamo favorevoli anche alla ripartizione dello stabilimento in più aree produttive. Non ugualmente favorevoli ci trova una mera politica di ricollocamento".

Sulla stessa lunghezza d'onda del presidente toscano è la sindaca di Figline Incisa Valdarno, Giulia Mugnai. C'era anche lei oggi a Roma e c'erano, assieme ai sindacati, anche tanti lavoratori, giù in strada con le loro magliette amaranto e quel numero, 318 (ovvero i lavoratori a rischio di licenziamento), stampato ben in evidenza sul davanti. Erano lì prima ancora dell'inizio della riunione, a rivendicare una soluzione e la concessione della cassa integrazione da settimane promessa. Sono rimasti fuori del portone d'ingresso del ministero per tutta la durata dell'incontro, un paio di ore.

Il riverbero dei megafoni arrivava fino al quinto pianto di via Molise, dove era in corso la riunione. E si sono trattenuti anche dopo, per capire dai rappresentanti sindacali quali e se c'erano stati passi in avanti, in una storia di delocalizzazione simile a molte altre ma anche diversa, "per il modo in cui si è deciso di operarla - chiosa il presidente Rossi - senza alcun rispetto per gli operai, la storia della fabbrica e il paese che la ospita".

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