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Giovedì, 28 Marzo 2024
Economia

Capire il Mes, domande e risposte sulla riforma del Fondo salva Stati

La firma sul nuovo Mes arriverà entro i primi mesi del 2020. Se ne discute in Europa e in Italia, e non mancano le polemiche (spesso strumentali). Che cos'è? Perché se ne parla? La nostra guida per provare a capirci qualcosa

A Bruxelles se ne discute da due anni, ma in Italia la riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva-Stati che dir si voglia, è diventata centrale nel dibattito politico solo in queste settimane, sotto la spinta delle accuse di “tradimento alla patria” da parte dei leader di Lega e Fratelli d’Italia, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Anche una parte del Movimento 5 stelle si dice contraria alla bozza di riforma attualmente sul tavolo dei negoziati europei. Eppure, di questo testo si sono occupati almeno tre governi, compresi quello targato Pd di Paolo Gentiloni e il Conte I con Lega e M5s.

Proprio l’esecutivo gialloverde, nel giugno del 2019, aveva dato il suo ok all’intesa politica sulla bozza oggi contestata. Ma di cosa stiamo parlando di preciso? Perché una parte della politica, ma anche del mondo bancario italiano, teme che la riforma possa mettere a rischio il nostro Paese? Vediamo punto per punto la riforma.

Il Mes, cos’è

Prima di affrontare i punti chiave della bozza in discussione, occorre fare una precisazione: il Mes esiste dal 2012 e “serve per fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’Eurozona che si trovano in gravi difficoltà finanziarie o ne sono minacciati", si legge in un documento della Camera. In altre parole, il fondo serve a fornire delle risorse agli Stati membri che utilizzano l’Euro e che versano in una situazione di grave difficoltà, come accadde negli anni della crisi economica. Ed è stato già utilizzato da Paesi come Grecia, Portogallo e Spagna.

Di chi sono le risorse del fondo? Il Mes è partecipato dai Paesi dell'Eurozona e dalla Commissione europea, che ha una piccola quota. A governare il Mes è un board, composto dai vari azionisti, ciascuno con un peso diverso a seconda dei contributi versati: l'Italia è il terzo contributore dopo Germania e Francia, e quindi è il terzo azionista con più potere all’interno del Mes.

Perché la riforma del Mes?

Il Mes ha funzionato finora? Sì e no: il fondo, per quanto abbia aiutato alcuni Paesi a uscire dalla crisi, è stato soggetto a diverse critiche. Per alcuni manca di trasparenza, nel senso che l’Esm (in inglese, European Stability Mechanism) è stato creato come accordo intergovernativo al di fuori dei Trattati Ue, dunque senza un controllo diretto da parte delle istituzioni europee, e darebbe troppo potere in mano ai tre azionisti di maggioranza: Germania, Francia e Italia. Per altri, il fondo ha troppe poche risorse per aiutare davvero i Paesi a rischio. Per altri ancora, soprattutto i ‘rigoristi’ tedeschi e olandesi, il fondo rischia di sperperare il denaro dei contribuenti dandolo a governi che poi, nei fatti, non si impegnano davvero a migliorare la stabilità dei loro conti (come l’Italia, secondo questo filone di critiche).

Per dare una risposta a queste critiche, nel dicembre 2017, sotto la spinta della Commissione europea, si è deciso di riformare il Mes. L’Italia e altri Paesi hanno chiesto fin da subito che la riforma fosse inserita all’interno di un “pacchetto” di nuove leggi volte a ridisegnare non solo il Fondo salva-Stati, ma l'architettura complessiva dell'Eurozona, tra cui il backstop sul fondo di risoluzione delle banche e un bilancio comune dell'Eurozona.

"Tuttavia – si legge sempre nel documento della Camera - allo stato attuale, la proposta (...) i cui tratti salienti sono stati decisi nell'Eurogruppo del 13 giugno 2019 e poi confermati nel successivo Vertice euro del 21 giugno, prevederebbe, almeno in questa fase, solamente una revisione del Trattato istitutivo del Mes". Manca il “pacchetto” e questo è uno dei motivi di critica da parte dell’Italia. Quando parliamo di riforma del Mes, dunque, parliamo anche di altre due iniziative legislative europee, che sono tra loro legate. Ecco come.

Le preoccupazioni italiane

Partiamo dalla riforma del Mes. Come dicevamo, il fondo serve a concedere prestiti agli Stati in difficoltà. Lo fa attraverso due linee di credito: le Precautionary Conditioned Credit Lines (Pccl) e le Enhanced Conditions Credit Line (Eccl).

La Pccl, spiega Tommaso Gallavotti dell'AdnKronos, "funziona come una polizza di assicurazione: in pratica, l'assunzione di base è che il fatto stesso che esista sia sufficiente a placare i mercati; in questo modo, non ci dovrebbe essere neanche bisogno di utilizzarla. In poche parole, le Pccl servono a disinnescare le crisi, impedendo che diventino più gravi (come è successo nel caso della Grecia, per tamponare la situazione della quale all'inizio sarebbero bastate poche decine di miliardi, cosa che non è stata fatta per motivi di politica interna di alcuni Paesi dell'Eurozona)”.

La soluzione migliore per uno Stato in difficoltà, dunque, è avere accesso a questa linea di credito, che di fatto sarebbe una sorta di paracadute che aiuterebbe a stabilizzare l’economia senza grosse conseguenze per la stabilità finanziaria interna. Per dirla in altre parole, un Paese con un alto debito pubblico come l’Italia, in condizioni di crisi, vedrebbe il suo spread schizzare alle stelle e sarebbe costretto a misure lacrime e sangue per bloccare le speculazioni dei mercati (come successo con la crisi che ha portato alla nascita del governo Monti).

L’Italia rischia di ristrutturare il debito?

Ecco perché è più conveniente restare sulla prima linea di credito, la Pccl. Per accedervi, lo Stato che chiede assistenza deve rispettare una serie di prerequisiti. La riforma modifica proprio questo aspetto introducendo una serie di paletti che secondo i critici della riforma, spingerebbe inevitabilmente l’Italia verso la seconda linea di credito, l'Eccl. In queso caso, l'Italia si troverebbe costretta a siglare un memorandum d'intesa con i creditori e a compiere una serie di riforme sotto stretta vigilanza del board del Mes e della Commissione europea, cosa non prevista dal Pccl. E soprattutto, anche se la riforma non lo dice esplicitamente, sarebbe costretta a ristrutturare il suo debito. Con danni sia per le banche italiane (che detengono circa 400 miliardi dei 2.350 miliardi di debito pubblico italiano), sia i piccoli risparmiatori.

Chi difende la riforma dice che questa eventualità è più che remota. L’Italia, infatti, se da un lato ha un grande debito pubblico, dall’altro ha fondamentali economici più che solidi. Inoltre, le decisioni sul Mes, per diventare esecutive, vanno prese dalla maggioranza dell’85% degli azionisti del board. E il nostro Paese, con il suo 17% di quote, è oggi capace di bloccare da solo qualsiasi decisione. Semmai, sostengono a Bruxelles, le remore dell’Italia riguardano la lentezza con cui si sta procedendo alle altre due riforme del famoso “pacchetto”: il backstop sul fondo di risoluzione delle banche e un bilancio comune dell'Eurozona.

La logica del "pacchetto"

Il backstop riguarda la riforma dell’Unione bancaria, ossia il progetto Ue volto a integrare maggiormente le banche dei vari Paesi creando degli ulteriori meccanismi comuni di protezione e di salvataggio degli istituti in crisi, e verrebbe in qualche modo ‘agganciato’ al Mes. Anche in questo caso, le distanze interne all’Ue sono tra chi, come Germania e Olanda, non vuole rischiare di sperperare risorse (pubbliche o quelle private delle loro banche) e chi, come l’Italia, chiede invece che vi sia più condivisione sui rischi, ricordando che una crisi nel nostro Paese può avere effetti pesanti (di contagio) anche sul resto dell’Eurozona e dell’Ue.

Il backstop per i salvataggi delle banche

Il backstop servirebbe proprio a questo: le banche europee creano un fondo comune, una sorta di paracadute, per agire con risorse proprie quando un istituto di un Paese X è in crisi. Senza dunque dover costringere il Paese X a utilizzare risorse pubbliche per il salvataggio. Nel dicembre 2018, l’Eurogruppo ha trovato l’accordo finale sul backstop, che così come è stato concordato incamera una parte delle richieste dell’Italia. Salvini all’epoca era vicepremier. Oggi, il leader della Lega sostiene che Mes e backstop servono ad aiutare le banche tedesche e francesi. Ma i suoi alleati in Europa, i tedeschi dell’Afd, sostengono l’esatto contrario.

A prescindere da chi abbia ragione, c’è un dato di fondo: il paracadute scatterà nel 2024. Per attuarlo prima, c’è una clausola: occorrerà valutare entro il 2020 i progressi fatti sotto il profilo della “riduzione dei rischi” delle banche europee. Questi rischi hanno un nome: crediti deteriorati, ossia i prestiti che le banche hanno elargito in passato e che non riescono più a recuperare. Gli istituti italiani sono i ‘campioni d’Europa’ in quanto a crediti deteriorati accumulati. Ed eliminarli non è facile. Ecco perché la clausola non piace alle banche italiane. L’allora governo gialloverde lo sapeva, ma accettò suo malgrado l’accordo.

Il bilancio comune dell’Eurozona

Anche perché in ballo c’era una terza riforma importante: il bilancio comune dell'Eurozona. Si tratterebbe di un fondo a parte rispetto al bilancio dell’Ue, per stimolare gli investimenti negli Stati membri che fanno fatica a spendere, viste le ristrettezze di cassa e gli alti debiti pubblici (l'Italia, insomma), grazie ai contributi dei Paesi che hanno invece larghi margini di manovra, come Germania e Olanda. Le trattative su questa riforma sono andate avanti. E di recente sia la Commissione europea, sia la Bce con Mario Draghi e la neo presidente Christine Lagarde, hanno lanciato messaggi chiari a Berlino e Amsterdam affinché allentassero le loro resistenze. Un accordo, alla fine, è stato trovato: ma la montagna ha partorito un topolino. La Francia chiedeva che il fondo avesse una dotazione di 100 miliardi. La cifra concordata nel giugno scorso, in contemporanea con l’accordo sul Mes, non supera i 17 miliardi. Inoltre, per accedere al bilancio comune dell’Eurozona ci sono una serie di paletti, tra cui il rispetto del Patto di stabilità e delle raccomandazioni Ue sulle riforme strutturali, che la Lega, ma non solo, vede come un ulteriore cappio al collo. Eppure, all’epoca, il governo di cui faceva parte diede il suo assenso.

Giochi chiusi?

A prescindere dalle responsabilità politiche, resta il fatto che il premier Conte, oggi come allora, aveva chiesto che all'accordo sul Mes seguissero passi avanti sul backstop e sul bilancio comune. Passi che non ci sono stati. Ecco perché adesso il Movimento 5 stelle, anche per la spinta delle polemiche sollevate da Salvini, ha chiesto di bloccare la definitiva approvazione della riforma del Fondo salva-Stati. Mercoledì 4 dicembre Mario Centeno, presidente dell'Eurogruppo (l'organismo che riunisce i ministri delle Finanze dell'Eurozona), ha parzialmente chiuso la porta a questa eventualità: l'accordo sulle linee principali della riforma non si tocca, ma sono possibili delle trattative sugli aspetti tecnici. Cosa significhi nel concreto non è chiaro. Fatto sta che la firma sul nuovo Mes non arriverà entro il 2019, come era stato stabilito in precedenza, ma "entro i primi mesi del 2020", ha ammesso Centeno. I giochi, forse, sono ancora aperti. 

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