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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia Italia

La Consulta cancella i licenziamenti del Jobs Act: "Illegittima l'indennità crescente"

La Consulta ha bocciato la parte del Jobs act che riguarda le indennità per i licenziamenti illegittimi, non migliorata neppure dal recente Decreto Dignità

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 (il cosiddetto Jobs Act) sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte - non modificata dal successivo Decreto legge n.87/2018, cosiddetto Decreto dignità - che determina in modo rigido l'indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato.

Indirettamente quindi risulta incostituzionale anche la norma del Decreto Dignità che ha aumentato gli importi, ma senza variare le modalità di calcolo.

Illeggittimo il criterio di determinazione dell'indennità di licenziamento

In particolare - si legge in un comunicato della Corte - la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.

Tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono state dichiarate inammissibili o infondate.

La questione presso la Corte costituzionale era stata sollevata dal Tribunale del Lavoro di Roma, non tanto per l'eliminazione della reintegra del lavoratore tra le tutele previste dal vecchio 'articolo 18', ma proprio per le problematiche legate al meccanismo di indennizzo. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane. 

Cosa dice l'articolo 3 del Jobs Act

Il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti è stato introdotto nel 2014 dal Governo Renzi con la legge passata alla cronaca come Jobs Act. Ora la Cassazione ne ha boccia l'articolo 3 in cui stabilisce la previsione di una inennità crescente in caso di "Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa".

Il recente decreto Dignità approvato dal Governo Conte ha ritoccato il quantum degli indennizzi ma non il meccanismo di determinazione.

Ecco cosa dice la legge nel punto contestato dagli Ermellini della Suprema Corte.

Nel testo del marzo 2015 determinava che il datore di lavoro dovesse pagare una indennità di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità".

1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilita'.

Consulta boccia jobs act, cosa cambia

In attesa di capire i dettagli della decisione, con la censura posta dalla Consulta al meccanismo di indennizzo legato all'anzianità, potrebbero tornare in vigore le norme Fornero che affidavano ai giudici la valutazione caso per caso. L'ipotesi più plausibile è che ora sarà il Governo Conte a dover intervenire con una nuova legge per derimere le incongruenze legislative.

Cgil: "Ripristinare l'articolo 18"

Dalla Corte costituzionale "è arrivata una decisione importante e positiva, che dichiara illegittimo il criterio di determinazione dell'indennità di licenziamento come previsto dal Jobs act sulle tutele crescenti e non modificato nell'intervento del decreto dignità".

Dopo che la Consulta ha ritenuto illegittimo il "rigido criterio di quantificazione del risarcimento" spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, basato esclusivamente sull'anzianità aziendale, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso - rimarcando come il pronunciamento sia conseguente ad una causa per licenziamento illegittimo promossa dalla sindacato - sottoliena come sia necessario riaprire una discussione più complessiva sulle tutele in caso di licenziamento

"Per la Cgil è fondamentale il ripristino e l'allargamento della tutela dell'articolo 18".

"Un sistema irragionevole e ingiusto - sottolinea Camusso - che calpesta la dignità del lavoro e che permette di quantificare preventivamente il costo che un'azienda deve sostenere per 'liberarsi' di un lavoratore senza avere fondate e reali motivazioni. Vale a dire quello che potremmo definire la rigida monetizzazione di un atto illegittimo".

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