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Giovedì, 28 Marzo 2024
Culle vuote

Facciamo pochi figli: le conseguenze della denatalità sull'economia italiana

La pandemia ha accentuato un fenomeno già da tempo preoccupante: il calo delle nascite. Perché ci sono sempre più culle vuote? Cosa sta facendo il governo per contrastare gli effetti devastanti della denatalità?

La denatalità inizia ad essere un problema grosso per l'economia nazionale, tanto che lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne ha parlato durante il suo giuramento. Il calo delle nascite in Italia si è accentuato con l'inizio della pandemia, andando ad accelerare un trend già da anni in ribasso, dal 2008. Siamo ultimi in tutta Europa per numero di nascite. Di questo passo la popolazione potrebbe arrivare a dimezzarsi entro il 2100. A livello territoriale si registrano dati davvero diversi da città a città, ma come al solito sono il sud e le isole a registrare il minor numero di nascite di bambini, principalmente a causa dello spopolamento. Le cose non vanno meglio nelle grandi città, come Roma, Milano e Bologna mentre Parma, Trieste e Bolzano registrano i tassi di natalità più alti del paese, grazie al contributo dei migranti e ad una fitta ed estesa rete di servizi pubblici. Perché facciamo pochi figli e quali conseguenze ha la denatalità sull'economia italiana? 

Nascite: Italia fanalino di coda in Europa

Per capire bene il fenomeno della denatalità in Italia sarà utile fare prima un confronto con il resto d'Europa. Tutti i paesi dell'area euro stanno avendo a che fare con il calo delle nascite, ma l'Italia è ormai da diversi anni che si posiziona in fondo alla classifica. Analizzando il numero dei nuovi nati rispetto ai residenti del 2020, si osserva che il tasso di natalità nel nostro paese si è attestato a 6,8 bambini ogni mille abitanti contro una media di 8,9 nascite nei 27 paesi dell'area euro. Quasi come noi Spagna e Grecia, con tassi di natalità rispettivamente del 7,1 e del 7,9, mentre tra i paesi più virtuosi ci sono Irlanda e Cipro con oltre 11 nati ogni mille abitanti. Sopra la soglia dei 10 nati ogni mille abitanti Svezia, Francia, Slovacchia e Lussemburgo. La crisi demografica in Europa è iniziata nel 2008 con la crisi economica dei mutui subprime. Da allora il numero delle nascite è iniziato a scendere ovunque, eccezion fatta per Austria e Germania, paesi che sono riusciti a mantenere tassi di natalità in crescita del 2% e del 15% rispettivamente. Il caso della Germania salta subito all'occhio: come si spiega?

Le politiche della Germania per incentivare la natalità

E' semplice, la Germania sta raccogliendo i frutti di una politica orientata alla famiglia. Diversamente da molte altre nazioni europee, Berlino ha saputo reagire prontamente alla crisi economica e demografica del 2008 mettendo insieme una serie di misure per contrastare il fenomeno della denatalità. La Germania, partita da una media di 1,3 figli per donna prima della Grande recessione del 2008, è riuscita negli anni ad incentivare le nascite, fino a superare la media europea. Come ha fatto? Investendo nelle politiche familiari e rafforzando i flussi migratori, nella consapevolezza dei benefici che derivano dall'aumento della popolazione in età riproduttiva. Grazie anche ai lavoratori venuti dall'estero, la Germania ha visto aumentare le culle di oltre 110mila unità dal 2011 al 2019, proprio mentre paesi come l'Italia ne perdevano altrettante. Quando parliamo di politiche per la famiglia ci riferiamo non solo a più servizi, come scuole e asili nido, ma anche a contributi economici che permettono alle donne di accudire i nuovi nati. In Germania esiste il Kindergeld, un assegno familiare che viene erogato indipendentemente dalla situazione economica della famiglia. Si tratta di un assegno mensile da 219 euro a figlio, da 225 euro per il terzo figlio e da 250 dal quarto in poi. Ci sono poi degli integrativi, come l’Elterngeld: sussidio statale con il quale i genitori possono prendersi cura dei loro figli. Si tratta di un contributo offerto nei primi 14 mesi di vita del bambino a quei genitori che non lavorano o che lavorano con orario ridotto. Non è finita qui, per le famiglie a basso reddito c'è anche il Kinderzuschlag, prestazione aggiuntiva al Kindergeld che può arrivare fino a 205 euro a figlio. Per finire c'è il Bildungspaket un aiuto finanziario per le spese scolastiche destinato alle famiglie bisognose. Copre le spese legate ai servizi educativi-culturali dei figli: dalla retta della mensa a quella per le attività sportive.

Quali fattori hanno influito sul calo delle nascite?    

Analizzato il caso della Germania ci appare chiaro come mai in Italia si facciano sempre meno figli, ma la denatalità nel nostro paese non è dovuta solo a questo, ci sono anche fattori demografici ad influire negativamente sulle nuove nascite. I dati diffusi dall'Istat sui nuovi nati sono a dir poco allarmanti: nel 2020 il tasso di natalità è crollato del 28% rispetto all'inizio del millennio, stiamo parlando di circa 125.550 nuovi nati in meno, cifra che salirebbe a 136 mila considerando la stima provvisoria di -12.500 nascite nel 2021. Dopo la crisi economica dei mutui subprime del 2008 la situazione è degenerata con la pandemia. Nel 2020 i nati sono stati 404.892 (-15mila sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica. A gennaio 2021 (dopo i canonici 9 mesi dall'inizio del primo lockdown) si sono registrati quasi 5.000 nati in meno rispetto allo stesso mese dell'anno precedente (-13,6%). Gli italiani hanno paura di fare figli a causa dell'incertezza economica e sanitaria legata al covid. Da aggiungere poi che la pandemia ha bruciato migliaia di posti di lavoro e che senza lavoro non si può costruire una famiglia. Da prendere in considerazione anche un altro importante dato: il tasso di fecondità nazionale, sceso in Italia a 1,27 nel 2019 contro la media Ue di 1,53. Proviamo a spiegare di cosa si tratta. Il forte calo della natalità avvenuto fra il 1976 e il 1995 ha fatto sì che mancassero all’appello negli anni successivi anche le madri potenziali: donne, ad esempio, che nel 2020 avrebbero fra i 25 e i 44 anni, in piena età feconda. A livello statistico, inoltre, c'è da considerare anche il calo del numero dei residenti in Italia, valore utilizzato nel calcolo del tasso di natalità, a fronte dell'aumento del tasso di mortalità causa covid.

natalità Istat-2

Il sud e le grandi città registrano i tassi di natalità più bassi 

Appurato che il calo della natalità è un problema di quasi tutta l'Europa e che in Italia il fenomeno è più accentuato, bisogna dire che sul nostro territorio ci sono zone più o meno colpite rispetto ad altre. La denatalità è sicuramente più forte al sud e nelle isole, con un trend negativo in atto addirittura dal 2002, mentre per il resto del paese si parte dal 2008. Ad incidere negativamente sulle nascite soprattutto lo spopolamento, con un gran numero di giovani che si spostano al nord per lavoro. Questo fenomeno colpisce soprattutto la Sardegna, basti sapere che Oristano nel 2020 ha registrato il tasso di natalità più basso a livello nazionale, con 4,6 nati ogni mille abitanti. Maglia nera per numero di culle vuote anche per Barletta Andria Trani ed Enna, ma anche per alcuni territori del nord come Bergamo, e Biella e per altri del centro come Prato e Massa Carrara. Nascono meno bambini anche nelle grandi città. Solo a Roma nel 2021 si stimano 15 mila nascite in meno rispetto al picco del 2008, con il tasso di natalità passato al 6,4 dal 10,9 (numero di nuovi nati ogni mille abitanti). A Milano, invece, sono 8 mila le culle in meno rispetto al 2008. Stessa identica situazione a Bologna e Palermo mentre Napoli potrebbe addirittura portarsi sotto la media nazionale: le stime per il 2021 sono per 6,7 nuovi nati ogni mille abitanti rispetto agli 8 precedenti. La situazione cambia a Parma, Trieste e Bolzano, territori resilienti alla denatalità. A Bolzano, ad esempio, si registra il tasso di natalità più alto d'Italia (9,7 nati ogni mille abitanti), con una flessione che da inizio secolo non supera il 13%. Qual è il segreto? La domanda più giusta da farsi però è un'altra: come mai in quasi tutta Italia non si fanno figli?

natalità Istat regioni-2

L'Italia ha disinvestito da anni sulle nuove generazioni

Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sostiene che "l’Italia da troppo tempo è uno dei paesi che meno sostiene la scelta di avere figli e che mette poi i genitori nelle condizioni di investire adeguatamente sulla loro crescita e formazione. Siamo infatti un paese con bassa natalità ma anche alto rischio di povertà per le famiglie con figli, che diventa poi anche povertà educativa". La conseguenza di tutto questo è che i giovani, sempre più a lungo dipendenti dai genitori, arrivano tardi a mettere su famiglia. Molti arrivano addirittura a rinunciare ai figli a causa delle difficoltà che incontrano nel proprio percorso lavorativo (sempre più precario) ma anche al pensiero di dover poi conciliare il lavoro con la famiglia. In poche parole "l’Italia è un paese che ha disinvestito quantitativamente e qualitativamente sulle nuove generazioni. Rendendo così pericolosamente fragile e instabile il proprio futuro", sottolinea Rosina. Perché, quali sono gli effetti economici della denatalità? Il fenomeno delle culle vuote provoca forti squilibri demografici, con ripercussioni devastanti sia a livello economico che sociale, perché una parte sempre maggiore della popolazione tende a non produrre e ad assorbire maggiori risorse. Se cala la popolazione che lavora, si riduce il pil nella sua componente consumi e spese dello Stato. Meno persone lavorano, meno tasse vengono pagate all'erario, ciò si traduce in meno risorse per rifinanziare il sistema di welfare e per adottare investimenti qualitativi per le nuove generazioni. Un paese che invecchia è un paese senza risorse e senza forze, un paese che non ha la possibilità di aiutare adeguatamente le fasce più deboli della popolazione, che non ha le risorse finanziare per investire nel futuro dei giovani, in poche parole è un paese senza futuro. 

Italia: Family act ed assegno unico potrebbero invertire il trend

"Superare il declino demografico a cui l'Europa sembra condannata" è uno dei tanti obiettivi che dobbiamo porci, ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del giuramento al Parlamento. L'Italia, compresa l'importanza del tema, sembra aver intrapreso un percorso di rinascita in tal senso, affidandosi alla ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti. Grazie a lei è nato il Family act, un disegno organico di misure pensate per le famiglie con figli. L'obiettivo è quello di sostenere la genitorialità, contrastare la denatalità e favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro, in particolare quello femminile. "Per la prima volta questa riforma mette in campo l’integrazione di politiche di sostegno al reddito a politiche di costruzione di servizi di welfare - ha dichiarato la ministra Bonetti in un'intervista a Today - ma accanto a questo un grande investimento sul lavoro femminile e sul lavoro giovanile, che sono i due assi che non possono essere trascurati in una effettiva politica a sostegno della natalità”. In particolare, il Family act impegna il governo a:

  • istituire un assegno universale mensile per ogni figlio a carico fino all'età adulta, senza limiti di età per i figli con disabilità (l'erogazione dell'assegno unico partirà a marzo 2022);
  • rafforzare delle politiche di sostegno alle famiglie per le spese educative e scolastiche, e per le attività sportive e culturali;
  • riformare i congedi parentali, con l’estensione a tutte le categorie professionali e congedi di paternità obbligatori e strutturali;
  • introdurre incentivi al lavoro femminile, dalle detrazioni per i servizi di cura alla promozione del lavoro flessibile;
  • assicurare il protagonismo dei giovani under 35, promuovendo la loro autonomia finanziaria con un sostegno per le spese universitarie e per l’affitto della prima casa.

Chissà se queste misure a livello nazionale, associate con quelle del Next generation Ue, potranno invertire questo pericoloso trend al ribasso della natalità in Italia, di certo c'è solo che finalmente i nostri governanti hanno preso coscienza del problema e del ruolo centrale che la famiglia occupa all'interno dell'economia e del sistema paese. 

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