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Martedì, 16 Aprile 2024
Economia

“La fame nel mondo? Il cibo c'è, è un problema politico”

A parlare è Stefano Zamagni, economista italiano, tra i relatori all'ottavo Forum  Internazionale su alimentazione e nutrizione in corso a Milano: “Al mondo ci sono scandalose diseguaglianze geografiche, socio-economiche e di genere”

“L'uomo è ciò che mangia”: questa celebre frase del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach ha più di 200 anni, ma nonostante siano passati più di due secoli dal giorno in cui è stata pronunciata, rimane di grande attualità. In un mondo globale, interconnesso e in continua evoluzione come quello in cui viviamo, anche l'alimentazione e il cibo cambiano con il passare del tempo, trasformando non soltanto le dinamiche del mercato food, ma anche le abitudini dei singoli individui. 

Proprio per affrontare al meglio i temi di alimentazione sostenibile e diritto al cibo, il 4 e il 5 dicembre è stata organizzata al Forum di Milano l'ottava edizione del Forum Internazionale su alimentazione e nutrizione organizzato dalla Barilla Center for Food & Nutrition. Un evento ricco di ospiti nazionali e internazionali, in cui verrà consegnato il primo Food Sustainability Media Award.

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Tra i relatori di questa edizione c'è anche Stefano Zamagni, economista italiano, ex presidente dell'Agenzia per il terzo settore,che in passato ha collaborato anche con Papa Benedetto XVI per la stesura dell'Enciclica Caritas in veritate. Ecco l'intervista completa:

-Cambiamenti climatici e cibo, quali sono le prospettive future del mercato food?

“Quando si affronta il tema del cambiamento climatico in rapporto all’alimentazione, si considera quest’ultima per lo più come vittima piuttosto che come una delle cause del fenomeno di degrado ambientale. Ne deriva che quando si ammette la responsabilità dell’alimentazione nei confronti del cambiamento climatico, si guarda di solito all’aspetto agricolo dell’alimentazione e alle emissioni di gas serra (GES) prodotte dall’agricoltura (ivi compresi l’allevamento, le foreste, la pesca). Ci viene così annunciato che l’agricoltura è responsabile del 24% circa delle emissioni di GES derivanti dall’attività umana. Non si tiene però conto degli altri modi in cui l’alimentazione produce GES. Si pensi ai prodotti agricoli trasformati dall’industria agroalimentare; al fatto che gli alimenti sono commercializzati e trasportati su lunghe distanze; allo scandalo che un terzo del cibo viene perduto o sprecato. Tutto ciò è responsabile di un altro 10-12 per cento delle emissioni di GES di origine antropica. Ecco perché per ridurre l’effetto nocivo sul clima proveniente dalla nostra alimentazione non basta cambiare il modo di produzione del cibo che consumiamo. Occorre anche modificare i nostri pattern di consumo e le stesse modalità di consumo, oltre che gli stili di vita. E’ questa un’annotazione importante che rinvia al concetto di responsabilità sociale del consumatore. Nei prossimi decenni, infatti, non sarà solo la crescita demografica ad incoraggiare l’aumento della domanda: all’aumentare del reddito, nei paesi emergenti si registrerà un maggiore consumo pro-capite, sempre più allineato al modello dei paesi ricchi e orientato verso cibi ad alto contenuto di grassi, zuccheri e proteine animali. La cosiddetta transizione alimentare – termine che denota l’evolversi della dieta in funzione di una serie di fattori socio-economici, epidemiologici e demografici – potrà dunque avere effetti fortemente destabilizzanti sull’equilibrio ecologico, se non si interviene fin da ora con misure radicali”.

-Lotta allo spreco: esiste una parte del mondo che vive nell'abbondanza, mentre un'altra ha difficoltà anche a trovare un pasto, come si potrebbe ovviare a questa disparità, che produce spreco da un lato e fame dall'altra? 

"La carenza di alimenti sicuri per tutti è assai più dovuta a relazioni di potere diseguali che non alla mancanza di produzione alimentare a livello globale. Ciò implica la necessità di un approccio più “politico” al tema dell’alimentazione, che prenda in esplicita considerazione le scandalose diseguaglianze geografiche, socio-economiche e di genere. Nel 1963, FAO e GATT avevano dato origine alla “Codex Alimentarious Commission”, il principale forum per la cooperazione internazionale sulla sicurezza alimentare e sugli standard di qualità. Poi, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, tale forum è stato posto nel dimenticatoio. Occorre invece rilanciarlo, ampliandone il raggio d’azione, se si vuole difendere la biodiversità, oggi in grave pericolo. Ogni giorno scompaiono 50 specie viventi. E’ vero che l’estinzione è di per sé un fatto naturale (una specie vive in media un milione di anni); ma l’attuale accelerazione è preoccupante, perché la biodiversità è la modalità con cui la vita si esplica. La politica per l’agricoltura adottata negli ultimi decenni – basata su grandi estensioni a monocultura, sementi brevettate dalle multinazionali, grande uso di concimi e antiparassitari – è responsabile della grave perdita di biodiversità".

-In che modo il cibo e l'alimentazione hanno un impatto sul comportamento dei consumatori in termini economici e di lotta alla povertà, in particolare in paesi come l'Italia?

"Un chiarimento utile sul significato dei termini “cibo” e “alimenti”. Nella letteratura giuridica non si parla di cibo, ma di alimento. Per la legislazione europea per alimento si intende: “qualsiasi sostanza o prodotto trasformato destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani”. Come si comprende, si tratta di una definizione “commerciale”, destinata a regolare i mercati in cui il cibo è considerato una merce come ogni altra e non già di una definizione scientifica. A quest’ultimo riguardo, la definizione più utilizzata è quella di Brillat e Saverin: “Per alimenti si intendono tutte quelle sostanze che, immesse nell’apparto digerente, possono essere dall’organismo assimilate grazie al processo digestivo, reintegrando così quelle perdite che l’organismo subisce nell’esercizio delle sue funzioni vitali”. Alla luce di ciò, è ovvio che non ogni cibo è anche alimento. Eppure, il settore agricolo continua ad essere finalizzato sulle calorie che si devono produrre, come se queste garantissero la sicurezza alimentare".

- Come possiamo coinvolgere i consumatori a compiere scelte sostenibili, responsabili e di risparmio di denaro soprattutto quando pensiamo al "buon cibo"?

 "Sostenibilità ambientale, sostenibilità nutrizional-alimentare e sostenibilità della pressione migratoria costituiscono i tre vertici dell’odierno triangolo politico-istituzionale. Due le scuole di pensiero che oggi si confrontano nell’arena pubblica. Per un verso, vi sono coloro che parlano di trilemma e ciò nel senso che, al più, sarebbe possibile assicurare solo due dei tre tipi di sostenibilità. Ad esempio, Trump è disposto a rinunciare alla sostenibilità ambientale per non porre a repentaglio le altre due; per la Cina la sostenibilità della pressione migratoria non è certo in cima all’agenda politica. Per l’altro verso, vi sono coloro che giudicano fallace, perché aporetica, la tesi del trilemma. L’Unione Europea persegue da anni, non senza difficoltà e contraddizioni interne, l’ambizioso progetto di tenere insieme, in mutuo bilanciamento, i tre tipi di sostenibilità. Chi scrive si riconosce nella posizione di coloro che ritengono che sia possibile scongiurare il trilemma. E’ cattiva scienza (sia sociale sia naturale) quella che fa credere all’esistenza di irriducibili trade-off. Quel che è urgente porre in campo è una vasta e approfondita campagna culturale di alfabetizzazione. Su questi temi c’è troppo chiacchiericcio e troppo poca informazione veramente scientifica. Quel che occorre fare è focalizzare di più l’attenzione sui sistemi alimentari sostenibili, i quali possono costituire il punto di partenza di un nuovo modello di ordine sociale capace di sciogliere il trilemma di cui sopra. Purtroppo, si continua invece a pensare a politiche agricole separate dalle politiche alimentari".

-Secondo le ultime stime i prezzi degli alimenti nel nostro Paese sono molto superiori alla media dell'Ue. Qual è il motivo secondo lei? 

"Una prima importante misura concerne l’assetto economico-istituzionale che va preso in seria considerazione. Voglio significare che il mercato del cibo e ormai pure del settore agricolo sono ben lontani da quel modello di concorrenza perfetta cui una certa letteratura ci aveva abituati. Con sei giganti agrochimici (Bayer, Monsanto, Du Pont, Dow Chemical, Syngenta) in procinto di fondersi in tre super-corporation, consumatori e contadini stanno seriamente temendo per il loro destino. Conosciamo l’argomento utilizzato per giustificare le ventilate fusioni: accrescere l’efficienza intervenendo sulla scala di produzione e sulla condivisione delle conoscenze in ambito scientifico. Ma è l’efficienza l’unico valore da difendere e soprattutto i guadagni di efficienza sono tali da compensare gli effetti perversi della concentrazione di potere sul mercato? Si può onestamente pensare che tre super-imprese possano farsi carico dell’esigenza di nutrire (e non solo sfamare) una popolazione globale crescente? In un mondo in cui stanno prendendo piede arbitrati internazionali che offrono alle imprese la facoltà di citare in giudizio governi nazionali qualora questi implementino azioni ritenute limitatrici della libera concorrenza, la concentrazione sul lato dell’offerta mette a repentaglio la libertà delle istituzioni democratiche di perseguire il bene comune dei cittadini. Ecco perché vanno crescendo, in Europa come altrove, mercati contadini, vendita diretta, esperienze di “community-supported agriculture” – iniziative queste che dicono non solamente della preoccupazione di difendere la libertà di scelta, ma anche della esigenza di investire sul capitale sociale".

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