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Venerdì, 29 Marzo 2024
Il rapporto

Gli effetti della guerra sull'economia italiana: tre scenari

Confindustria prevede una crescita del Pil nel 2022 dell'1,9%, più che dimezzata rispetto alle previsioni. Ma se il conflitto dovesse durare più a lungo, e proseguire oltre luglio, si profilerebbe una situazione ben peggiore

Drastico ridimensionamento del Pil per il 2022: il Rapporto di primavera del Centro studi di Confindustria prevede una flessione di almeno 2,2 punti percentuali della crescita economica rispetto alle attese e fissa il punto di arrivo a fine dicembre a +1,9% con una 'ampia revisione' dunque di quanto stimato lo scorso ottobre, prima dei nuovi shock, di quel 4% stimato da tutti i previsori.

Un dato ancora positivo però che il Csc sottopone a stringenti condizioni: "che da luglio prossimo finisca la guerra o comunque si comincino a ridurre l'incertezza e le tensioni, in particolare sui prezzi di gas e petrolio che scenderanno, pur rimanendo al di sopra dei livelli di inizio 2021; che ogni ipotesi di razionamento dell'energia per il settore produttivo sia esclusa e infine che la diffusione del Covid rimanga contenuta in maniera efficace e abbia impatti via via decrescenti".

Non solo. Confindustria stima i nuovi dati anche alla luce del fatto che l'Italia , nonostante il quadro peggiorato, "riesca a centrare gli obiettivi del Pnrr nei tempi previsti, eventualmente rivedendo alcuni progetti che potrebbero non essere più realizzabili". La variazione positiva nel 2022, peraltro, annota ancora il Csc, "è interamente dovuta a quella già ''acquisita'' a fine 2021 (+2,3%) grazie all'ottimo rimbalzo dell'anno scorso: nei primi due trimestri, infatti, l'economia italiana entrerebbe in una ''recessione tecnica'', seppur di dimensioni limitate, non pienamente compensata dalla ripresa attesa nella seconda metà dell'anno. Rallentata anche la crescita 2023 che si assesterebbe a +1,6% . In questo scenario peggiorato, il ritorno dell'Italia ai livelli pre-pandemia slitta dal secondo trimestre di quest'anno al primo del prossimo, sima ancora il Csc.

Cosa succede se la guerra dura più a lungo

Il maggiore rischio però, rispetto allo scenario base delineato da Confindustria, è relativo all'ipotesi principale: cioè la durata contenuta del conflitto e dei suoi principali effetti. Nel caso infatti la guerra proseguisse oltre luglio prossimo si profilerebbe, dicono gli economisti di viale dell'Astronomia, uno scenario ''avverso'': a causa di prezzi di gas e petrolio che restassero sui livelli medi registrati nel primo mese di guerra fino alla fine dell'anno, "la dinamica del Pil sarebbe più bassa di 0,3% nel 2022 e di un ulteriore 0,6% nel 2023".

All'esame di Confindustria però anche uno scenario più ''severo'', nel caso il conflitto e i suoi effetti si protraessero fino alla fine del 2023. In questo caso l'impatto si riverserebbe quasi tutta nel secondo anno quando i prezzi di energia e altre commodity resterebbero fermi ai livelli post-invasione: "la simulazione indica, coerentemente, che l'impatto negativo addizionale sul Pil è basso nel 2022, mentre nel 2023 è tale da azzerare la crescita dell'economia", si legge nel rapporto.

Con il caro energia per le imprese una spesa di 68 miliardi

L'invasione russa in Ucraina fa volare la bolletta energetica delle imprese: i rincari di petrolio, gas, carbone presenteranno infatti un maggior costo finale di circa 68 miliardi su base annua di cui 27 miliardi saranno pagati solo dalla industria manufatturiera. L'incidenza dei costi dell'energia sul totale dei costi di produzione aumenterebbe del 77% per il totale dell'economia italiana, passando dal 4,6% nel periodo pre-pandemico (media 2018-19) all'8,2% nel 2022.

"In euro, questo impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana di 5,7 miliardi su base mensile, ovvero in un maggior onere di 68 miliardi su base annua", ribadiscono gli economisti di Confindustria. Il settore maggiormente colpito è di gran lunga la metallurgia, dove l'incidenza potrebbe sfiorare il 23% alla fine del 2022, seguito dalle produzioni legate ai minerali non metalliferi (prodotti refrattari, cemento, calcestruzzo, gesso, vetro, ceramiche), dove l'incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare al 16%, dalle lavorazioni del legno (10%), dalla gomma-plastica (9%) e dalla produzione di carta (8%).

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