Dopo la crisi di Credit Suisse c’è un’altra minaccia che incombe sul sistema creditizio: quella dei fondi pensione. Il rapido aumento dei tassi d’interesse e il calo del mercato azionario causato dalle tensioni geopolitiche hanno portato a un crollo dei rendimenti dei fondi pensione, rimettendo in discussione la tanto sponsorizzata pensione integrativa. Se è vero che i futuri pensionati percepiranno dei mini assegni per colpa del passaggio dal sistema retributivo al contribuivo, è vero anche che la soluzione della pensione complementare sembra per il momento non funzionare.
Nel 2022 il Tfr (trattamento di fine rapporto) lasciato in azienda ha avuto una strepitosa rivalutazione grazie all’inflazione mentre le performance dei fondi pensione sono state negative. Il sorpasso del Tfr sui fondi pensione (purtroppo anche sul lungo periodo) rischia così di togliere liquidità alle banche, mandando in tilt il sistema e non solo quello. Nel frattempo i malpensanti ipotizzano che il governo voglia spingere nuovamente sulla previdenza complementare (sarà uno dei tasselli della riforma delle pensioni 2024) per coprire le perdite e ricostruire i patrimoni dei fondi pensione.
"I risultati negativi dei fondi pensione sono dovuti principalmente al contesto di mercato, non dobbiamo pensare che siano inefficienti", ha dichiarato Paola Ferrari, analista della società di consulenza indipendente Consultique, in un’intervista a Today. "Nel 2022 qualsiasi forma di investimento sui mercati finanziari ha avuto performance negative", ha chiosato l’esperta ricordando che è sbagliato valutare la pensione integrativa "solo sulla base del rendimento". Andiamo per ordine.
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L’anno nero dei fondi pensione
Il 2022 è stato un anno critico per i fondi pensione, con rendimenti in calo del 9,8% per i fondi negoziali, del 10,7% per quelli aperti e dell'11,5% per i Piani individuali pensionistici (Pip) di ramo III. È quanto emerge dall'ultimo monitoraggio della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), che lega le performance negative dei fondi pensione agli strascichi della pandemia, alla guerra in Ucraina ma soprattutto al repentino aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Bce per frenare l’inflazione.
E il Tfr lasciato in azienda? Si è rivalutato dell’8,3% rendendo meno competitiva la previdenza integrativa, almeno per il 2022. Ma allora lasciare il Tfr in azienda è la scelta migliore da fare? "Questa è una situazione di mercato particolare – ha spiegato la Ferrari - perché nell’ultimo anno è sceso sia l’azionario che l’obbligazionario, quindi tutti i fondi hanno registrato un rendimento negativo. Il Tfr, invece, essendo collegato alla rivalutazione dell’inflazione ha avuto una performance brillante. Questi risultati però sono contestuali all’attuale scenario di mercato, non è detto che questo possa rimanere valido in futuro. A inizio 2022 - ha ricordato l’analista - avevamo una situazione praticamente opposta".
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Il Tfr è meglio dei fondi pensione?
Il crollo dei rendimenti dei fondi pensione registrato nel 2022 è legato a una serie di fattori che si sono verificati contestualmente: la guerra in Ucraina, l’inflazione e il repentino rialzo dei tassi d’interesse. Risultato? I mercati azionari e quelli obbligazionari hanno chiuso l’anno in rosso. In particolare le linee obbligazionarie hanno risentito del rapido aumento dei tassi d’interesse: il rialzo del costo del denaro, infatti, ha fatto diminuire il prezzo (e dunque il valore) delle obbligazioni detenute in portafoglio dai fondi. E così i fondi pensione sono arrivati a registrare perdite a due cifre. "A causa del particolare contesto di mercato qualsiasi forma di investimento ha avuto performance negative nel 2022", ha ricordato però la Ferrari.
Proprio per questo la Covip ha deciso di calcolare anche i rendimenti a 10 anni, certificando così il sorpasso del Tfr sui fondi pensione anche nel lungo periodo. Da inizio 2013 a fine 2022 il rendimento medio annuo composto (al netto dei costi di gestione e della fiscalità) è stato pari al 2,2% per i fondi negoziali, al 2,5% per i fondi aperti, al 2,9% per i Pip di ramo III e al 2% per le gestioni di ramo I. Nello stesso periodo la rivalutazione del Tfr si è attestata al 2,4% annuo.
Fondi pensione: "Non bisogna considerare solo il rendimento"
Per il momento il rendimento del Tfr a 10 e 15 anni batte quello delle linee garantite e obbligazionarie. "Al di là del rendimento – ha chiosato la Ferrari - c’è da considerare anche che versando in un fondo di categoria si ha diritto al contributo datoriale che può compensare in parte la minor performance dei fondi pensione rispetto al Tfr lasciato in azienda".
Chi sceglie la previdenza integrativa, poi, gode di particolari vantaggi fiscali. La tassazione del Tfr lasciato in azienda, infatti, è molto più alta rispetto alla tassazione che si avrebbe versando il Tfr nel fondo pensione. Inoltre, i contributi volontari e datoriali versati alle forme pensionistiche complementari sono deducibili dal reddito Irpef fino a un limite massimo fissato dalla legge: 5.164,57 euro all’anno.
Tfr in azienda o fondi pensione: cosa scegliere
"Per un giovane lavoratore che ha davanti a sé un orizzonte lungo di lavoro consigliamo il fondo pensione, soprattutto di categoria per beneficiare del contributo datoriale – ha dichiarato la Ferrari -. Invece per una persona che al momento ha il Tfr in azienda ed è a pochi anni dal pensionamento, considerando l’inflazione attuale, consigliamo di lasciarlo in azienda".
Quando si sceglie un fondo pensione bisogna fare particolare attenzione ai costi di gestione e di caricamento e ai vincoli sulla richiesta anticipata del Tfr (per spese sanitarie, per l’acquisto della prima casa, licenziamento, etc.), perché tutte queste variabili possono fare la differenza. "La cosa fondamentale per i risparmiatori però – ha concluso l’analista - è capire quale sarà il loro gap al pensionamento, perché è in funzione di quello che si decide quanto bisognerà accantonare per avere adeguate risorse nel momento in cui si esce dal mondo del lavoro".