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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia

Il costo della transizione energetica: migliaia di licenziamenti (se non ci si sveglia)

L'intervista al direttore di Anfia, Gianmarco Giorda: "In meno di 10 anni centinaia di aziende dovranno reinventarsi con nuovi prodotti e nuove attività"

Tra i 300 e i 400 milioni per accompagnare l’industria dell’automotive italiana, un’eccellenza in tutto il mondo, verso quello che si delinea come un futuro ormai sempre più concreto e sempre più vicino: l’elettrificazione totale.

L’annuncio di un fondo per la riconversione dell’industria è arrivato dal viceministro Gilberto Pichetto Fratin, poche parole pronunciate a un convegno sull’auto organizzato dai sindacati che quasi sono passate sotto traccia, ma che confermano l'impegnativa roadmap per una transizione complessa, che avrà ripercussioni sull’intero comparto. A oggi Pichetto si è limitato ad annunciare il fondo - dai 300 ai 400 milioni - e la durata (all’incirca 10 anni), ma in attesa di avere maggiori informazioni l’industria non può stare a guardare e deve necessariamente accettare la sfida della decarbonizzazione. Soprattutto alla luce dell’innalzamento del target sul taglio delle emissioni al 2030.

Il 2030 è infatti l’anno entro cui la Commissione Europea, con l’adozione del pacchetto climatico “Fit for 55”, ha proposto una “terapia d’urto” per raggiungere gli obiettivi del Green Deal: riduzione delle emissioni di gas serra del 55% rispetto al 1990. Un traguardo molto ambizioso, tenuto conto che in trent’anni, dal 1990 al 2020, le emissioni dell’Ue si sono ridotte del 20%, e che il Green Deal prevede che vengano più che dimezzate in meno di 10 anni con l’obiettivo di arrivare alla “carbon neutrality” entro il 2050. La tappa intermedia sembra essere inoltre una delle più impegnative: il bando dei motori a combustione interna per il 2035, con il divieto di vendere e far circolare mezzi che non siano elettrificati.

Poco più di 10 anni, insomma, per rivoluzionare l’industria dall’interno, cambiare l’intero piano produttivo e cercare allo stesso tempo di salvare migliaia di posti di lavoro. Una sfida difficilissima, che costringe le aziende ad agire subito, perché, come spiega a Today Gianmarco Giorda, direttore di Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, “i tempi sono molto stretti”.

Dottor Giorda, un parere a caldo su quanto annunciato da Pichetto.

"Il viceministro ha dato alcuni numeri, ma è tutto da costruire. Siamo a disposizione del governo per sederci intorno a un tavolo e cercare di definire le priorità per l’intero settore industriale. Quelli annunciati sono fondi che devono essere messi in campo per la transizione verso l’elettrificazione, ma bisogna farlo velocemente, perché l’urgenza c’è ed è significativa. Le proposte del Fit for 55, se confermate, chiaramente costringerebbero l’industria italiana ed europea a mettere in campo in tempi molto veloci nuovi piani e strategie. Il fondo di cui si è parlato dovrebbe dare una mano alle aziende per riconvertire la produzione, e noi avremo centinaia di aziende che di qui ai prossimi anni dovranno reinventarsi con nuovi prodotti e nuove attività, migliaia di lavoratori che dovranno essere formati per nuove task".

Chi subirà maggiormente le conseguenze di questa rivoluzione energetica, dal punto di vista dell’occupazione?

"Io credo che le più penalizzate saranno le aziende che fanno componenti e prodotti per le auto a combustione interna. Sarà necessario un reskilling del personale, trasformare le competenze di alcune maestranze in qualcosa di diverso sulla base delle esigenze del futuro, ma bisogna capire se ci sarà spazio per tutti. La formazione va bene se hai un’attività da svolgere, ma è necessario capire se le aziende riusciranno a convertire le loro produzioni, soprattutto quelle aziende che producono componenti all'esclusivo servizio delle auto “tradizionali”. In un’auto elettrica tra l'altro i componenti sono molto meno, e i costruttori in parallelo stanno internalizzando le produzioni che avevano dato fuori, per cui la torta si sta restringendo e le opportunità sono minori. Molte delle oltre 2.000 aziende di componentistica italiana potrebbero chiudere".

In effetti sono diversi i marchi che hanno annunciato l’intenzione di costruire internamente alcuni componenti. Soprattutto si parla delle batterie per le auto elettriche, Volkswagen, tanto per citarne uno, ha già confermato la produzione “in-house”.

"Certo, i costruttori di veicoli hanno a loro volta il problema di avere stabilimenti che oggi producono motori termici, trasmissioni e altri componenti, per cui fare batterie all’interno del gruppo è un modo per saturare manodopera che non ci sarà più nei prossimi anni. Chi è in difficoltà è il mondo della componentistica di primo, secondo e terzo livello, non è detto che ci sarà spazio per tutti e che tutti saranno in grado di riconvertirsi, dipende dalla volontà degli imprenditori di rimettersi in gioco, dalla richiesta, dalla capacità economica. Il rischio è che alcuni pezzi di filiera nei prossimi anni possano restare fuori dalla produzione".

Tagliare le emissioni è diventato un obiettivo primario e indispensabile per la salvaguardia del pianeta e per combattere il riscaldamento globale. Se ne parla da diversi anni, e molte aziende si sono già mosse verso l’elettrico, però si ha la percezione che l’Ue abbia fatto uno scatto deciso in avanti, quasi all’improvviso, quantomeno per i non addetti ai lavori.

"Di questi temi si parla da anni, ma una proposta così dirompente come quella del 14 luglio (il Fit for 55, ndr), che prevede la messa fuori mercato dei motori endotermici dal 2035, è molto forte. Tutti quanti siamo orientati verso la decarbonizzazione, ma gli obiettivi ambientali devono essere compatibili con quelli sociali, l’asse dei tempi è una variabile fondamentale. Vanno bene proposte forti, ma che siano gestibili anche nei tempi, 15 anni per l’industria dell’automotive non sono tanti. Questa è comunque solo una proposta, nel momento in cui si deciderà, e se dovesse essere confermato il bando dei motori termici al 2035, significherebbe che già dal 2023-2024 le case auto non svilupperanno altri motori termici, il che significa che l’effetto sul mondo produttivo ci sarebbe molto prima del 2035. I volumi diminuiranno man mano che si avvicina l’anno della tagliola, i consumatori avranno difficoltà a comprare una macchina che potrebbe avere un valore residuo molto basso e inizieranno a verificarsi le conseguenze sul mondo del lavoro".

L’industria italiana dell’automotive è pronta ad affrontare questa sfida, secondo lei?

Con il giusto supporto economico e tempi calibrati sì. In Italia abbiamo molte realtà che stanno preparando i lavoratori del futuro e che stanno investendo sul cosiddetto “upskilling”, formazione ad hoc che consentirà nei prossimi anni che vi siano competenze in grado di andare incontro alle esigenze del futuro. Molto c’è da fare molto però, ed è importante lavorare adesso, perché se le aziende avranno bisogno di assumere personale diverso dobbiamo essere in grado di fornire le giuste competenze, accompagnando tutti verso i nuovi obiettivi.

L'industria italiana dell'auto sta morendo in silenzio

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