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Giovedì, 25 Aprile 2024
La patata bollente

Gas e bollette, l'intesa in Europa in realtà non c'è: la prima grana del governo Meloni

L'accordo raggiunto all'ultimo eurosummit di Draghi è in realtà una road map. I punti più delicati sono ancora da negoziare. E si profila un nuovo scontro tra Italia e frugali

"È andata bene", per citare il telegrafico commento di Mario Draghi, ma non benissimo. L'accordo raggiunto dai 27 leader Ue a Bruxelles a margine di una maratona di negoziati di dodici ore, e di interventi con toni non proprio diplomatici, è di fatto un foglio bianco ancora da scrivere, una road map che rimanda a futuri tavoli di lavoro la definizione concreta delle misure contro la crisi energetica. Certo, guardando alle richieste italiane, si dà mandato alla Commissione di dare dettagli precisi su come attuare un eventuale tetto al prezzo del gas importato dall'estero. E nelle more dell'altro price cap (quello iberico, che di fatto è una maxi sovvenzione alle centrali elettriche nazionali affinché contengano a monte i prezzi per far sì che questi si riducano nelle bollette a valle), si promette che si terrà conto degli "impatti finanziari" di chi potrebbe fare fatica a pagare tale maxi sovvenzione. Ma è chiaro che dopo 8 mesi di guerra e nel pieno di una crisi energetica iniziata già prima dell'invasione in Ucraina, la palla che l'ormai ex premier lascia al governo di Giorgia Meloni è bollente.

La solidarietà che manca

Spetterà infatti al nuovo esecutivo fare pressioni perché il termine "solidarietà" che compare nel testo di accordo del summit (le cosiddette 'conclusioni') non riguardi soltanto la richiesta di Berlino di riceve gas da altri Stati membri in caso di interruzioni nell'approvvigionamento, ma sia usata nel concreto per venire incontro alle esigenze di chi, più che degli approvvigionamenti, teme la carenza di fondi per contenere i rialzi dei prezzi energetici. In tal senso, la solidarietà che chiede l'Italia ha due forme.

La prima è quella del tetto al prezzo del gas importato: la Germania non lo vuole perché teme che così facendo i fornitori chiudano i rubinetti. Berlino, come la Commissione, è semmai più propensa al price cap iberico, quello attuato già da Spagna e Portogallo, che in realtà non è un vero e proprio tetto, ma un modo per ridurre l'effetto dei prezzi del gas sulle bollette dell'elettricità. L'esperienza di Madrid e Lisbona ha dimostrato che tale misura riesce a calmierare le fatture, ma in cambio richiede un esborso finanziario importante da parte dello Stato. Esborso tanto più alto, quanto più un Paese è dipendente dal metano (ed è il caso italiano). Da qui la seconda forma di solidarietà di cui molto probabilmente avremo bisogno: un nuovo fondo comune.  

Il Sure 2

Chiedere una riedizione del Recovery fund è da fantapolitica. Da qui, la proposta avanzata dai commissari di Francia e Italia (Thierry Breton e Paolo Gentilono di un 'Sure 2', un fondo comune come quello varato nei primi mesi della pandemia, meno noto del successivo Recovery fund, ma che ha permesso all'Italia di aiutare lavoratori e imprese con i bond emessi direttamente da Bruxelles. Uno strumento per ottenere prestiti, ma a tassi decisamente più vantaggiosi di quelli che l'Italia otterrebbe emettendo i suoi titoli di Stato. 

È sul Sure 2, più che sul tetto al prezzo del gas importato, che si gioca la vera partita del nuovo governo Meloni. L'Italia, secondo quanto calcolato dal think tank Bruegel, ha speso 62,6 miliardi di euro per aiutare famiglie e imprese sulle bollette: quello di Draghi è stato tra gli esecutivi Ue che più hanno investito in aiuti rispetto al proprio Pil (3,5%). Ma niente a che vedere con la Germania, che ha messo sul piatto oltre 260 miliardi di sussidi (il 7,4% del Pil) o con l'Olanda (5,3%). Meloni potrà fare di più, e molto probabilmente sarà anche costretta a farlo per rispondere alle pressioni di imprese ed evitare il rischio di conflitti sociali, ma la coperta di Roma è corta, se non cortissima.

I conti che non tornano

Lo si può vedere dall'ultimo aggiornamento dell'Eurostat sui saldi del conto delle partite correnti nazionali nel secondo trimestre dell'anno: la Germania, a fine giugno, aveva un avanzo di quasi 23 miliardi in cassa. Amsterdam ne aveva circa 7,5. La piccola Danimarca addirittura 13. L'Italia, invece, era in disavanzo di 3,8 miliardi, che si aggiunge al disavanzo del primo trimestre di oltre 5 miliardi. Sui tavoli di Bruxelles, i nostri ministri delle Finanze hanno spesso sottolineato come i solitamente lauti avanzi tra export e import dell'Italia attenuino i rischi dei nostri deficit di spesa. Ora, questa giustificazione viene meno, e il saldo tra entrate e uscite del governo è già in rosso nonostante gli assegni del Recovery fund. 

A questo, si aggiunga l'effetto indiretto dell'inflazione sul nostro debito pubblico: per contenere il caro vita, la Bce ha alzato i tassi di interesse e potrebbe continuare a farlo nei prossimi mesi. Tassi d'interesse più alti rischiano di avere contraccolpi pesanti sul nostro debito pubblico. Certo, c'è lo scudo anti-spread varato da Francoforte, ma i falchi del rigore hanno già avvertito l'Italia che questo scatterà solo a condizione che venga rispettato il Patto di stabilità, per ora ancora congelato, e continuando il percorso di riforme allegato al Pnrr che Draghi ha avviato.

Meloni e i frugali

Insomma, da qualsiasi parte la si veda, lo spazio di manovra fiscale e politica del governo Meloni in Europa è già molto angusto. Il premier olandese Mark Rutte, a margine della prima giornata di summit Ue, ha già messo le mani avanti sull'ipotesi di un nuovo Sure: "Prima di tutto dobbiamo usare i fondi che abbiamo e solo dopo valuteremo cosa potrebbe essere necessario", ha detto riferendosi al Pnrr. "Ci sono così tante risorse a disposizione che nel prossimo futuro non arriveremo al punto" di aver bisogno di un altro fondo comune, prevede il leader frugale. Il problema, però, è che il Recovery fund serve per gli investimenti, magari per un nuovo rigassificatore nell'ambito di RePowerEU, e non per le bollette.

Per quelle, misure inserite nell'accordo e ritenute politicamente (ma non tecnicamente) meno problematiche, come l'acquisto congiunto di gas, o la creazione di un prezzo di riferimento diverso dal Ttf della borsa di Amsterdam per il gas naturale liquefatto (in modo da ridurre i costi almeno per il gnl, la cui quota è sempre più in crescita nel mix energetico Ue). C'è poi la misura che prevede un'ulteriore impegno degli Stati a ridurre i consumi elettrici, cosa che secondo gli esperti della Commissione potrà ridurre l'impatto dei prezzi più alti. Ma come ha detto Draghi agli ormai ex colleghi Ue, e non senza sarcasmo, "non c'è dubbio" che i consumi caleranno, ma questo accadrà perché "andremo ulteriormente in recessione. Lo vedrete". 

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