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Venerdì, 26 Aprile 2024
Economia Piacenza

"Mio papà deve lavorare": protestano i figli dei facchini licenziati da GLS

Mogli e figli dei 33 facchini licenziati dalla GLS di Piacenza hanno protestato davanti alla sede milanese della multinazionale. USB: "Ora 33 famiglie non hanno più un sostentamento"

Le famiglie dei 33 facchini licenziati dalla GLS di Piacenza sono arrivate questa mattina davanti alla sede di Assago, nel milanese della multinazionale per protestare contro la decisione di lasciare a casa 33 padri, tutti con figli in tenera età. Oltre 100 bambini che fanno parte di famiglie monoreddito e che perdendo quell'unica fonte di entrata potrebbero avere difficoltà ad andare a scuola o all'asilo, oltre alla lunga serie di ripercussioni che un licenziamento può avere sulla stabilità di un nucleo familiare. 

“Mio papà deve lavorare”: la protesta dei licenziati GLS

Proprio per questo, al grido di ''Mio papà deve lavorare'', mogli e figli sono scesi in campo al fianco dei loro uomini per supportarli in questa battaglia. I motivi del licenziamento vengono spiegati dall'Unione Sindacale di Base (USB) in una nota: "I 33 facchini sono stati licenziati a Piacenza perché hanno scioperato con determinazione per richiedere sicurezza sul posto di lavoro. Nel magazzino l'ambiente è insicuro non solo per carenze strutturali, ma anche per il ripetersi di atti violenti e di caporalato".

GLS Piacenza, la protesta dei facchini licenziati

Licenziamenti GLS Piacenza: l'inizio della protesta 

“All'origine della protesta che ha portato ai licenziamenti – continua Usb - l'aggressione subita circa un mese fa da tre facchini da parte di un uomo armato di tirapugni e spray al peperoncino. Il paradosso è che la società che gestisce i servizi logistici nell'hub piacentino di GLS, la società che li ha licenziati, è nelle mani di dirigenti arrestati e inquisiti recentemente per legami col clan camorristico salernitano dei Pecoraro-Renna, per riciclaggio ed evasione fiscale e contributiva. I facchini organizzati nel sindacato USB chiedono alla GLS di non lavarsene le mani, di essere reintegrati, di non spostare altrove i volumi di lavoro e di garantire l'occupazione di tutti gli addetti”.

Alla luce di questa situazione 'complicata', i lavoratori si sono comunque voluti mettere in gioco assicurando di fare tutto il possibile per il rilancio del sito produttivo, chiedendo soltanto a GLS di riportare legalità e serenità nel magazzino di Piacenza.

Le mogli dei facchini: “Fateli tornare a lavorare”

Non si tratta certo della prima protesta delle famiglie dei 33 facchini licenziati da GLS a Piacenza. Già nella serata dello scorso 7 febbraio le mogli e i figli dei lavoratori si erano recati presso il magazzino per chiedere la riassunzione dei loro padri e mariti, una protesta civile e pacata che però non è servita a molto.

“Sono famiglie venute da lontano – scriveva USB in una nota delle scorse settimane- nel nostro Paese in cerca di un riscatto sociale, di un futuro migliore, anche al costo di un lavoro duro, pesante come è quello del facchino e solo perché hanno preteso dignità e legalità oggi si trovano in mezzo ad una strada. Far perdere a queste persone la speranza è un atto crudele oltre che ingiusto, l'intera comunità piacentina non può permettere tutto ciò, non si deve consentire che un atto di forza e repressione produca l'ulteriore danno del dramma e della disperazione”.

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