Tasse, Irpef, bonus, Partite Iva, pensioni: cosa vuole fare Mario Draghi con i vostri soldi
Quale sarà la politica economica del nuovo governo? Gli appunti presentati alle forze politiche durante le consultazioni svelano il suo programma scritto a Città della Pieve e spiegano che farà sulla pubblica amministrazione
Ora che a differenza del Terzo segreto di Fatima la lista dei ministri del governo Draghi è stata rivelata e si può dire chi ha vinto e chi ha perso con SuperMario a Palazzo Chigi, è il momento di fare sul serio. Ovvero di rivelare il programma del suo esecutivo e di spiegare cosa vuole fare l'ex presidente della Banca Centrale Europea con i soldi del Recovery Fund e come intende orientarsi nella gestione delle finanze pubbliche dopo aver, per tanti anni, criticato ed esortato i governi nelle sue Considerazioni Finali da presidente della Banca d'Italia e salvato l'Europa e l'Italia con il Whatever it takes.
Cosa vuole fare Mario Draghi con i vostri soldi
In attesa del discorso con cui chiederà la fiducia al Senato e alla Camera (si comincia mercoledì) è possibile cominciare a ipotizzare qualche direttiva sul programma di Draghi partendo da quello che ha già detto ai partiti durante le consultazioni e da quanto ha scritto e dichiarato nelle occasioni pubbliche in cui ha parlato dei problemi della politica economica italiana e delle possibili soluzione. Durante le consultazioni Draghi ha presentato una bozza di programma scritta molto probabilmente a Città di Pieve, dove ogni sera tornava dopo la giornata passata a Roma. Poche pagine divise in paragrafi con una serie di indirizzi ben precisi, che venivano utilizzati per discutere con le forze politiche. Fin da subito Draghi ha escluso dal suo programma la Flat Tax che invece vuole la Lega, scatenando l'ira del senatore del Carroccio Siri che in un'intervista al Foglio si è detto disposto a spiegare a SuperMario (?) che anche la tassa ad aliquota unica è progressiva (???).
Come abbiamo scritto, Draghi ha espresso posizioni piuttosto precise riguardo il modello fiscale da privilegiare in Italia: "Concretamente per quanto riguarda l’Irpef - scriveva - il modello da adottare dovrebbe essere quello tedesco, caratterizzato da aliquote continue e da una crescita più graduale del prelievo. Ma ci sono anche altre correzioni da fare, in direzione di una maggiore progressività effettiva: ad esempio il parziale ritorno dei redditi da capitale nella base imponibile dell’imposta sul reddito, con alcune esclusioni, il riordino delle tax expeditures (ed anche dei sussidi ambientali), la razionalizzazione delle imposte indirette e l’ulteriore spinta sul fisco telematico".
Draghi avrebbe in mente un modello simile a quello proposto dal Pd: progressività del carico fiscale, ma guardando al sistema tedesco che si basa su una curva crescente della tassazione e non prevede aliquote. La riforma complessiva dovrebbe essere finanziata con il proseguimento della lotta all’evasione. Secondo le indiscrezioni filtrate in queste ore, a beneficiare di una eventuale sforbiciata delle tasse e in particolar modo dell'Irpef dovrebbero essere i redditi medio bassi. Una linea che trova molti sponsor a sinistra e tra gli (ex?) alleati della coalizione giallorossa. Cosa succede invece alle partite Iva e al regime forfettario? Il premier, come dicevamo prima, su questo punto si è mantenuto cauto. E nulla è trapelato dalle consultazioni con i partiti a Palazzo Chigi.
Il rischio di una spaccatura è dietro l’angolo. D’altra parte va anche fatto notare che il regime agevolato non è stato abolito neppure dal governo giallo-rosso che pure avrebbe avuto tutto il tempo per mettere mano ad una riforma correttiva del sistema. Nelle finanziaria del 2020 sono stati introdotti sì nuovi paletti per usufruire della flat tax al 15%, ma la sostanza non è cambiata. Cosa succederà con Draghi a Palazzo Chigi però è tutto da decifrare. Ma non è neppure escluso che intervenga con qualche correttivo per rendere il sistema più equo e progressivo. Su questo punto però dovrà trovare un’intesa poltica con la Lega, sempre più decisa a fare da stampella a Draghi nel nuovo esecutivo.
M5s, Salvini, Pd, Renzi: chi ha vinto e chi ha perso con il governo Draghi
Cosa vuole fare Draghi con ristori, scuola e bonus
Nella bozza illustrata alle forze politiche si parlava delle emergenze del paese: la salute, il fisco, l'istruzione, gli investimenti. E si mettevano nel mirino ristori e bonus: «Gli incentivi - è uno dei suoi capisaldi - devono creare nuovi lavori, non salvare quelli vecchi». Così come il sostegno pubblico alle aziende non può che essere mantenuto e rafforzato durante una stagione di stagnazione prolungata, ma non per quelle destinate comunque a fallire. Il nuovo governo dovrà invece modificare il diritto fallimentare per rendere più veloci le ristrutturazioni aziendali.
Poi c'è il tema del lavoro e delle pensioni. L'intenzione di Draghi è quella che ha spiegato nei suoi tanti interventi pubblici sul tema, ovvero cambiare radicalmente il welfare spostando il focus dall'attuale protezione dopo il ritiro dal lavoro a una riforma degli ammortizzatori sociali che garantisca una protezione universale con formazione continua del lavoratore. Si parla anche di parità salariale tra uomini e donne, di salario minimo legale e di equo compenso. E di "differenziazione per settori delle forme di protezione", ovvero un tema molto "draghiano".
E quota 100? nelle Considerazioni finali dei suoi anni alla guida della Banca d'Italia il premier incaricato parlava di allungare la vita lavorativa per garantire un tenore di vita adeguato agli anziani di domani. Un indizio chiaro delle sue intenzioni. Ma poi si anticipa anche che Draghi vuole introdurre un sistema di flessibilità di uscita (pensioni flessibili) attraverso il rafforzamento degli istituti come Opzione Donna e Ape Social per le categoire disagiate o impegnate in occupazioni più pesanti. Ebbene, negli argomenti si tratta dello stesso solco nel quale si stava muovendo il governo Conte bis con la ministra del Lavoro Catalfo e i sindacati prima della sua caduta. Ma magari sarà la declinazione degli interventi ad essere diversificata.
Sul reddito di cittadinanza Draghi ha intenzione di mantenere il sussidio per una semplice ragione: toglierlo costituirebbe una misura pro-ciclica e causerebbe danni sociali. Anzi, lo stesso Draghi ha detto a Beppe Grillo durante le consultazioni che intende "rafforzarlo". D'altro canto non è mai stato contrario a sussidi per i meno abbienti e da economista, ha elaborato negli anni un’intera visione della società contemporanea, dei problemi che la affliggono e degli strumenti per migliorarla che è ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa. Sul Financial Times un anno fa aveva parlato della necessità di "fornire un reddito di base a chi perde il lavoro". Ma il premier incaricato intende però rivedere tutta la parte che riguarda le politiche attive di ricerca del lavoro che riguarda Anpal, centri per l'impiego e Navigator.
Tasse, Irpef, Partite Iva, pensioni: il programma di Draghi
Ultimo punto, connesso al Recovery, "tre grandi riforme: pubblica amministrazione, giustizia civile e fisco". Sul punto della giustizia civile, Emma Bonino ha riferito di aver sottoposto a Draghi anche il tema della giustizia penale e delle carceri: "Il presidente incaricato ha fatto riferimento a tre riforme di fondo che sono quelle che ci chiede la Commissione europea: il fisco, la burocrazia e la giustizia. Da questo punto di vista abbiamo aggiunto non solo la giustizia amministrativa, civile, ma anche quella penale con l'addentellato drammatico della situazione delle carceri italiane". E le tasse? "Nessuna nuova tassa, nemmeno occulta", ha detto Draghi durante le consultazioni scatenando così l'approvazione del centrodestra e consentendo a Matteo Salvini di dirsi soddisfatto per l'incontro con il premier incaricato.
Draghi assicura di non avere nessuna intenzione di varare una patrimoniale ma vuole toccare il cuneo fiscale a beneficio dei lavoratori che guadagnano meno di 40mila euro l'anno e della fascia successiva insieme alle imprese con la rimodulazione degli oneri e forme di incentivazione delle assunzioni. Secondo Il Messaggero tra le idee di Draghi c'è quella di includere nell'Irpef alcuni redditi tassati a parte come quelli da capitale. Promette anche di affrontare il tema dello smaltimento degli avvisi, ma a quanto pare senza condoni. Pensa anche alla tassazione della CO2, visto che a giugno scatterà la direttiva europea sull’imposizione dei prodotti energetici con indicazioni di aliquote, accise e target temporali. In Europa a breve arriverà il “Carbon border adjustment mechanism”, un sistema che graverà i prodotti importati con alto tasso di CO2 di aliquote più alte ma garantirà anche un discreto gettito. Poi ci sono i 104,6 miliardi di evasione da aggredire, secondo una promessa che fanno tutti i governi (sarà la volta buona?).
Infine c'è la Pubblica Amministrazione, il cui ministro nominato è quel Renato Brunetta per il quale si tratta di un ritorno in grande stile dopo la guerra ai presunti "fannulloni". In un intervento del 15 luglio 2010 da governatore della Banca d’Italia, Draghi elogiava la recente riforma della Pa firmata da Renato Brunetta che - si legge - “si caratterizza per l’ampiezza dell’intervento e la rilevanza dei principi ispiratori: trasparenza, premialità selettiva attraverso il collegamento tra retribuzione e performance, controllo dei risultati anche attraverso forme di benchmarking. Le ricadute sulla qualità dell’azione amministrativa - avvertiva però Draghi - dipenderanno tuttavia dal modo in cui tali principi troveranno concreta attuazione”. Trasparenza. Controllo dei risultati. Collegamento tra retribuzione e produttività. E ancora. “Sono necessarie riforme strutturali che pongano il nostro sistema produttivo nelle condizioni migliori per poter cogliere le opportunità che saranno offerte dalla ripresa economica mondiale” spiegava ancora Draghi.
“In Italia, gli oneri amministrativi e burocratici per l’attività di impresa sono elevati nel confronto internazionale; i recenti interventi sull’avvio d’impresa vanno nella giusta direzione, necessitano di essere rafforzati e accompagnati da ulteriori misure che migliorino l’efficienza degli uffici pubblici. Gli ampi divari di performance riscontrati tra le diverse strutture pubbliche segnalano la possibilità di rilevanti guadagni di efficienza per le imprese, qualora tutte le amministrazioni adottassero le pratiche migliori. Gli adempimenti a carico del settore produttivo incidono su molti aspetti della competitività delle imprese: la natalità, le dimensioni, la produttività. I tempi e i costi di tali adempimenti presentano un’elevata variabilità territoriale: sulla base di un’indagine condotta dalla Banca d’Italia (replicando su base regionale il confronto internazionale effettuato dalla Banca Mondiale) per avviare un’impresa ci volevano in media 12 giorni nell’area più “veloce” e oltre 27 in quella più “lenta”; i costi potevano variare dal 13 per cento del reddito pro capite a quasi il 30. Le recenti riforme hanno ridotto significativamente i tempi - aggiungeva Draghi -, producendo miglioramenti maggiori nelle aree più lente”. E tuttavia “ampie differenze territoriali si riscontrano anche per le procedure relative all’ottenimento di permessi di costruzione e al trasferimento di proprietà immobiliari”.
Insomma, secondo Draghi i ritardi della macchina pubblica sono una palla al piede che ostacola la crescita. Per questo c’è la necessità di rendere il sistema efficiente da nord a sud e ridurre i divari territoriali. In un altro intervento del 26 novembre 2009, Draghi spiegava in particolare che “svolgere un’attività produttiva in Italia è spesso più difficile che 4 altrove, anche per la minore efficacia della Pubblica amministrazione; nel Mezzogiorno queste difficoltà si accentuano”.
Mario Draghi e la riforma della pubblica amministrazione
Ma per capire le idee di Draghi in materia di Pa dobbiamo rifarci ad un altro documento, ovvero le “Considerazioni finali” all’assemblea ordinaria di Banca d’Italia del maggio 2010. Nel testo il governatore spiega che “la gestione del turnover nel pubblico impiego e i tagli alle spese discrezionali dei ministeri recentemente decisi dal Governo devono fornire l’occasione per ripensare il perimetro e l’articolazione delle amministrazioni, per razionalizzare l’allocazione delle risorse, riducendo sprechi e duplicazioni tra enti e livelli di governo. Occorre un disegno esteso all’intero comparto pubblico, che accompagni le iniziative già avviate per aumentare la produttività della pubblica amministrazione attraverso la valutazione dell’operato dei dirigenti e dei risultati delle strutture”. Insomma, tirando le somme si può dedurre che Draghi è favorevole ad un meccanismo che premi i dipendenti più meritevoli. E anche i dirigenti dovranno essere valutati in base ai risultati ottenuti.
“Il federalismo fiscale - spiegava Draghi - deve aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse. Solo un vincolo di bilancio forte, accompagnato dalla necessaria autonomia impositiva, può rendere trasparente il costo fiscale di ogni decisione e responsabilizzare i centri di spesa. La definizione dei costi e dei fabbisogni standard a cui saranno commisurati, con la necessaria componente di solidarietà, i trasferimenti statali dovrà fare riferimento alle migliori pratiche”. In un altro passaggio il governatore della Banca d’Italia sottolineava la necessità per ciascun ente di “mantenere il proprio bilancio in pareggio, al netto degli investimenti, come previsto dall’articolo 119 della Costituzione; l’ammontare complessivo della spesa locale per investimenti andrà fissato per un periodo pluriennale, in coerenza con gli obiettivi di indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche”.
(Ha collaborato Antonio Piccirilli)