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Mercoledì, 24 Aprile 2024
L'intervista

Guerra e caro energia: 1,4 milioni di posti di lavoro a rischio

"Circa 184mila imprese sarebbero esposte a un rischio tale da pregiudicare la propria attività operativa" spiega a Today Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative. "Danneggiate intere filiere produttive"

Altro che ripresa, l'economia italiana si trova ad affrontare una situazione drammatica: agli effetti avversi della pandemia Covid si vanno ad aggiungere quelli della guerra in Ucraina e della fiammata dei prezzi dell’energia. Tutto questo potrebbe tradursi in una nuova ondata di licenziamenti che andrebbe a polverizzare 1,4 milioni di posti di lavoro, visto che 184.000 imprese sono a rischio fallimento. L'allarme è stato lanciato da Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, principale organizzazione di rappresentanza del movimento cooperativo e delle imprese sociali italiane. "È un’economia di guerra e occorrono misure di guerra" ha dichiarato. Quali sono i settori più esposti al rischio default? Cosa si può fare per evitare il collasso di queste aziende che sono una fetta importante della nostra economia? A queste e ad altre domande ha risposto il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, in un’intervista esclusiva a Today.

Quali saranno gli effetti del caro energia sul Pil italiano nel 2022?

"Secondo l’ultimo focus Censis-Confcooperative la fiammata dell’energia prima causata dalla crisi provocata dalla guerra rischia di incenerire 3% del Pil nel 2022. Un macigno che potrebbe mandare in default 184.000 imprese. Per il caro energia il Fondo monetario internazionale (FMI), nel periodo prebellico, aveva stimato una contrazione del Pil pari all’1,5% a cui vanno aggiunti gli effetti della guerra che rischiano di costarci almeno un altro 1,5% di Pil tra rincari delle materie prime, difficoltà negli approvvigionamenti, mancato export verso la Russia, chiusura dei flussi turistici e peggiorate condizioni per la circolazione delle merci".

Quali i settori più colpiti?

"Molti. Dall’agroalimentare al welfare al trasporto sono alla canna del gas: pensiamo al lattiero caseario, alla pesca, all’ortofrutta, al trasporto merci e persone, alle manifatture, all’assistenza socio sanitaria. I rincari colpiscono tutti i settori con un’incidenza maggiore per quelli energivori. Ma dall’agroalimentare ai trasporti non si salva nessuno, a essere danneggiate sono intere filiere con ripercussioni a catena. Il 30% delle imprese italiane - oltre 285mila, di cui 221mila imprese del terziario - non è in grado di recuperare i livelli di capacità produttiva precedenti la pandemia".

Quanti posti di lavoro sono a rischio?

"Sono a rischio 184.000 imprese con almeno 3 addetti. Maggiore l’incidenza del rischio fra le imprese dei servizi (20,5%) e fra le piccole (21,3% nella classe 3-9 addetti). In base alle previsioni sul primo semestre 2022, circa 184mila imprese sarebbero esposte a un rischio tale da pregiudicare la propria attività operativa. Occupano poco meno di 1,4 milioni di addetti (il 10,5% sul totale) e rappresentano il 10,9% del valore aggiunto del sistema produttivo".

Cosa è possibile fare per evitare il collasso di migliaia di imprese. I ristori potrebbero bastare?

"Noi abbiamo proposto di permettere alle imprese di compensare i rincari con i crediti che vantano nei confronti della Pubblica amministrazione, circa 60 miliardi. La liquidazione potrà essere rimandata a un accordo tra Stato, Cdp, società energetiche e municipalizzate. Questo sarebbe particolarmente utile per la disponibilità di cassa delle imprese che si stanno indebitando per pagare la bolletta elettrica triplicata rispetto allo scorso anno".

Perché le imprese faticano a trovare personale qualificato?

"Il mismatching (mancanza di corrispondenza, ndr) tra domanda e offerta di lavoro nel 2021 ha bruciato l'1,2% di Pil e continua a pesare nel 2022 per quasi 200.000 imprese. Un fenomeno che interessa il 20% delle imprese italiane (184mila), con almeno 3 addetti. Nell’industria l’incidenza sale al 23,1% (poco meno di 67mila) e nelle costruzioni raggiunge il 27,3% (circa 30mila). Per colmare questo divario è necessario riorientare alcuni percorsi formativi, così come è stato fatto in Germania con gli istituti tecnici superiori".

Maurizio Gardini presidente di Confcooperative foto ansa-2

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