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Giovedì, 28 Marzo 2024
Effetto domino

La guerra in Ucraina riporta in tavola l'olio di palma: costa poco e i difetti scompaiono

Dopo anni di crociate per le conseguenze del suo uso, sia per l'ambiente sia per la salute, torna a essere impiegato. Lolio di girasole - che lo aveva soppiantato - è prodotto nei Paesi coinvolti nel conflitto e scarseggia. Quindi si torna indietro. Cosa sta succedendo

Demonizzato e (quasi) messo al bando prima, rivalutato e riscoperto oggi. Parliamo dell'olio di palma. Dopo anni di crociate per le conseguenze del suo uso sia per l'ambiente sia per la salute e dopo averne drasticamente ridotto il consumo, l'olio di palma torna sulle nostre tavole in modo più o meno dichiarato. Da un lato ci sono stati gli sforzi per una produzione da filiera sostenibile, dall'altro c'è la guerra in Ucraina. Con il conflitto l'olio di girasole - che lo aveva soppiantato - scarseggia e costa caro quindi si torna indietro. Capiamo meglio cosa sta succedendo.

Cosa è l'olio di palma

L'olio di palma è un olio vegetale. Nella sua forma grezza si ricava dalla polpa dei frutti della palma, a differenza del palmisto che si ricava dal nocciolo del frutto. Successivamente, subisce un processo di raffinazione che ne migliora le caratteristiche organolettiche e la stabilità. Infine, a seconda del campo in cui viene utilizzato, può essere sottoposto a un’ulteriore lavorazione.

Si trova in moltissimi alimenti ((biscotti, brodi e zuppe, dolciumi, creme spalmabili, torte, grissini, brioche e alcuni piatti pronti), ma anche nei prodotti per l’igiene personale (detergenti, saponi) e persino in oggetti di metallo, plastica, gomma, così come in processi per la produzione di tessuti, vernici, carta e componenti elettronici. L’olio di palma viene ampiamente utilizzato anche per la produzione di biodiesel.

L'olio di palma e i potenzlali pericoli per la salute

L'olio di palma e quello di palmisto contengono elevate quantità di acidi grassi saturi, che sono nocivi per la salute di arterie e cuore. Tutto però dipende dalla quantità che se ne assume. Uno studio pubblicato nel 2016 dall'Efsa  (Autorità europea per la sicurezza alimentare) segnala anche che a temperature superiori ai 200°C questi olii sviluppano sostanze che, ad alte concentrazioni, sono genotossiche cioè possono mutare il patrimonio genetico delle cellule. L'Efsa non ha mai chiesto il bando dell'olio di palma perché è difficile che concentrazioni pericolose siano raggiunte con la normale alimentazione. Anche altri olii vegetali sviluppano le medesime sostanze nocive, anche se in concentrazioni minori, con effetti negativi per altri aspetti della salute.

"In realtà - puntualizzano dall'Unione italiana olio di palma sostenibile - è errato affermare che l’olio di palma non sia sano. Nessuna autorità nazionale e internazionale ha mai definito l’olio di palma dannoso per la salute ne tantomeno ne ha mai vietato o sconsigliato l’impiego. L’olio di palma contiene il 50% di grassi saturi – tanto quanto il burro, molto meno del burro di cacao e dell’olio di cocco, che nessuno demonizza - il resto sono grassi insaturi, principalmente acido oleico, che è lo stesso contenuto nell’ottimo olio di oliva. Gli esperti sono concordi nel dire che l’apporto complessivo di grassi saturi non dovrebbe superare il 10% delle calorie giornaliere. Teniamo conto che la fonte principale di grassi saturi in Italia è data da carni, latte e derivati e olio di oliva (perché ne consumiamo molto e anche esso contiene grassi saturi). Oggi sono stati regolamentati a livello comunitario dei limiti di sicurezza per tutti gli oli vegetali, perché il potenziale rischio era stato identificato dall’Efsa per tutti gli oli vegetali, non solo per l’olio di palma. Tali limiti di legge di fatto garantiscono che tutti i prodotti in commercio che contengono oli vegetali siano assolutamente sicuri per il consumatore".

L'olio di palma e la sostenibilità ambientale

Per produrre tutto l'olio di palma necessario all'industria, i Paesi produttori hanno sacrificato altri tipi di colture e talvolta anche abbattuto foreste tropicali per far spazio alle palme. Innegabile il grave problema ecologico innescato nel Sud Est asiatico. esi come Indonesia, Cambogia e Malesia stanno perdendo un patrimonio forestale unico e con esso la biodiversità dell'area. Inoltre i contadini più poveri convertono le loro colture in palme da olio, più redditizie ma poco utili per nutrire adeguatamente le popolazioni locali.

Secondo il rapporto di Greenpeace Final countdown (settembre 2018) dalla fine del 2015 altri 130.000 ettari di foresta sono stati distrutti, il 40% dei quali in Papua, una delle regioni più ricche di biodiversità del Pianeta. Secondo l'associazione ambientalista sono 193 le specie in grave pericolo di estinzione, minacciate e vulnerabili a causa della produzione indiscriminata di olio di palma. In soli 16 anni (1999 – 2015) abbiamo perso la metà degli oranghi del Borneo e più di tre quarti del parco nazionale di Tesso Nilo, che ospita tigri, oranghi ed elefanti, è stato trasformato in piantagioni illegali di palma da olio.

C'è anche un altro problema denunciato dagli ambientalisti. "Per far spazio alla palma da olio - dicono da Greenpeace - il terreno delle torbiere viene drenato scavando un reticolo di canali usati prima per il trasporto dei tronchi di valore commerciale rimossi dalla foresta e poi per far defluire l’acqua e prosciugare il suolo. La torba residua viene quindi bruciata, nonostante questa pratica sia vietata. La distruzione delle torbiere da parte dell’industria dell’olio di palma e del settore della carta è ormai riconosciuta come la causa principale degli incendi che ogni anno colpiscono le foreste dell’Indonesia".

"Negli ultimi anni  - precisano dall'unione italiana olio di palma sostenibile - sono stati fatti moltissimi progressi nello sviluppo della filiera dell’olio di palma sostenibile, che per diversi motivi rappresenta la migliore e unica vera alternativa all’olio di palma ed è una risorsa chiave per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Attualmente oltre il 95% dell’olio di palma utilizzato dall’industria alimentare italiana proviene da filiere sostenibili e certificate".

Dal report sullo "Stato di avanzamento: il ruolo dell’Europa nel guidare l’olio di palma sostenibile di IDH (The Sustainable Trade Initiative) ed EPOA (European Palm Oil Alliance)" emerge che il 90% delle importazioni europee di olio di palma per alimenti, mangimi e prodotti chimici sono certificati RSPO e che il mercato dell’olio di palma sta cambiando. Se a livello globale il consumo di olio di palma è cresciuto, l’uso di olio di palma in Europa è diminuito (8,3 milioni di TM nel 2020, un calo dell’1% rispetto al 2019), perché alcune aziende evitano del tutto l’uso dell’olio di palma a causa della sua reputazione negativa e dell’attrattiva dei prodotti senza olio di palma. Mentre la domanda e l’utilizzo in altri Paesi (in particolare in Asia) è in aumento. La certificazione ISPO copre il 42% della superficie di produzione di olio di palma dell’Indonesia (13,3 milioni di ettari), MSPO il 98% della superficie di produzione di olio di palma della Malesia (5,2 milioni di ettari), mentre RSPO copre il 18% dei 23,5 milioni di ettari di area di produzione mondiale di olio di palma".

L'olio di palma messo al bando

I pericoli per la salute da un lato e il danno ambientale dall'altro hanno innescato una campagna contro l'olio di palma. L'uso è calato drasticamente  Molte industrie hanno modificato i propri processi produttivi. Alcune hanno promesso di utilizzare solo olio di palma proveniente da coltivazioni rispettose dell'ambiente, ovvero ottenute da aree già piantate a palme, altre hanno cercato valide alternative. Tra queste c'è olio din semi di girasole. I maggiori produttori sono Ucraina e Russia. Con lo scoppio della guerra, il 24 febbraio scorso, le produzioni e le esportazioni sono diventate complesse.

Cosa c'entra la guerra in Ucraina con l'olio di palma

L'Ucraina è il maggior produttore ed esportatore di grano, cereali e olio di semi di girasole. Quando la Russia ha aperto le ostilità, il 24 febbraio scorso, ha innescato un effetto domino. L'Ucraina martoriata dal conflitto non produce e non esporta. Quel che si poteva commercializzare è rimasto bloccato nei porti. Se non esporta non guadagna e cade in una spirale di povertà, dall'altro altro chi avrebbe dovuto comprare si ritrova senza forniture. Quel poco prodotto che c'è costa caro per le elementari leggi di domanda-offerta. Cosa succede quindi? Si devono trovare alternative. L'olio di girasole era il principale sostituto dell'olio di palma. Mancando si torna indietro. E tutti i motivi che avevano portato all'ostracismo verso l'olio di palma scompaiono. Devono scomparire. Ecco allora che il prodotto ha una "seconda vita".

L'olio di palma torna nel nostro carrello della spesa

L'olio di palma è stato riammesso. Una circolare emanata in primavera dal ministero dello Sviluppo Economico autorizza l’industria alimentare nostrana a sostituire l’olio di semi di girasole, bloccato in Ucraina a causa della guerra, con altre alternative vegetali, come l’olio di palma.

 "L’Ucraina - si legge - detiene il 60% della produzione e il 75% dell’export e rappresenta il principale coltivatore di girasoli al mondo. Entro un mese, con l’attuale andamento dei consumi, le scorte di olio di semi di girasole sono destinate ad esaurirsi. La situazione potrebbe inoltre complicarsi ulteriormente, se il conflitto dovesse proseguire, perché salterebbe la semina, prevista in primavera. Secondo le stime attuali, entro breve termine, questo olio non sarà più disponibile e le imprese dovranno quindi riformulare i propri prodotti. Oltre al problema dell’approvvigionamento e dell’individuazione e impiego dei possibili sostituti, è necessario individuare soluzioni per risolvere il problema delle etichette, che andrebbero aggiornate riportando gli ingredienti che sostituiscono l’olio di semi di girasole, in conformità al regolamento UE 1169/2011. Visto che le etichette e gli imballaggi ordinati e utilizzati dalle imprese riportano tra gli ingredienti 'olio di girasole', tenuto conto della difficoltà a provvedere in tempi rapidi alla stampa di nuove etichette e dei relativi costi, e in considerazione della complessità del quadro attuale, è necessario individuare una soluzione che presenti alti profili di sicurezza per i consumatori ed al tempo stesso non gravi eccessivamente sui produttori in un momento di grande criticità per il settore. Pertanto, transitoriamente, in vista dell’adeguamento progressivo delle etichette, i produttori, nel rispetto della sicurezza e della corretta informazione dei consumatori potranno prevedere l’introduzione, attraverso il getto d’inchiostro o altri sistemi equivalenti (sticker adesivi), di una frase che indichi quali oli e/o grassi siano stati impiegati in sostituzione dell’olio di girasole, segnalando
l’eventuale presenza di allergeni".

I Paesi produttori di olio di palma stanno cogliendo l'opportunità di riconquistare quote di mercato. La Malaysia ha confermato la sua volontà di soddisfare l’aumento della domanda. Alcune aziende alimentari sono tornate ad acquistare olio di palma a condizione che i produttori non distruggano le foreste e garantiscano buone condizioni di lavoro. Attualmente, però, solo un quinto dell’olio di palma prodotto in tutto il mondo ha la certificazione di sostenibilità. Una catena pericolosa per tutti che lega Russia e Ucraina al Paesi ben lontani ma anche alle nostre abitudini e al nostro carrello della spesa. 

L'importanza di scegliere olio di palma sostenibile

Mauro Fontana, presidente dell'Unione italiana olio di palma sostenibile, ha sottolineato l'importanza di non vanificare "i notevoli risultati ottenuti grazie all’impegno della filiera domestica, che è riuscita ad orientare le produzioni e gli approvvigionamenti di olio di palma certificato sostenibile sul mercato italiano. Ci auguriamo - ha sottolineato - che gli approvvigionamenti di olio di palma siano rivolti esclusivamente alla sua versione certificata sostenibile, che ad oggi rappresenta la migliore e principale alternativa all’olio di palma convenzionale, sia in termini di sostenibilità ambientale che sociale. I risultati preliminari di uno studio condotto dal CMCC – Centro Euro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici, mostrano per esempio che l’olio di palma sostenibile contribuisce a emissioni dirette ed indirette di GHG (Gas Effetto Serra) da 2,5 fino a 6 volte più basse rispetto agli oli vegetali alternativi (olio di palma convenzionale, soia, colza, girasole). Ad oggi in Italia, nel solo mercato alimentare, almeno il 95% di olio di palma importato è certificato sostenibile secondo standard di certificazione internazionali, come quelli promossi da RSPO, che non contemplano, per esempio, la deforestazione tra le pratiche di coltivazione".

Per Fontana "Si tratta di un risultato che pone l’Italia come capofila nell’approvvigionamento di olio di palma sostenibile in Europa. Confidiamo che questo percorso virtuoso non venga interrotto, nonostante il momento di estrema complessità ed incertezza, a tutela della crescente consapevolezza dei consumatori  nel rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile. L’olio di palma è l’olio più utilizzato al mondo, e spazia dalla cosmesi ai prodotti per l’igiene quotidiana (saponi, shampoo, detersivi, …), ai prodotti alimentari. Tutti prodotti di largo consumo di uso quotidiano che trovano ampio spazio sugli scaffali dei nostri supermercati. In questa particolare congiuntura l’olio di palma certificato sostenibile si dimostra una risorsa chiave per mantenerli ben assortiti in modo responsabile".

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