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Martedì, 23 Aprile 2024

Alessandro Rovellini

Direttore responsabile

Inpgi: tutto cambia perchè nulla cambi

Prolungare a dismisura l’agonia di un malato con il destino segnato. Poche immagini, forse, descrivono meglio quello che in queste settimane sta accadendo intorno all’Inpgi, la cassa previdenziale dei giornalisti in pesante rosso da anni. Il nodo è semplicissimo: giornali in crisi, pochi nuovi ingressi di dipendenti, tante pensioni. Molte di queste, tra l’altro, pesantissime. E’ stato calcolato, infatti, che i giornalisti sono subito dopo i notai come importi tra professionisti e lavoratori: ad esempio, hanno ricevuto 51mila e 692 euro annui di pensione media nel 2017. Il reddito medio è di 66mila 684 euro, pari al 77,52% della pensione. Attenzione però: quello di un notaio è di 151mila 971 euro, per cui il rapporto fra pensioni e redditi è al 51,46%. Una bella differenza.

Il mondo online, seppur in crescita, fatica a mantenere in piedi gli enormi castelli di carta dei cartacei, che vivono in un ‘present continuous’ di riduzioni d’organico e prepensionamenti. L’ultima novità, datata 15 luglio, è l’istituzione di “una commissione tecnica” che affronti “i nodi della crisi strutturale dell’Inpgi”. “Questa è una buona notizia e noi siamo pronti a confrontarci con tutti gli attori del sistema in qualunque momento, tenuto conto della rilevanza istituzionale dell’attività che l’Inpgi svolge nel panorama della previdenza italiana”, ha detto la presidente Inpgi Marina Macelloni, commentando il via libera della commissione Bilancio della Camera all’emendamento al disegno di legge di conversione del decreto legge c.d. “Sostegni Bis”, che proroga al 31 dicembre la sospensione del commissariamento dell’Istituto.

Già, perchè di rinvio in rinvio, l’Inpgi non è stato commissariato. Cosa che ne decreterebbe di fatto la fine. La presidente ha ribadito che “qualunque soluzione si vorrà individuare per la stabilità dei conti dell’Inpgi non potrà prescindere da una seria analisi delle difficoltà e delle prospettive di rilancio dell’intera filiera dell’informazione, un settore che da troppo tempo subisce trasformazioni pesanti che hanno bloccato crescita, sviluppo e lavoro”. Parole di circostanza che vogliono dire tutto e niente. L’Inpgi spinge per far entrare nel proprio alveo i comunicatori: ovviamente loro non vogliono, poichè le rendite della previdenza giornalistica sono ormai pari a quelle pubbliche, e soprattutto perchè il risparmio stimato sarebbe di 20 milioni all’anno, ovvero una goccia rispetto agli oltre 200 milioni di buco dell’Istituto.

La soluzione c’è ed è sotto gli occhi di tutti: entrare nell’Inps, come in passato è avvenuto per altri enti. La cosa è invisa alla dirigenza Inpgi e soprattutto al sindacato dei giornalisti, l’Fnsi, che parla, come un mantra, di “indebolimento della professione giornalistica” qualora l’Inpgi venisse assorbito nell’Inps. Cosa c’entri la libertà di stampa, o il buon giornalismo, con la sostenibilità delle pensioni dei giornalisti è davvero arduo da capire. E viene da pensare che sia un solo un vacuo arroccamento verso lo status quo. Tanto che, in una piccata replica a Il Fatto sull’enorme mole di contributi non pagati e di crediti da riscuotere, la presidente Macelloni spiega meticolosamente i tecnicismi che non permettono di raggiungere queste somme, ma rimane in rumorosissimo silenzio sull’efficacia delle azioni dell’Istituto. “Non possiamo tuttavia non prendere atto dei rilievi della Corte dei conti su crediti ritenuti difficilmente recuperabili e sulla scarsa efficacia dell’ente previdenziale”, attacca Il Fatto. “Ricordiamo alla presidente Macelloni quanto scritto nel penultimo referto della Corte dei Conti: “Rispetto alla considerevole entità dei crediti in sofferenza, appare inadeguata l’azione di recupero avviata nel 2017 che, come si è detto, ha interessato un limitato importo dei medesimi (8 milioni). La stessa riduzione dello stock di crediti verso aziende editoriali rispetto all’anno precedente (-21,135 milioni) è da imputare a una massiccia opera di cancellazione, che ha interessato crediti per 38,833 milioni, più che all’azione di recupero svolta dalla Fondazione”. 

In questo quadro, mentre la Gestione sostitutiva è al collasso (i dipendenti, il cosiddetto Inpgi 1), la Gestione separata (Inpgi 2, ossia autonomi e free lance) gode di ottima salute. Così l’Inpgi 1 è “costretto a ripianare il deficit di bilancio attingendo alle risorse costituite dal proprio patrimonio”. Per fare questo sono stati attivati “alcuni interventi di dismissione parziale degli immobili presenti nel Fondo”. E tra questi “vi sono anche degli asset che garantiscono ottime potenzialità di sviluppo e rendimento, che sono particolarmente appetibili per il mercato”. Tradotto dal burocratese: i soldi dei giornalisti collaboratori andrebbero a finanziare le esigenze di cassa dei giornalisti dipendenti. Che, tra le altre cose, nei decenni hanno sempre goduto di maggior favore rispetto alla generalità dei lavoratori dipendenti iscritti all’Inps. Da qui le pensioni mastodontiche.

A chi critica la decisione, l’Inpgi risponde polemicamente a “taluni, frettolosi, osservatori” sottolineando come “non si tratti affatto di “sottrarre” risorse alla Gestione separata per “trasferirle” alla Gestione sostitutiva, quanto, più opportunamente, di mantenere nell’alveo del patrimonio dell’Istituto, invece che disperdere nell’ambito del mercato, quegli asset di particolare valore che sono in grado di apportare elevati rendimenti”. Ma tra gli autonomi vedere il proprio patrimonio eroso genera enorme malumore. Anche perchè si stima siano circa 900 i milioni de facto regalati negli anni agli editori proprio per le generose condizioni pensionistiche dei subordinati, mai recuperati. E qui l’Istituto tace. In silenzio come Tomasi Di Lampedusa, che “amava stare con le cose più che con le persone”. “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi”, scrisse. E visti i recenti movimenti mai citazione fu più attuale.

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