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Martedì, 16 Aprile 2024
ECONOMIA

Italia, la grande fuga dei giovani

Boom di espatri: via centomila giovani in cinque anni, in cerca di fortuna all'estero. E la crisi economica frena gli immigrati: nel 2012 gli ingressi sono stati 321mila (il calo è del 27%)

ROMA - C'era una volta in cui gli italiani, con la valigia di cartone in mano e tante speranze nel cuore, partivano per terre lontane alla ricerca di qualsiasi tipo di lavoro per sbarcare il lunario. C'è un oggi, invece, in cui tanti nostri connazionali lasciano il Belpaese con l'iPad nello zainetto e una laurea in tasca - con specializzazioni e master annessi - per trovare un'occupazione all'altezza dei propri titoli di studio.

LA FUGA DEI CENTOMILA - Corsi e ricorsi storici. Mai così tanti italiani, negli ultimi dieci anni, avevano lasciato l'Italia per cercare fortuna all'estero. Un sistema, quello italiano, che non attrae più nemmeno l'immigrazione, se si confrontano i numeri di stranieri in arrivo nel nostro Paese con quelli di cinque anni fa. La fotografia scattata dall'Istat - riferita a dati del 2012 - è impietosa: la ripresa economica è in salita, le famiglie sono sempre più in difficoltà. E poi c'è l'emorragia di giovani, i nuovi emigranti. Le difficoltà sul mercato del lavoro hanno spinto a cercare nuove opportunità al di là dei confini dell'Italia: nel 2012 hanno lasciato il Paese oltre ventiseimila giovani tra i 15 e i 34 anni, 10 mila in più rispetto al 2008. Negli ultimi cinque anni, sono stati quasi 100 mila ad abbandonare il nostro Paese. La crisi ha frenato anche gli immigrati: nel 2012 gli ingressi sono stati 321mila, -27,7% rispetto al 2007. In aumento, invece, il numero di stranieri che se ne vanno (+17,9%) ed è un vero e proprio boom di italiani che cercano fortuna all'estero. Nel 2012 - ha fatto sapere l'Istat - gli emigrati sono stati 68 mila, il 36% in più del 2011, «il numero più alto in 10 anni».

IL LAVORO CHE NON C'E' - Anche per il lavoro è stato un anno difficile: sono stati bruciati 478 mila posti, il record (negativo) dall’inizio della crisi. Contemporaneamente, la disoccupazione ha proseguito la sua crescita, dal 10,7% del 2012 fino al 12,2%. Sull’occupazione pesano l’industria e, soprattutto, le costruzioni: -9,3%. La diminuzione dell’occupazione ha riguardato soprattutto i contratti a termine e i giovani: il tasso tra i 15 e i 24 anni è salito del 4,5% in 12 mesi, fino a quota 40%. Secondo il rapporto diffuso il 28 maggio, inoltre, nel nostro Paese tra disoccupati e persone che vorrebbero lavorare si contano 6,3 milioni di senza posto. Nel 2013, ai tre milioni e 113 mila di disoccupati si sono aggiunte tre milioni e 205 mila forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro.

SCORAGGIATI E "NEET" - Si arriva così a oltre sei milioni di individui che l'Istat nel rapporto annuale ha definito «potenzialmente impiegabili». In aumento pure gli scoraggiati (1 milione 427 mila). Guardando ai giovani, nel 2013 tra i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che né lavorano né studiano, i cosiddetti Neet sono 2 milioni 435 mila, in aumento di 576 mila rispetto al 2008. Alzando l'asticella agli under 35, l'Istat ha fatto notare come nei cinque anni di crisi gli occupati in questa fascia d'età siano scesi di 1 milione 803 mila. E se «crescono gli occupati di 50 anni e più», soprattutto per effetto dell'inasprimento dei requisiti di pensionabilità, tuttavia «crescono anche coloro che vorrebbero lavorare e non trovano lavoro». Se infatti, ha spiegato l'Istat, «si considera l'insieme di disoccupati e forze lavoro potenziali, sono oltre un milione le persone di 50 e più che vorrebbero lavorare ma non trovano una collocazione».

NON SI CRESCE - Sul versante della crescita, l'Istat registra che nel 2013 il Pil è sceso dell’1,9%, sotto i livelli del 2000, e, malgrado il debole segnale del quarto trimestre, l’anno ha preso il via con una doccia fredda . Giù anche i consumi, per il terzo anno consecutivo (-2,6%), e il potere d’acquisto, in calo dell’1,1%. Sempre a livello macroeconomico, l’istituto ha  tratteggiato il buon andamento delle esportazioni (+0,1%), una flessione delle importazioni e un'inflazione in netto calo: nella media del 2013, il tasso di crescita dell’indice nazionale dei prezzi al consumo si è più che dimezzato. Può bastare a far aprire gli occhi ai politici?

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