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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

"Lavorano in pochi e troppo": un paradosso tutto italiano

In Italia si creano pochi posti di lavoro, i giovani sono destinati ad un futuro da camerieri e chi ha la fortuna di avere un'occupazione lavora troppo, con conseguenze negative sulla salute. Sono soltanto alcune anomalie che emergono dal Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale

“Lavorare pochi, lavorare troppo”: questo in sintesi il concetto che emerge dallo studio dal 2° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato con il contributo di Credem, Edison, Michelin e Snam. Un paradosso tutto italiano, che prende forma a causa di diversi fattori, che insieme hanno reso lo Stivale il fanalino di coda dell'Unione europea in merito ai livelli occupazionali. In Italia diminuisce la creazione di posti di lavoro, crescono le ansie e le preoccupazioni legati alla propria occupazione e quei pochi che hanno la fortuna di avere un posto stabile lavorano troppo, con le ovvie conseguenze sulla salute. Un quadrogià critico che si ripercuote soprattutto sui giovani e sulle loro prospettive future.

Lavoro, Italia fanalino di coda dell'Ue

L'analisi del Censis parte da un primo dato sconfortante: negli ultimi dieci anni (2007-2017) il numero di occupati in Italia è diminuito dello 0,3%, è invece aumentato in Germania (+8,2%), Regno Unito (+7,6%), Francia (+4,1%) e nella media dell'Unione europea (+2,5%). Nel Sud il tasso di occupazione è pari al 34,3% (2,9 punti percentuali in meno di differenza rispetto al 2007), al Centro è al 47,4% (lo 0,4% in meno), nel Nord-Ovest al 49,7% (l'1,1% in meno), nel Nord-Est al 51,1% (l'1,3% in meno). Non solo creiamo meno lavoro degli altri Paesi, ma ne distruggiamo di più proprio dove ce n'è di meno: il Mezzogiorno.

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“Giovani destinati a fare i camerieri”

Pessime notizie anche per i giovani. Secondo l'indagine del Censis per loro si prospetta un futuro da camerieri, mentre gli 'anziani' sono concentrati nella Pa. Vent'anni fa, nel 1997, i giovani di 15-34 anni rappresentavano il 39,6% degli occupati, nel 2017 sono scesi al 22,1%. Le persone con 55 anni e oltre erano il 10,8%, ora sono il 20,4%. I lavoratori 'anziani' hanno un'alta presenza nella pubblica amministrazione (il 31,6% del totale, con una differenza di 13,5 punti percentuali in più rispetto al 2011) e nei settori istruzione, sanità e servizi sociali (il 29,6%, il 7,4% in più). I millennial invece sono più presenti nel settore alberghi e ristoranti (39%) e nel commercio (27,7%).

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Busta paga, aumenta la differenza tra operai e dirigenti

Ai livelli occupazionali lontani dalla media europea si va ad aggiungere anche un altro fattore da non sottovalutare: la 'forbice' sempre più ampia tra le buste paga di ceto medio impiegatizio e degli operai, sempre più lontane da quelle dei dirigenti. Rispetto al 1998, nel 2016 il reddito individuale da lavoro dipendente degli operai è diminuito del 2,7% e quello degli impiegati si è ridotto del 2,6%, mentre quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%. 

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Nel 1998 il reddito da lavoro dipendente di un operaio era pari al 45,9% di quello di un dirigente ed è diminuito al 40,9% nel 2016. Quello di un impiegato era il 59,9% di quello di un dirigente e si è ridotto al 53,4% nel 2016. Le retribuzioni da lavoro dipendente degli impiegati sono sempre più schiacciate su quelle degli operai e sempre più distanti da quelle dei dirigenti.

Calo del benessere? La risposta è il welfare aziendale

La riduzione del benessere dei lavoratori trova una risposta nel welfare aziendale. Da una indagine su 7.000 lavoratori che beneficiano di prestazioni di welfare aziendale risulta che l'80% ha espresso una valutazione positiva, di cui il 56% ottima e il 24% buona. Tra i desideri dei lavoratori, al primo posto c'è la tutela della salute con iniziative di prevenzione e assistenza (42,5%), seguono i servizi di supporto per la famiglia (servizi per i figli e per i familiari anziani) (37,8%), le misure di integrazione del potere d'acquisto (34,5%), i servizi per il tempo libero (banca delle ore e viaggi) (27,3%), i servizi per gestire meglio il proprio tempo (soluzioni per risolvere incombenze burocratiche e il disbrigo delle commissioni) (26,5%), infine la consulenza e il supporto per lo smart working (23,3%).  

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"La ricerca condotta dal Censis con Eudaimon evidenzia, un po' a sorpresa rispetto al pessimismo dilagante, che ci sono le condizioni migliori per fare del welfare aziendale la leva con cui coinvolgere i collaboratori, far convergere i loro interessi con quelli dell'impresa e creare una comunità al lavoro. Si può andare molto al di là dei risparmi fiscali e puntare dritti a più produttività e più benessere", ha detto Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon.

Chi lavora, lavora sempre di più

Tornando a quanto detto ad inizio articolo, il vero paradosso è rappresentato dallo sbilanciamento chi lavora troppo poco (o per niente) e chi lavora invece sempre di più. Il 50,6% dei lavoratori afferma che negli ultimi anni si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità. Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni lavorano di domenica e nei giorni festivi, 4,1 milioni lavorano da casa oltre l'orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni lavorano oltre l'orario senza il pagamento degli straordinari.

Aumenta lo stress da troppo lavoro

E il troppo lavoro sta cambiando anche la qualità della vita, in peggio, ad almeno 5,3 milioni di persone. Gli effetti patologici dell'intensificazione del lavoro sono rilevanti, spiegano gli autori del Rapporto. A causa del lavoro, 5,3 milioni di lavoratori dipendenti provano i sintomi dello stress (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi (per gli hobby, lo svago, il riposo), 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo.

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Cgil: “In Italia occupati meno di 6 residenti su 10”

A testimoniare la condizione terribile che sta attraversando il mercato del lavoro italiano è arrivato anche il Rapporto FDV Cgil dal titolo : "Le anomalie del mercato del lavoro fra Italia e Europa", da cui emerge come nel 2018 in Italia il tasso di occupazione italiano è tornato sul livello di 10 anni prima, sopra i 58 punti percentuali. Nella fascia di età tra i 15 ed i 64 anni lavorano quindi in Italia meno di 6 residenti su 10. Tale percentuale, come già accadeva nel 2008, è nettamente inferiore alla media dell'Eurozona (58,4% contro 67,1%), con una crescita del divario; nettamente la più bassa tra le quattro maggiori economie dell'area (oltre all'Italia, Germania, Francia e Spagna).  

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 Contemporaneamente il nostro tasso di inattività, nonostante una flessione nello stesso periodo, resta nettamente superiore alla media dell'Eurozona (34,4% contro 26,7% nel 2018) e nettamente il più elevato tra le quattro maggiori economie dell'area. Il tasso di occupazione italiano, che è tornato a livello del 2008, mostra un guadagno rispetto agli anni '80 e '90, quando era intorno al 54% (ora è al 58%).

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Tuttavia, fa una certa impressione constatare che il numero di occupati full-time è nel 2018 prossimo ai 19 milioni: sostanzialmente sugli stessi livelli del 1993 (primo anno disponibile nella serie ISTAT), mentre il numero totale di occupati, di poco superiore a 23 milioni, è dovuto alla crescita dell'occupazione part-time, che supera quota 4 milioni, contro circa 2,5 negli anni '90. Sul fronte del lavoro dipendente, si legge ancora nel Rapporto, i dipendenti a tempo determinato sono (media 4° trimestre 2017 - 3° trimestre 2018), quasi 3 milioni, contro i circa 2,3 milioni del 2008 e i circa 1,8 milioni del 1998. L'incremento del lavoro dipendente non standard e parzialmente standard (tempo indeterminato part-time, in gran parte involontario) ha compensato la flessione, oltre che del lavoro dipendente anche del lavoro autonomo.

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