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Venerdì, 29 Marzo 2024
Lavoro in bilico

Incubo disoccupazione, in 80mila rischiano il licenziamento: le vertenze aperte

Al ministero dello Sviluppo economico settanta tavoli di crisi aperti, dai call center all'automotive. Si tratta però solo di una parte dei problemi, ci sono dipendenti di piccole realtà in difficoltà senza avere l'attenzione del ministero. Alcune vicende durano da oltre dieci anni

Un esercito di oltre ottantamila persone in "sospeso", costrette a vivere con la paura di non avere più un lavoro, uno stipendio, di non potere più pagare le bollette, la spesa. Ottantamila famiglie che non possono più programmare le loro vite. Sono i numeri delle vertenze aperte al ministero dello Sviluppo economico. Sono 70, sono le principali. Altre si apriranno a breve. A questa cifra si deve aggiungere tutta quella fascia di lavoratori che sono in bilico ma legati a piccole realtà locali di cui non si occupano i "piani alti". Alcune situazioni hanno radici lontane, di oltre dieci anni. Per fare fronte a quella che è sempre più un'emergenza, è stata istituita al Mise la "Struttura per le crisi di impresa". Il compito è quello di elaborare le proposte operative e di intervento per il superamento delle crisi puntando anche alla reindustrializzazione e alla riconversione delle aree e dei settori industriali più in difficoltà. 

L'incubo disoccupazione coinvolge in maniera trasversale chi vive in Sicilia come chi vive in Piemonte. Nella sola Toscana, secondo il quadro tracciato dal consulente della Regione Valerio Fabiani, si lavora su 55 casi. Sono stati attivati tavoli di crisi veri e propri e altri di monitoraggio per tenere sotto controllo le situazioni a rischio. 

I settori sono vari: dai call center all’automotive passando per l'industria dolciaria. Tra le vertenze più calde quella del call center Covisian, legata ad Almaviva e Alitalia. C'è anche Blutec, ex Fiat. E poi Pernigotti, Ilva, Whirlpool. Solo per citarne alcune.

I call center

Il destino di oltre 500 lavoratori tra la Sicilia e la Calabria è appeso a un filo che si chiama Covisian. Un nome relativamente nuovo che ne richiama uno ben più noto: Almaviva. Il colosso del call center gestiva il servizio clienti Alitalia, poi con il declino della compagnia di bandiera e la nascita di Ita è stata indetta una nuova gara. La commessa è passata a Covisian ed è iniziato il calvario per 506 lavoratori tra Palermo e Rende. Covisian ha aperto le procedure per il licenziamento di 221 lavoratori. La stessa società fa sapere che "tale procedura si è resa necessaria a seguito del mancato conferimento a Covisian del nuovo contratto per la fornitura del servizio e della conseguente naturale scadenza, al 30 aprile 2022, del periodo semestrale di fornitura transitoria negoziato tra le stesse parti nell’agosto del 2021". 

Le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil, hanno fatto scattare la mobilitazione. "Grande preoccupazione destano, inoltre, alcune notizie che si ricorrono da qualche giorno, secondo cui sembrerebbe che circa 70 persone siano state assunte a Roma per rispondere alle chiamate del servizio clienti di Ita. Qualora queste notizie trovassero conferma - per le sigle - si paleserebbe la chiara volontà di Ita di eludere quanto previsto dalla legge in materia di clausola sociale da applicare per cambio appalto nel settore call center. Oltre al comportamento di Covisian, che si è tirata indietro rispetto agli impegni assunti in sede istituzionale, riteniamo grave che il Governo non sia nelle condizioni di far rispettare un accordo sottoscritto appena sei mesi fa. Ancor più grave sarebbe, se le indiscrezioni trovassero conferma, il tentativo di Ita di eludere la clausola sociale assegnando le attività ad altro fornitore senza garantire la continuità occupazionale sancita da una legge dello Stato". I sindacati sollecitano "una convocazione ministeriale urgente" e "un tavolo di crisi per individuare le opportune soluzioni a garanzia dell’occupazione di 534 lavoratori".

Il ministero del Lavoro ha convovato per il 20 aprile un tavolo con le parti sociali per cercare una soluzione alla vertenza.

Sempre a Palermo, potrebbero restare senza un'occupazione anche i 47 operatori del call center Abramo che curano il customer care di Yoox net-a-porter, azienda leader nel lusso e nella moda online. La commessa asserà in appalto alla Transcom spa, che ha già comunicato ai sindacati di voler spostare l'attività nell'est Europa, rendendo così impossibile l'applicazione della clausola sociale. A rischio, inoltre, ci sarebbero anche altri 110 posti di lavoro degli addetti sempre di Abramo che rispondono alle chiamate di Tim e l'esistenza stessa del call center.

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Automotive: da Blutec a Qf Spa

Avvolto nella nebbia anche il futuro dello stabilimento Blutec di Termini Imerese, in provincia di Palermo. Blutec è nata dalle ceneri dello stabilimento Fiat. Una volta che il Lingotto ha stoppato le attività, nel 2011, i lavoratori sono rimasti in balia degli eventi. Sia quelli dello stabilimento, sia quelli dell'indotto. Solo alla catena di montaggio lavoravano in 2.200. Si è aperta per loro la strada degli ammortizzatori sociali. Un alternarsi di aiuti e sostegni sempre frutto di vertenze e proteste. I vertici Blutec sono poi finiti al centro di un'inchiesta giudiziaria e la società è stata messa in amministrazione controllata. Una tegola che ha reso ancora più buio il futuro dei lavoratori. Adesso si parla di "rilancio" del polo industriale, ma cosa questo significhi sul piano materiale non è chiaro. 

L'ennesimo vertice al ministero dello Sviluppo economico si è risolto con un nulla di fatto. "I timori più grandi rimangono sul sito di Termini Imerese, nessun passo avanti per lo stabilimento in che ha visto sfumare anche un possibile interesse da parte di Terna per alcune aree su quale potersi insediare nell'ambito del programma Tyrrhenian Link che, come è stato poi chiarito, non avrebbe coinvolto nessuno dei lavoratori ma soltanto la compravendita di alcune aree", dicono con preoccupazione Ferdinando Uliano (segretario Fim Cisl nazionale) e Antonio Nobile (segretario Generale Fim Cisl Palermo Trapani). "La percezione al tavolo è l'abbandono da parte delle istituzioni a partire da quelle siciliane, ancora una volta assenti - aggiungono -. Se si pensa che tutto venga lasciato solo all'attività dei commissari, si sta decidendo il totale fallimento del progetto e il venir meno degli impegni presi nelle sedi istituzionali".

Sono 450 i lavoratori dello stabilimento QF Spa (ex Gkn) di Campi Bisenzio, in Toscana, col fiato sospeso. La multinazionale inglese Gkn - attiva nel settore dell’automotive, nella produzione di semiassi e di elementi di trasmissione - è stata soppiantata da Qf spa e, secondo i piani di reindustrializzazione, lo stabilimento sarà adibito alla produzione di macchinari per l'industria farmaceutica. E' stato annunciato un investimento di oltre 80 milioni di euro con "rielaborazione nella richiesta cassa integrazione di 24 mesi nonché un piano di formazione e l’inserimento di nuove figure professionali". Tema questo che ha fatto suonare il campanello d'allarme, i sindacati chiedono che si pensi prima alla valorizzazione delle risorse già presenti. Nel corso dell'ultimo incontro al Mise i vertici della nuova azienda hanno chiarito che saranno attivati percorsi formativi ad hoc e che "nell’arco di due anni ci sarà la piena reintegrazione dei lavoratori". Si dovrà vedere se i buoni propositi saranno mantenuti.

Pfizer  

A Catania a dare il benservito ai lavoratori è la multinazionale della farmaceutica Pfizer, che ha annunciato 130 esuberi per i lavoratori a tempo indeterminato, niente rinnovo del contratto per 50 dipendenti di Ramstad (che lavorano per Pfizer) e congelamento per altri 60 addetti. Il tavolo azienda-sindacati al momento è regionale, ma i rappresentanti dei lavoratori premono perché la questione approdi a Roma. "Non si capisce - dice Jerry Magno, segretario della Filctem Cgil - il silenzio da parte della Regione Siciliana, che non chiede un tavolo al Governo nazionale. Fino a quando non lo farà, la trattativa sarà sempre e solo regionale". 

E i lavoratori hanno inviato una lettera aperta all'amministratore delegato della società, Paivi Kerkola. "Perché Pfizer - si legge in un passaggio - decide di salvare il mondo dalla pandemia ma decide allo stesso tempo di non salvare i suoi stessi lavoratori, offrendo la possibilità di migliorare il sito con coraggio ed eccellenza?".

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Bosh

A Bari la Bosh ha annunciato 700 esuberi nei prossimi 5 anni, su un organico di 1.700 addetti. Per i sindacati la situazione è ancora più grave perché "in mancanza di una nuova missione produttiva, è rischio la stessa sopravvivenza della fabbrica barese". Negli ultimi quattro anni sono stati utilizzati ammortizzatori sociali che hanno scongiurato i licenziamenti e si è ridotto l’organico esclusivamente con uscite volontarie e incentivate da 1.890 a 1.700 persone". Il nodo riguarda la specializzazione produttiva dello stabilimento. "Dal punto di vista industriale - proseguono - sono stati attirati nuovi prodotti sia nell’ambito tradizionale del diesel sia in nuovi settori. Ma la continua contrazione del diesel produce tuttora un pesante esubero. Oggi sulle produzioni non diesel, innanzitutto sulla ebike, lavorano difatti circa 350 persone ed è previsto l’impegno di ulteriori 100. Tuttavia l’80% circa della forza lavoro è ancora impegnato sul diesel, che continua a calare sempre più rapidamente a causa delle disposizioni europee", e che andrà azzerandosi nei prossimi anni. 

Ilva

Per la vicenda Ilva manca ancora l'accordo sulla cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione chiesta da Acciaierie d'Italia per 3mila lavoratori in tutti i siti del gruppo, di cui 2500 a Taranto. I segretari nazionali e i responsabili Siderurgia di Fim, Fiom e Uilm hanno scritto al ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti e al responsabile del Lavoro Andrea Orlando chiedendo "di conoscere l'esito della eventuale concessione dell'ammortizzatore sociale" e "di riprendere il confronto sul piano industriale".

Le sigle metalmeccaniche fanno presente che "nel corso del confronto tenuto in sede ministeriale, l'azienda non è stata in grado di dimostrare con elementi di dettaglio, nonostante l'invito avanzato dagli stessi rappresentanti del dicastero, la tempistica, la quantificazione per area omogenea di produzione e per reparto e le modalità della sospensione del 30% dell'organico (3.000 unità su un organico complessivo di 10.700 addetti)". 

Whirlpool

A Napoli la Whirpool sta dismettendo il sito di via Argine e 317 addetti non sanno cosa sarà di loro. Le imprese interessate alla reindustrializzazione del sito sono state convocate dal Mise e hanno spiegato i loro progetti per la creazione di un polo della mobilità sostenibile. Mancano però le garanzie per la tutela effettiva delle tute blu, oggi in regime di disoccupazione. Solo lo scorso 29 marzo Fim Fiom e Uil e le rsu hanno consegnato una lettera al premier Mario Draghi mettendo nero su bianco le angosce dei lavoratori. "Sono passati più di 1000 giorni dall'inizio della vertenza e a più di 8 mesi dal nostro incontro a S.Maria Capua Vetere in cui ci garantì un interessamento sul dossier della Whirlpool - si legge - In quel momento la situazione seppur difficile non era drammatica come oggi, nonostante la pandemia i lavoratori di Napoli avevano lavorato durante il lockdown, ma la Whirlpool non intendeva fare marcia indietro sulla chiusura dello stabilimento e purtroppo il governo decise di porre fine al blocco dei licenziamenti e, come noi le rappresentammo, l'azienda dopo qualche giorno decise di far partire le procedure di licenziamento che né il ministro Giorgetti, né il ministro Orlando sono riusciti a bloccare. A dicembre sono scattati i licenziamenti e ci venne assicurato che per il 15 febbraio avremmo avuto un piano industriale per dare continuità professionale (tralasciamo le garanzie profuse di continuità occupazionale) e piena occupazione ai lavoratori del Bacino Whirlpool e garantendo un percorso di formazione unitario". Quei lavoratori attendono ancora certezze.

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Pernigotti

A giugno scade la cassa integrazione per i settanta lavoratori della Pernigotti. Il beneficio era stato concesso dal ministero del Lavoro sulla base del piano industriale approvato nel 2021, con una previsione di spese per circa 3 milioni di euro per la ristrutturazione dei macchinari e l’acquisto di nuovi impianti. Alla scadenza però non c'è la possibilità di rinnovo e il piano è rimasto sulla carta. Nei giorni scorsi l'azienda ha reso noto di avere raggiunto un accordo "non vincolante" per avviare una trattativa con un "possibile acquirente" della storica industria dolciaria piemontese. Nulla però viene garantito sulla continuità produttiva dello stabilimento di Novi Ligure e quindi sul futuro dei lavoratori. 

Sono solo alcune delle vertenze aperte che non hanno ancora trovato una soluzione. Da Nord a Sud le vicende si moltiplicano e hanno un comune denominatore: l'angoscia delle famiglie. Accentuata dalla consapevolezza che in Italia perdere il lavoro, soprattutto andando avanti con l'età, suona come una condanna. E allora riemerge l'esigenza di agire, ora, sulle politiche industriali ed economiche. Di creare occupazione nel lungo termine perché soluzioni "spot" generano solo nuovo precariato.

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