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Martedì, 23 Aprile 2024

Cristina D'Amicis

Giornalista

L’insostenibile leggerezza della precarietà. E’ giusto accettare un lavoro a tutti i costi?

I tempi sono cambiati, le differenze si sono acuite durante la pandemia anche nel mercato del lavoro. Stiamo assistendo a quella che è stata definita come “un’ondata di licenziamenti” post Covid, perché in molti hanno deciso di cambiare stile di vita e di non voler più “vivere per lavorare”. Hanno detto basta a ritmi di lavoro impossibili, decidendo di godersi la famiglia e la natura perché la vita è una sola. Sono dei privilegiati perché hanno potuto scegliere. C’è, invece, chi ha dovuto accettare qualsiasi “offerta indecente” pur di lavorare, per mettere ogni sera del cibo sulla tavola e niente più, magari rischiando anche la vita, perché dove c’è precarietà ci sono anche più incidenti (siamo arrivati a 287 morti in tre mesi). L’Europa spinge per l’introduzione di una paga base oraria sotto la quale non si debba andare, 21 paesi su 27 lo hanno già fatto. In Germania il salario minimo aumenterà a 12 euro l’ora mentre in Italia ancora siamo all’anno zero. Come possiamo ambire a diventare un paese leader in Europa se non costruiamo quelle che sono le fondamenta del mercato del lavoro? Come possiamo pensare ad una crescita del Pil se non paghiamo adeguatamente i nostri lavoratori? Partiamo dalle basi, perché è inutile costruire un castello su delle fondamenta fragili.

I giovani non hanno voglia di lavorare per 3 euro l'ora

E’ facile dire che i giovani sono dei bamboccioni e che si aggrappano al reddito di cittadinanza perché non hanno voglia di lavorare. E’ facile dire che non si trovano camerieri, panettieri, lavoratori agricoli e stagionali. Come sempre stiamo guardando solo una faccia della medaglia del mercato del lavoro, quella più visibile. Facendo un giretto sul web, però, possiamo riuscire ad intravedere l’altra faccia quella un pochino più nascosta, quella fatta di precarietà, paghe da fame e da zero diritti. Di fronte a questo scenario mi pongo una domanda: è giusto accettare di lavorare a tutti i costi? C’è chi risponderà “la fame è fame” e chi invece che “il lavoro è prima di tutto dignità”. Forse la risposta giusta, come spesso accade, sta nel mezzo. Forse non dovremmo lasciare fare ai datori di lavoro, forse e dico forse, dovrebbe essere il governo a prendere le redini del mercato del lavoro per guidarlo nella giusta direzione. Iniziamo con un compromesso tra imprenditori e lavoratori: il salario minimo, visto come un primo passo verso la riconciliazione tra le parti, nella consapevolezza che l’uno serve all’altro e viceversa. Un dare e avere insomma, perché se non si trovano persone disposte a lavorare bisogna pure guardare cosa gli si offre in cambio.

Io credo che non sia giusto accettare di lavorare per 3-5 euro l’ora ma penso anche che non sia affatto giusto proporre dei salari da fame a persone in estrema difficoltà economica. Eh sì, perché chi accetta di essere sottopagato e di rinunciare a qualsiasi diritto, lo fa solo ed esclusivamente per necessità, è una sorta di ricatto. Alla fine si finisce addirittura per illudersi che sia giusto pagare cifre irrisorie per un’ora di lavoro, “tanto c’è la fila” oppure “lo fanno tutti”. Diventiamo delle persone migliori, sia in veste di imprenditori che in quella di lavoratori, scommetto che ci saranno soddisfazioni da ambo le parti. Non a caso c’è chi sta cambiando atteggiamento nei confronti dei dipendenti, lasciando ampio spazio alla discrezionalità sugli orari e sui luoghi di lavoro, oppure chi investe nel benessere dei lavoratori con corsi di yoga e gite aziendali. Sarà un folle o un visionario? Sarà il tempo a rispondere a questa domanda, eppure giura di aver registrato già un deciso aumento della produttività.

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